"Appartengo alla generazione di Villaggio e Rodotà. Quella che ha introdotto alla politica Prodi. E se lui ha detto che non intende più occuparsene, forse dovrei seguire il suo esempio..."
L'incipit di Guido Bodrato alla sua relazione sulla situazione politica in Italia dopo le elezioni amministrative di giugno, denota realismo e autoironia, indicatori di quelle lucidità e intelligenza che ben conosciamo.
Al partecipato incontro dei Popolari piemontesi, il presidente emerito entra subito in argomento.
"Le ultime elezioni amministrative, con un forte significato politico, non hanno dissipato dubbi sulla situazione. Si è votato con le norme introdotte alla fine della prima Repubblica, quando era finita la centralità della DC, regole che cercarono di supplire in qualche modo alla crisi politica di allora. La crisi politica di oggi non è colpa del proporzionale, ma di un maggioritario come è stato sperimentato in questi ultimi decenni, incapace di creare maggioranze politiche.
Allora fu Ruffilli a proporre di dare un premio di maggioranza a chi avesse raggiunto il 40% dei voti. Quella proposta non andò avanti perché Craxi aveva un’opinione diversa: voleva uno sbarramento alto e non voleva il premio di maggioranza. Con il primo si liberava della presenza degli altri partiti laici, che sarebbero stati obbligati a confluire su di lui. Invece il premio di maggioranza lo avrebbe penalizzato, perché sarebbe stato costretto a scegliere prima del voto da che parte stare, formando una coalizione con la DC o con il PCI.
Questo passato ci dice molto dell’oggi. Non capisco chi vuole creare un sistema che nega le coalizioni in partenza ma le rende essenziali dopo. Renzi nega in teoria la logica della coalizione, rendendola però implicita, ma senza doverla dichiarare prima. E gli sbarramenti alti, all’8 o 10%, ci portano in altro sistema, quello francese, dove accedono al secondo turno i partiti che superano il 12%. Macron è stato coraggioso e intelligente, ed è stato aiutato dai francesi a costruirsi una maggioranza parlamentare, che il sistema da solo non garantiva. Nelle ultime elezioni tutti i tre storici sistemi maggioritari – americano, inglese, francese – hanno mostrato la corda. Ma si sono sottovalutati questi segnali”.
La critica al maggioritario si estende poi al sistema in vigore nei Comuni, che viene spesso esaltato per la sua presunta efficacia, ma non è esente da pecche: “Con l’elezione diretta del sindaco la proposta politica viene calibrata sulla figura del sindaco. Vediamo che nei Comuni sotto i 15.000 abitanti non c’è proliferazione di liste. Ma sopra chi ha un minimo di forza contrattuale si presenta con un proprio un candidato sindaco. Se no, non fa neppure la campagna elettorale per la centralità che assumono i sindaci. Pesa anche il fatto che il candidato sindaco ha la certezza di essere eletto consigliere comunale prendendo più o meno il 5% dei voti. Questo spiega perché una regola che avrebbe dovuto semplificare la competizione elettorale l’ha resa più complessa e dispersiva.
I partiti nazionali hanno perso una fetta importante della loro forza di attrazione. In tantissimi Comuni si presentano sette, dieci liste, e anche 20 come è capitato ad Asti. La dispersione del voto non è stata ridotta dal maggioritario”.
Dopo aver premesso che “queste elezioni, anche nei comuni maggiori, sono state caratterizzate da un proliferare di liste locali, che hanno apparentemente messo in secondo piano il confronto politico e ideologico nazionale”, Bodrato ha indicato “tre elementi decisivi sul piano politico: più di tutti il problema dell’immigrazione, con lo ius soli collegato. Questo ha favorito la destra, che è riuscita persino a sottrarre Genova alla sinistra.
Secondo tema quello delle disuguaglianze e la caduta di speranza nel futuro da parte dei giovani. La forbice dei redditi, che era di 1 a 40 con Valletta, è passata a 1 a 1400 con Marchionne. Si è accettata la logica del mercato, anche a sinistra. L’unico ambito su cui si è focalizzata la protesta della pubblica opinione sono le pensioni dei parlamentari, ma sul resto…
Terzo elemento la disoccupazione, tema su cui si è fatto poco, cercando il rilancio dei consumi interni con la politica dei bonus, che con l’occupazione ha poco a che fare. Servono investimenti, non consumi, anche perché in prevalenza consumiamo prodotti esteri.
Questi tre temi hanno collocato gli elettori rispetto alle sigle politiche. Ecco come è diventata una contesa politica generale. Hanno avuto poco peso i candidati sindaci, spesso scelti in primarie con pochi votanti, specie tra i grillini”.
Un altro elemento da sottolineare è “la fragilità dell’immagine dei leader, considerazione valida soprattutto per Renzi. Chi lo difende pensa che sia stato eccessivamente criticato negli ultimi mesi. Ma lo stesso Renzi non ha fatto campagna elettorale, forse consigliato da chi gli era vicino di non farsi vedere. Ma un segretario politico non può essere assente. Anche Fanfani, nei momenti in cui era più bersagliato dagli attacchi, rimaneva sempre in prima fila”.
Un altro dato rilevante è la crescita dell’astensione.
“Quando iniziarono a calare le quote di partecipazione, di solito oltre l’80%, qualcuno sosteneva che minore affluenza fosse la normalità, un indice di ‘maturità’ del sistema, come negli USA. Dove però votavano i bianchi di origine anglosassone, gli altri non erano coinvolti.
Si comincia a riconoscere che l’astensione è il partito del rifiuto. Chi non trova un simbolo che lo rappresenta, non vota. Gli schieramenti esistenti non soddisfano gli elettori. Ma non esiste una democrazia senza popolo. Pochi votanti sono un indice di fragilità del sistema democratico.
C’è la tendenza a stare a guardare. Ma ricordo sempre la frase del giovane partigiano Giacomo Oliva ai suoi genitori: ‘Tutto è cominciato il giorno in cui non ne avete più voluto sapere’. L’astensione rischia di essere il segnale della difesa democratica che si affievolisce. C’è meno gente disposta a difendere il sistema democratico, indebolito dalla minor partecipazione. Meno della metà ha votato il secondo turno, e in certi comuni ha votato meno del 40%. Il 42% a Mondovì, dove c’era una tradizione di alta affluenza".
E l’astensione è cresciuta a danno del PD.
“Il primo commento alle elezioni è stato: ‘i grillini hanno perso e quindi si torna al bipolarismo’. È vero, hanno perso la ‘spinta propulsiva’, ma hanno aumentato i voti rispetto a quanto ottenuto cinque anni prima. Hanno vinto quasi tutti i ballottaggi cui hanno partecipato. Il Movimento 5 Stelle c’è ancora.
Invece la strategia di Renzi che ha puntato sul partito unico – cioè sull’isolamento, altra faccia della medaglia – è perdente. Persino a Padova, dove il centrosinistra ha vinto, col PD (al 13%), si è rinnegata la politica di Renzi. E si è avuta una svolta a destra. Lo dicono i numeri dei Comuni al voto. Tutti hanno aumentato, il PD ha pagato per tutti. I dati dell’Istituto Cattaneo sono oggettivi e non di parte”.
Bodrato ricorda anche che tra il primo e il secondo turno vi sono stati due interventi di Prodi e Veltroni che invitavano Renzi alla moderazione e alla ricerca di alleanze: “Per entrambi ci vorrebbe un po’ di autocritica. Veltroni a suo tempo era per un partito a vocazione maggioritaria. Per quanto riguarda Prodi, il suo competition is competition fu inventato contro il PPI, partito che lo aveva candidato per due volte. Ma il risentimento fa perdere lucidità… Prodi si convinse di essere stato vittima di una congiura decisa da D’Alema e Marini. D’Alema aveva compensato favorendo la nomina di Prodi a capo della Commissione europea. Marini invece si vide la concorrenza dell’asinello, che prese alle Europee del 1999 il doppio del PPI, anche se sei mesi dopo le elezioni quel partito non esisteva più. Quando incontrai Castagnetti, escluso dagli eletti per 40 voti, mi disse amaramente che tutti i suoi amici avevano votato Prodi, che lui stesso aveva fatto entrare sulla scena politica…
Comunque, malgrado il loro intervento, Renzi è andato avanti sulla sua strada”.
E adesso?
“Difficile prevedere cosa potrà accadere. Prima l’assemblea di Renzi con i circoli PD, poi la riunione delle sinistre a piazza Santi Apostoli… Certo che sinistra e centrosinistra non sono la stessa cosa: nel centrosinistra ci sono anch’io, nella sinistra dovrei interrogarmi…
Mitterand, dopo aver perso le elezioni, vinse al successivo turno con la ‘sinistra plurale’. Macron si può dire che ha vinto con il ‘centro plurale’. Occorre credere nel dialogo politico, non avere un atteggiamento settario. Il leader è importante, ma non sostituisce il partito: nessun leader dovrebbe sostituire se stesso al partito. È un modo di pensare che deriva dal ritenere le primarie alternative al partito. Anche Prodi pensò di sostituire le primarie al partito. È una forma di gollismo, dove si fanno in un colpo solo i passaggi che in un partito si creano nel tempo.
Non si intravede ancora una prospettiva nazionale che possa evitare il consolidamento dei dati negativi che arrivano da queste elezioni. L’incertezza deriva anche dall’attesa per il sistema elettorale. In ogni caso il PD non potrà esprimere il capo del governo se non alleandosi con la destra. Oppure alleandosi con la sinistra, se ci fosse una ripresa di politica in questo senso.
E si torna alle risposte da dare alle tre questioni fondamentali, immigrazione, disuguaglianze, lavoro e ripresa economica.
Tocca il PD e tocca la sinistra in divenire, perché senza una piattaforma politica e programmatica forte non può creare un consenso significativo in un contesto europeo che vede la crisi della sinistra. Dove si sono prese posizioni chiare – penso a Corbin in Gran Bretagna – i voti sono tornati.
Penso che il sistema italiano si ricomponga con la politica delle alleanze, con proposte concrete sui temi su cui il Paese si divide. Continuando così, si rischia anche di veder moltiplicati i casi come Monza, dove un fascista è stato eletto sindaco. Il centrodestra è spregiudicato, e questo è un fattore che lo avvantaggia”.
Il dibattito che è seguito ha raccolto numerosi interventi e interessanti spunti di riflessione.
Marco Bevilacqua ha sottolineato come la crisi italiana sia causata dall’assenza di politici capaci di guardare alle prossime generazioni e non solo ad asfittici tornaconti immediati.
Aldo Cantoni, concordando sulla corrente che indirizza verso destra anche l’Italia, vede come unica speranza la difficile intesa tra Berlusconi e Salvini, perché la vittoria di quest’ultimo sarebbe una rovina.
Giampiero Leo è molto preoccupato da un sondaggio che ha rilevato come il 45% degli intervistati non ritiene la democrazia una forma di governo da preservare, lamentando anche il disinteresse del laicato cattolico per la politica (“Anche tornasse De Gasperi, oggi nelle parrocchie non lo farebbero parlare”).
Per Giorgio Merlo le ultime parole di Renzi (“Il nostro treno è lanciato, chi non si riconosce scende”) chiudono di fatto ogni spazio a chi nel PD non è allineato sulle sue posizioni. Difficile capire come si potrà riprendere l’indispensabile politica delle alleanze.
Giuseppe Davicino si colloca tra coloro che aspettano un polo di centrosinistra alternativo al centrismo. Con un sistema elettorale che richiede alleanze, occorre che si avvicinino i programmi, specie sulle tre grandi questioni poste da Bodrato.
Per Gianni Rossetti l’andamento dell’affluenza, confrontata al referendum costituzionale, indica che l’elettorato ritiene scadente l’offerta politica, così come la qualità degli amministratori. L’iniziativa di Pisapia potrebbe recuperare voti dall’astensionismo più che portare via voti al PD, come sostiene Cacciari.
Giuseppe Coppola ritiene che la capacità di dare soluzione ai problemi del lavoro che manca sia centrale negli sviluppi del quadro politico. E considera, più ancora che un ritorno della destra, pericolosa la prospettiva di un governo 5 Stelle.
Franco Campia sottolinea la vittoria non del “centro-destra” ma di una “destra" qualunquista e xenofoba, che non ha raggrumato consensi con proposte concrete su economia o disoccupazione ma ha vendemmiato cavalcando spregiudicatamente la questione immigrati e le paure degli italiani. Sulle alleanze, una sorta di riedizione dell’Unione tra Ulivo e "sinistra-sinistra" è il miglior regalo che Pisapia e Prodi potrebbero fare alla linea Salvini-Toti.
Al termine degli interventi, Bodrato ha ripreso alcuni spunti e ampliato le sue riflessioni.
Subito ha concordato con chi teme che la situazione si possa radicalizzare ancora: “Molti partiti sono interessati a questo, anche perché è mancata la capacità di passare da affermazioni, anche condivisibili, a proposte concrete. Vediamo ad esempio che nelle grandi città del Nord, nelle zone più produttive, mancano figure professionali e nello stesso tempo c’è alta disoccupazione, indice di un sistema che non funziona. Manca la politica, la capacità di trovare soluzioni.
Nel PCI la classe operaia era considerata capace di guidare un processo storico. Nella DC il ceto medio, attraverso la solidarietà, aveva una missione di sviluppo che ha esercitato. Oggi i partiti che missione hanno? Chi può proporre che qualcuno faccia dei passi indietro perché il Paese faccia dei passi avanti? Lo vediamo nel dibattito sulle pensioni. Quando papa Francesco sottolinea il paradosso dei vecchi che lavorano con i giovani disoccupati. Qual è la risposta politica? Io non ho la possibilità di guardar lontano, ma dovrebbero essere le forze politiche a porsi la questione delle prospettive sociali ed economiche.
Quando il Movimento 5 Stelle è interpellato sul futuro, sentiamo dire ‘abbiamo ereditato un disastro, non possiamo far niente’. Pensate se De Gasperi, Nenni e Togliatti avessero risposto lo stesso…
Di Battista afferma che, una volta vinte le elezioni, nei primi anni ci saranno lacrime e sangue per far pagare gli sbagli del passato. Le forze rivoluzionarie che hanno la vendetta come obiettivo non riescono a costruire niente
È importante assumersi responsabilità verso il Paese, non solo ‘far pagare’ a qualcuno il peso della crisi. È proprio del Medioevo il diritto di saccheggio per il vincitore. Ed è un atteggiamento pericoloso. I grillini si sono dimostrati adatti ai ballottaggi: quando non erano coinvolti, la maggior parte ha votato contro il PD, una parte contro la destra. È un mondo variegato, difficile che riesca a costruire una prospettiva politica”.
Il futuro si indirizza verso destra, “anche se anche la destra è divisa e fragile rispetto alle scelte che dovrà fare. Così come la sinistra. Renzi non si pronuncia sulle alleanze, ma certamente Berlusconi teme più i 5 Stelle della sinistra. Penso che Salvini e Casa Pound siano peggio dei grillini. Chi vuole il maggioritario non vuole metterli alla prova. E anche Renzi, contrario al proporzionale, tende a radicalizzare le posizioni: la sua strategia si condensa in “se non vinco io, chi c’è al mio posto?” Così come ha rinfacciato il No al referendum, in una sorta di après moi le deluge.
Non si dialoga più, non si discute più, non si cercano risposte condivise.
Affrontare i problemi significa avere coraggio, perché facendo le scelte necessarie non tutti saranno d’accordo. Ma la politica è anche convincimento, invece oggi la categoria fondamentale è quella del nemico. Non si costruisce la democrazia su questo atteggiamento. La si mette a rischio.
Sarebbe necessario un sistema elettorale che costringe al dialogo e al confronto. Invece PD e M5S stavano trovando l’accordo per un sistema elettorale ipermaggioritario, con una minoranza che prendeva tutto. Se nessuno accetta il sistema delle alleanze, dove andremo a finire?
Nei prossimi mesi saranno costretti a fare una legge elettorale. Ma qualcuno giocherà la partita sino in fondo, senza preoccuparsi di ciò che capiterà. Tra questi i grillini, guidati dal loro Mosè, convinto di poter attraversare il mar Rosso. Eppure la vicenda di Parma dovrebbe insegnare qualcosa anche a loro”.
E i cattolici democratici? “Non credo che dobbiamo pensare alla rinascita della DC. Ma dobbiamo tenere fermi alcuni valori di quel periodo. Ad esempio rispettare gli avversari: non basta avere il potere, che non riproduce se stesso, come pensava, sbagliando, anche Andreotti. Allo stesso modo è un limite la politica dei bonus, è una forma di compravendita di voti, che però non dura.
I valori democratici cristiani vanno in qualche modo difesi e storicamente riproposti. Quando uscii dal PPE per l’accordo fatto con i conservatori – intesa che non aveva basi politiche comuni – avevamo fatto un convegno in cui la maggioranza, in particolare i gollisti e una parte dei tedeschi, era convinta che il futuro fosse del liberismo, e che il compito del PPE fosse di dargli ‘una dimensione umana’. Non era altro che l’economia sociale di mercato, e ogni volta che la si citava i conservatori inglesi proponevano sempre di eliminare l’aggettivo ‘sociale’.
E poi, se pensiamo di rifare la DC, i giovani non sanno neppure che sia esistita. Guardar lontano è occuparsi dei giovani. Nella piazza di Pisapia e Bersani erano tanti, al referendum la loro maggioranza ha votato No, erano stati coinvolti, avevano ragionato.
Purtroppo anche alle messe che frequento ci sono o anziani e bambini, o solo anziani. Mancano i giovani. C’è un vuoto. Per questo la politica, la buona politica, rischia di morire”. |