Domenico Accorinti - 2017-10-03 Concordo appieno con l'analisi e con le conclusioni di Ladetto. Un'osservazione pragmatica: forse per raggiungere il meno peggio la ricetta (che o si ha nel DNA o non c'è niente da fare) è quella che ci insegnano popoli ordinati e solidali, come i giapponesi: dal 1997 non crescono ma se la cavano lo stesso non male. Insomma hanno inventato la "decrescita sostenibile". Anche i tedeschi, pur'essi ordinati solidali ed efficienti, sembrano, però in un contesto di crescita (quanto non drogata o a spese di terzi?), aver trovato un certo apparente (e forse precario) equilibrio sociale. | ||
Giuseppe Davicino - 2017-09-06 Ladetto pone, con la consueta chiarezza, un tema oggi centrale per la politica: quanto un'economia spogliatrice della classe media e che trasferisce e concentra, oltre ogni limite, risorse da lavoratori, famiglie, imprese, settore pubblico nelle mani di pochissime élite globali, possa esser compatibile con la democrazia. Alla politica, nel suo insieme, e a gruppi dirigenti non cooptati dall'alto (se ci sono ancora) ma espressione degli interessi popolari, il compito storico di ridefinire un nuovo equilibrio tra questi poteri economico-finanziari globali e la democrazia, sapendo che il tempo non è una variabile indipendente. | ||
franco maletti - 2017-09-05 A, problemi sempre più complessi, come quelli attuali, è sempre più difficile dare risposte semplici e comprensibili. Di ciò ne approfittano, con alterne fortune, gli "sciacalli della politica", in quanto (e le loro battaglie contro i migranti lo dimostrano) sanno molto bene una cosa sola: essere crudeli è molto più facile dell'essere umani, se non altro perchè l'avere studiato non serve. Dai problemi evidenziati da Beppe Ladetto non credo sia possibile uscirne senza una riconciliazione ampia: con Dio, con il genere umano, con l'ambiente. Ma, contro gli "sciacalli", nessuno deve tirarsi indietro: perchè ci vuole soprattutto un paziente lavoro di cultura. | ||
giuseppe cicoria - 2017-09-04 mi sembra che un rallentamento o addirittura una modesta "decrescita felice" ci renderebbe meno ansiosi ed insicuri | ||
Leonello Mosole - 2017-09-04 Nutro qualche dubbio (che provo ad esplicitare brevemente) su questa analisi.
Osservo che nel 1929, con una crisi molto più grave dell'attuale, gli americani non hanno cercato soluzioni autoritarie: è la democrazia americana che ha dato risposte forti e coerenti con la situazione. In Europa le soluzioni autoritarie erano già in atto e non credo fossero dovute solo alla crisi economica.
In quanto alla Russia direi che, usciti da una dittatura feroce, i russi sono passati ad un regime un po' mafioso un po' fascista che ha consentito a pochi di arricchirsi e ad alcuni di stare bene ma non mi pare che sia una prospettiva all'orizzonte. Idem per la Cina.
In quanto ai populismi, tutto quello che è detto è condivisibile. Aggiungerei, la mancanza del senso di appartenenza sempre più diffuso ovvero non sentirsi di appartenere a una comunità, non sentirsi "cittadini" e, per finire, il potere dei padroni della "rete", in grado di influenzare opinioni, mercati, acquisti e di far diventare ciascuno di noi delle monadi chiuse nel proprio guscio, con amici ovunque nella rete ma incapaci di rispondere a un saluto incontrando una persona. |