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E se tornasse l'Ulivo?

 
di Giorgio Merlo
 

E se dovesse ritornare l'Ulivo? Il progetto ormai aleggia da tempo ed è inutile fingere che nulla si muove. Il progetto illustrato, seppur per il momento genericamente, da Giuliano Pisapia e accarezzato positivamente dal fondatore dell'Ulivo Romano Prodi e da altri esponenti di primo piano di quella stagione politica, ha immediatamente innescato un forte interesse in molti settori politici, culturali e sociali che proprio di quella esperienza conservano un gran bel ricordo, né nostalgico né remoto. Un interesse politico, forse anche un po’ emotivo. Una progetto che, stando almeno ai sondaggi, molti oggi dichiarano di essere interessati a capire.

 

Certo, la storia non si ripete mai meccanicamente, lo sappiamo perfettamente. Anche la stagione esaltante, e vincente dell'Ulivo di Prodi e Veltroni non può sostituirsi all'attuale e confusa politica italiana. Ma è indubbio che l'Ulivo continua a suscitare interesse e curiosità. Perché l'Ulivo era la sintesi del miglior riformismo democratico e progressista nel nostro paese. Perché l'Ulivo era l'incontro tra le culture che avevano favorito la nascita della Costituzione e che avevano accompagno la crescita e il consolidamento della nostra democrazia. E, soprattutto, perché l'Ulivo era un esempio di come la politica doveva essere: e cioé cultura, progetto e programma di governo. Il tutto con una classe dirigente di qualità e di solida cultura politica.

Certo, c'erano i limiti che tutti conosciamo e che si sono poi manifestati con il tempo. Ma riconducibili anche e soprattutto alle alleanze purtroppo necessarie per poter far decollare una maggioranza di governo, che sono state poi la ragione decisiva del suo momentaneo fallimento. Comunque sia, l'Ulivo nel campo vasto ed articolato del centrosinistra italiano continua ad essere un riferimento per la cultura riformista e progressista che coltiva l'ambizione di governare il Paese.

 

Ora è presto per valutare l'iniziativa di Giuliano Pisapia e di altri esponenti di primo piano del mondo della sinistra e del cattolicesimo democratici. L'unica domanda cui rispondere è perché nasce proprio oggi. Se è vero che il PD – almeno stando alle dichiarazioni del suo gruppo dirigente –  è "il più grande partito del centrosinistra italiano", delle due l'una: o chi pensa di dar vita al progetto dell'Ulivo per un "nuovo centrosinistra" persegue un altro obiettivo oppure il profilo politico e programmatico del PD è cambiato profondamente in questi ultimi anni. Non si scappa.

E la riflessione che si dovrebbe condurre è proprio racchiusa in queste dicotomia: difficilmente possono esistere sullo stesso palcoscenico politico due esperienze similari, due progetti che nelle premesse politiche, culturali e programmatiche si annunciano uguali.

Pur senza approfondire il tema, penso che nel PD si è progressivamente e oggettivamente appannato il profilo "ulivista" del partito, trasformandosi, soprattutto in questi ultimi anni, in un grande contenitore elettorale dal profilo politico e culturale molto più sfumato rispetto alla prima fase della sua esperienza. Di qui la necessità, credo, di far riaccendere la fiammella dell'Ulivo in una fase politica che vede proprio il campo del centrosinistra fortemente disorientato. Vedremo.

 

Ecco perché il tema, che è destinato comunque sia a caratterizzare il dibattito politico di questo campo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, merita di essere approfondito. Una cosa è certa, però. Il centrosinistra non può dividersi e serve, oggi  più che mai, una leadership unitiva ed aggregante di questo campo variegato e composito. Una leadership politica e di governo. Al di là del sistema elettorale che faticosamente sarà individuato e, auspicabilmente, votato dal Parlamento. Soprattutto è necessario conservare l'intero schieramento nell'alveo del centrosinistra riformista e progressista. Qualunque ipotesi equivoca o consociativa con altri settori politici è destinata, inesorabilmente, a creare confusione e disorientare larghi settori dell'elettorato di centrosinistra.

Per questa somma di motivi è meglio che ci sia un sistema elettorale che, come dice da tempo Gianni Cuperlo, sappia unire la garanzia della rappresentanza democratica con la salvaguardia della governabilità; e, in questa cornice, conservare l'unità delle forze riconducibili al centrosinistra. A prescindere dal loro numero. Certo, è un obiettivo che si può raggiungere soltanto se si riconoscono la funzione e il valore della coalizione. Qualunque ipotesi legata al premio di maggioranza per il partito unico e alla lista è destinata a spezzare l'unità del centrosinistra, creando una situazione che rischia di consegnare la guida politica del Paese o alla destra o all'avventurismo grillino.
Insomma, solo mantenendo la barra dritta sul centrosinistra come unica prospettiva politica è possibile sventare alleanze estemporanee da un lato e dar vita a politiche e di governo dall'altro.


Giuseppe Davicino - 2017-06-23
Quel che è certo è che l'iniziativa dell'ex sindaco di Milano - l'unica via possibile per le forze riformatrici che non si riconoscono (più) in questo Pd - sancisce la fine del progetto di un Pd autosufficiente. Bisognerà vedere se la lista unitaria promossa da Pisapia, avrà un consenso adeguato a impedire le larghe intese e tale da costringere il Pd a modificare le politiche economiche, monetarie e di bilancio attuali, dettate da Fmi, Bce e Commissione Europea - che impediscono la ripresa e generano crescenti diseguaglianze. Il problema non è infatti Renzi, bensì un centrosinistra che non si limiti a fare dei bei discorsi ma si dimostri concretamente capace di aggredire la crisi che si ripercuote soprattutto sui ceti medi, popolari e lavoratori, sulla carta l'elettorato di riferimento dei partiti di centrosinistra.
Domenico Piacenza - 2017-06-22
Chiacchierando, more solito, di politica con l'ottimo Donat Cattin a Finale, dove andai a salutarlo in un periodo feriale, mi venne di ricordare il detto che i "signori" si vedono "al gioco e a tavola" e lui che, era un grandissimo "signore", aggiunse "anche in politica", sconsigliandomi fortemente di uscire dalla DC e di aderire al "Moplen" o ad un altra realtà allora possibile. Mi precisò che se uscivo avrei dovuto, proprio per correttezza, anche se non ricoprivo cariche nel partito, rimanere in "sonno" per molto tempo (come fecero prima e dopo alcuni nostri ottimi amici). Mai avrebbe dovuto farlo uno che era stato segretario o vicesegretario. Come si fa oggi a prendere in considerazione un'ipotesi di accordo con un Bersani o un D'Alema che per buona educazione mi ricordano il coraggio di don Abbondio. La nostra tradizione non è certo quella di far politica con i picconi messicani.
Carlo Baviera - 2017-06-21
Ricordo che anche Donat Cattin ha sempre sostenuto, se la mia memoria non falla, la necessità di un sistema che garantisse la rappresentanza proporzionale delle forze politiche e insieme la possibilità di un Governo stabile, non in balia degli umori di qualche singolo personaggio. E aggiungo che anche il PPI di Sturzo si poté affermare (nel senso di avere una buona presenza parlamentare e voce nel dibattito pubblico, grazie alla riforma elettorale che passava dai collegi uninominali al proporzionale. Chi ha orecchi intenda! Altrimenti saremmo ancora all'era del Patto Gentiloni... Oibò, Gentiloni! un nome che non mi è nuovo neanche oggi. Però, al di là delle battute, il PPI di Sturzo deve ringraziare il sistema che metteva da parte i Collegi uninominali.
Dino Ambrosio - 2017-06-21
non dimentichiamoci però come era morto l'Ulivo e chi ne aveva preso l'eredità. Vogliamo di nuovo che D'Alema riprenda le redini del governo? Io no!