Dal 26 al 29 ottobre si è tenuta la 48a Settimana Sociale dei cattolici italiani. A Cagliari. Tema: "Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale". Si è cercato di rimettere al centro dell'attenzione e degli interventi concreti il lavoro. Il lavoro, dice la Dottrina Sociale, è espressione sociale della persona e dipende esclusivamente dalla dignità di essere personale dell'uomo; è fondamento della dignità della persona.
A Cagliari si è voluto evidenziare, in un periodo come quello di inizio millennio, la necessità di ritornare a considerare il lavoro come essenziale; non solo dal punto di vista economico e di necessità per soddisfare le esigenze di vita proprie e della propria famiglia, ma anche come necessità fondamentale per la realizzazione di ognuno. Ecco perché non serve solo un lavoro qual che sia (e oggi per molti sarebbe già un fatto positivo), ma un lavoro che aiuti la persona a svilupparsi, a realizzarsi, a valorizzare i propri talenti.
Uno degli aspetti che il Comitato organizzatore ha pensato per preparare la Settimana di Cagliari è stato il Progetto: Cercatori di LavOro. Per andare a individuare, e presentare in modo diffuso, iniziative, attività, realizzazioni, che in questi anni si sono attivati, soprattutto da parte di giovani o aziende innovative, per creare lavoro in modo solidale, cooperativo, coraggioso, in una logica anche di attivazione di buone pratiche, oltre che di creazione di valore economico.
Si legge sul sito delle Settimane Sociali: Il progetto Cercatori di LavOro propone un cambiamento di “sguardo” (Laudato Si’, 12) nell’ottica della generatività: offrire ai Vescovi e alle comunità ecclesiali locali, spesso alle prese con problematiche drammatiche e quasi irrisolvibili di povertà e assenza di lavoro da cui rischiano di essere travolte emotivamente, la gioia e l’ancoraggio a riferimenti di soluzioni possibili, elementi concreti di speranza, spunti per ulteriori sviluppi creativi in direzione di soluzioni adatte anche al proprio territorio al fine di rendere ragione della speranza che è in noi anche dal punto di vista delle soluzioni concrete per la dignità della persona e il bene comune. Esistono nel nostro paese infatti persone (amministratori, imprenditori, educatori) che hanno trovato nelle difficoltà dei nostri tempi, e non in un lontano passato, delle soluzioni importanti e originali al problema. Intendiamo con questa iniziativa aiutare i credenti impegnati e sensibili di ogni territorio ad individuarli, metterli a confronto e far risuonare la loro esperienza affinché sia d’ispirazione per altri.
La Settimana Sociale, e soprattutto la sua preparazione, non si è quindi soffermata solo su affermazioni generali (il lavoro è fondamentale per la dignità della persona, e in quanto tale deve esserlo per tutti, deve rispettare persone e ambiente, deve tener conto del ruolo delle imprese e queste a loro volta preoccuparsi anche del rispetto della qualità della vita e della partecipazione dei lavoratori); né si è fermata alla denuncia (lavoro sfruttato, sottopagato, precario, pericoloso, malsano). Si è dedicata a presentare e diffondere ciò che di positivo esiste, ciò che in questi anni alcune realtà hanno saputo creare coraggiosamente, in molti settori (agricoltura, artigianato, servizio al mondo delle imprese, piattaforme web, ristorazione, enogastronomia, turismo, promozione del patrimonio artistico, culturale, e naturale, lavoro di cura, aziende medio-grandi che hanno saputo affermarsi creando valore economico in modo socialmente e ambientalmente sostenibile, ecc.). Tante buone pratiche nella creazione di valore sostenibile e di lavoro di qualità, unite a proposte per rafforzare la formazione professionale e di una vera politica attiva del lavoro.
La concretezza si è materializzata nelle proposte presentate al presidente del Consiglio Gentiloni, che le ha raccolte con coraggio: canalizzare i risparmi dei PIR (piani individuali di risparmio) anche verso le piccole imprese non quotate che rispondano ad alcune caratteristiche di coerenza ambientale e imprese sociali; intervenire con gli incentivi all’assunzione e in modo strutturale rafforzando la filiera formativa professionalizzante nel sistema educativo italiano; accentuare il cambio di paradigma del Codice dei contratti pubblici potenziando i criteri di sostenibilità ambientale e inserendo tra i criteri i parametri di responsabilità sociale ambientale e fiscale negli appalti, il 60% dei quali viene ora appaltato al massimo ribasso; e rimodulare le aliquote IVA per le imprese che producono rispettando criteri ambientali e sociali minimi, oggettivamente misurabili, a saldo zero per la finanza pubblica, anche per combattere il dumping sociale e ambientale.
Sono poi venute (dall’ex ministro Treu) proposte quali “Riformulare i diritti della persona del lavoratore, comunque lavori” oppure la “staffetta generazionale”, che si collega al “patto intergenerazionale” (Furlan della Cisl) insieme al dotare “uomini e donne di competenze che offrono la possibilità di partecipare a creare lavoro”, producendo “una ricchezza che attraverso la partecipazione, l’equità e la giustizia diventa fonte di benessere per un popolo”.
Non si può dimenticarsi di guardare all’Europa perché è lì che molte delle iniziative in grado di far ripartire il sistema si possono realizzare. E infatti le proposte della Settimana sociale rivolte all’Unione Europea si riconducono a tre: l’armonizzazione fiscale con il superamento dei «paradisi» interni all’Europa; la necessità di investimenti strutturali per sostenere il lavoro; l’integrazione, nello Statuto della Banca Centrale europea, del parametro dell’occupazione accanto a quello dell’inflazione come riferimento per le scelte di politica economica.
Pochi suggerimenti e richieste, ma efficaci!
Non va poi dimenticato che “Il lavoro giusto chiede una conversione culturale, che comprende la volontà di fare spazio alla festa. La domenica è un punto fermo, se si vuole evitare che il lavoro si trasformi in idolo”. Già il Convegno ecclesiale di Verona evidenziava questo richiamo alla domenica.
Il Santo Padre, ancora una volta ha dato uno scossone forte. Già di recente aveva affrontato con decisione il tema a lui caro del lavoro, e in particolare “il lavoro non degno della persona umana”. Per creare lavoro servono, diceva, “persone aperte e intraprendenti” ma anche nuove “relazioni fraterne” e “ricerca e investimenti nello sviluppo di energia pulita per risolvere le sfide del cambiamento climatico” (discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali); e richiamava che “non può concepirsi come l’unico ed esclusivo titolare del bene comune non consentendo ai corpi intermedi della società civile di esprimere, in libertà, tutto il loro potenziale”; e quindi bisogna, “ripensarne il ruolo” sollecitandoad avere un grande attenzione all’“aumento endemico e sistemico delle diseguaglianze e dello sfruttamento del pianeta, che è maggiore rispetto all’aumento del reddito e della ricchezza. Sono problemi che non discendono dal caso o dalla fatalità perché dipendono, oltre che dai diversi comportamenti individuali, anche dalle regole economiche che una società decide di darsi”.
Nel suo saluto ai delegati c’è stata una forte denuncia del lavoro nero e del precariato che “uccide la salute, la famiglia, la società, la dignità” oltre a quella della competizione (“Le tante buone pratiche che avete raccolto sono come la foresta che cresce senza fare rumore, e ci insegnano due virtù: servire le persone che hanno bisogno; e formare comunità in cui la comunione prevale sulla competizione. Competizione: qui c’è la malattia della meritocrazia…”). La malattia della meritocrazia!
Perciò è necessario guardare al lavoro e a creare condizioni di lavoro anche come occasione per ripensare al sistema. Non serve pensare al lavorare soltanto per avere una occupazione e un reddito, che sarebbe già importante nella situazione odierna; ma per pensare a che tipo di società si deve costruire per avere possibilità di lavoro per tutti e perché il lavoro abbia un senso di crescita, personale, familiare e di tutta la società. Sono stati suggeriti (dall’economista Becchetti) quattro punti fondamentali: aiutare chi crea lavoro e rimuovere quelli che sono gli ostacoli che si trova di fronte; attivare reti di protezione universale per gli esclusi e gli scartati; cambiare i rapporti di forza tra lavoro e consumo che in questo momento sono nettamente a favore del consumo, e questo precarizza il lavoro; fare qualcosa per valorizzare il territorio, dato che la risorsa chiave strategica del futuro sono i territori.
Il cantiere è aperto. Anche in questo caso si fornisce uno stimolo, oltre che agli addetti ai lavori agli imprenditori, ai governanti, alle comunità ecclesiali per “uscire”, per guardare alla società in modo nuovo, per farsi carico (se pur non da soli) anche di questo aspetto della vita delle persone e dei nostri territori. Proprio perché la Speranza non sia una parola incomprensibile e improponibile, ma sostenga l’impegno per il futuro.
Ecco allora l’invito ad avere più laici impegnati nel “sociale” o “interessati al bene comune”. Perché ciò si realizzi è fondamentale la valorizzazione del patrimonio dell’insegnamento sociale della Chiesa, l’esigenza che ogni diocesi italiana organizzi un gruppo di cattolici motivati a dare impulso alla pastorale sociale e del lavoro. “La vita delle nostre comunità – ha esortato mons. Santoro – non può limitarsi alla catechesi, liturgia, processioni e benedizioni”! La pastorale sociale deve ritrovare i giusti spazi e piena dignità nelle comunità cristiane. Da figlia di un dio minore, diventi la cartina di tornasole della passione formativa e caritativa. È Vangelo che si fa carne. Una sollecitazione che sento ormai da moltissimi anni, e ogni volta mi risveglia la speranza.
Si concretizzerà finalmente la conoscenza della Dottrina Sociale?
“In ogni diocesi potrebbe strutturarsi organicamente un gruppo di collegamento tra cattolici impegnati in politica stimolato ed animato dall’iniziativa degli Uffici e delle Commissioni per i problemi sociali, del lavoro, giustizia, pace e custodia del creato, riprendendo le proposte di questa Settimana”. Così mons. Filippo Santoro, Presidente del Comitato Organizzatore.
È probabile che qualcosa si muova, soprattutto nelle diocesi più grandi. Ma perché alle cose venga impressa una spinta maggiore forse, serve anche altro: che torni ad essere il laicato “impegnato nel socio-politico” ad assumere l’iniziativa (senza eliminare il contributo della Conferenza episcopale). La mia è volutamente una provocazione, che contiene in sé anche possibili pericoli. Perché so che la CEI garantisce equilibrio e cerca di evitare partigianerie; perché nel Comitato promotore vi sono esperti di economia, di diritto, di sociologia appartenenti all’associazionismo e alle espressioni del “mondo cattolico” che agiscono in quanto studiosi e non perché schierati. Il limite però resta quello, pur nella serietà delle indicazioni concrete e nella conseguente attività pastorale che deve sapersi distinguere dalle scelte socio-politiche di parte, di non tener sufficientemente in conto le difficoltà delle mediazioni, dei vincoli imposti da risorse e da procedure. E soprattutto si evita di schierarsi rispetto a questioni fondamentali, sulle quali la Chiesa e i suoi ministri devono saper stare ai margini, ma che i fedeli laici non possono dribblare.
Anche con lo schierarsi e anche nel proporre un sistema diverso e alternativo al contingente si è avviata la storia recente (circa 140 anni) del movimento sociale dei cattolici e ha preso corpo l’insegnamento sociale della Chiesa. |