Il campanello d'allarme lo ha suonato qualche giorno fa l'Istat, ma non è stata una sorpresa. Certo non per i lettori di "Avvenire". Nel 2016 si sono registrati ben 142.000 decessi in più rispetto alle nascite: l'Italia si rimpicciolisce e invecchia, letteralmente. Il fenomeno ha una portata "storica" e radici profondissime, che (incredibilmente) non sono ancora oggetto di adeguata attenzione da parte di politica, opinione pubblica, media e accademia. Perché il numero di nascite in Italia diminuisce non solo per la mancanza di un contesto favorevole alla natalità – dal sistema fiscale non incentivante ai servizi pubblici che non supportano le famiglie, a partire dal deficit di asili nido – ma anche per la progressiva riduzione delle potenziali madri: oggi nel nostro Paese le donne di 50 anni sono oltre 500mila, mentre le donne di 30 anni sono meno di 350mila e quelle di 20 anni meno di 300mila.
Il vortice dello squilibrio demografico, dunque, si avvita su se stesso e sembra inarrestabile: come l'abbattimento del tasso di fecondità degli ultimi 20 anni determina oggi la riduzione del numero di potenziali madri, il numero così basso di nascite attuali si tradurrà nel giro di vent'anni in un'ulteriore riduzione delle generazioni in grado di generare figli. La demografia non fa sconti, ai Paesi e alle classi politiche che non riescono a ragionare con una visione di lungo termine.
È giunta, anzi è scaduta, l'ora di realizzare una strategia-Paese per affrontare l'emergenza demografica. Ma questa passa attraverso la strettoia del lavoro: perché oggi solo in presenza di un'occupazione (magari stabile) sia per l'uomo che per la donna, si creano nella coppia le condizioni ideali per procreare. In particolare i Paesi europei con tasso di occupazione delle donne molto alto – tra il 72 e l'83 per cento – come Svezia, Danimarca, Olanda e Francia sono gli stessi nei quali si registrano i tassi di fecondità più elevati, tra l'1,7 e il 2. All'opposto nei Paesi – come Italia e Spagna – con tassi di occupazione femminile tra il 50 e il 70 per cento, la natalità è inchiodata a livelli tra l'1,3 e l'1,4. Non a caso si registra oggi la stessa dicotomìa tra Nord e Sud Italia: le regioni meridionali fanno registrare attualmente i livelli più bassi sia di occupazione femminile che di natalità, a causa del deficit di lavoro, sovvertendo il trend demografico tradizionale.
Contro un'emergenza, servono investimenti straordinari. Un piano per rafforzare la nostra dotazione di asili-nido a prezzi accessibili a tutte le famiglie. Sgravi fiscali che rendano (quasi) neutrale la scelta di avere figli, rispetto alla non fecondità. O ancora sgravi fiscali per rendere vantaggioso il lavoro del secondo percettore di reddito (che nell'81% delle famiglie avrebbe l'effetto di abbassare le tasse sul lavoro della donna). Il set delle misure possibili è ampio e già sperimentato nel resto d'Europa. E noi cosa stiamo aspettando?
(Articolo tratto da “Avvenire” del 17 giugno 2017) |