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Il fiume carsico che deve riemergere

 
di Carlo Baviera
 

Le vicende politiche degli ultimi mesi (referendum costituzionale, crisi di Governo, dimissioni di Renzi da Segretario del PD, scissione di parte delle sinistre piddine e nascita di nuovi movimenti-partiti progressisti) hanno ridato fiato a identità, slogan, e spirito di sinistra. Gli urrà e/o le critiche sono tutte rivolte a questa voglia di “tornare" alle certezze di chi si batte per il popolo, i lavoratori, e gli esclusi. E di farlo in modo chiaro.
 
Anche nel cattolicesimo politico è ripreso un certo dibattito sulle vicende sopra richiamate, anche a seguito di quella che si prospettava come nuova legge elettorale, che non sappiamo ancora come potrà essere dopo l’ultimo scivolone.
Si è detto più volte che il movimento sociale cattolico, democratico e popolare, era come un fiume carsico, che scorre sotterraneo e riemerge poi con forza in superficie. Le ultime vicende richiedono una valutazione di prospettiva, che dia al cattolicesimo politico, e al popolarismo in particolare, la capacità di riproporre stili, progetti, indirizzi utili a realizzare – partendo dalle periferie, dai territori, dalle comunità – una ripresa di pensiero e di azione.
E questa possibilità ha senso sia convergendo all’interno di una formazione politica plurale riformatrice, sia che (in alternativa) ci si orienti verso la nascita di movimenti più identitari.  Come afferma lo storico Alberto Melloni “riserve di intelligenza del cattolicesimo (di sinistra) ne sono rimaste alcune nelle istituzioni e fuori da esse, ma senza un canale che le riporti in superficie, senza una superficie, esse non potranno essere usate, se non per qualche furbizia aggregativa, tipo Convegno di Todi, o per qualche operazione elettorale”. È quindi urgente ricostruire un canale per mettere in collegamento quelle riserve di intelligenza con il Paese.
Anche un altro storico, Guido Formigoni, si interroga:  “Credo che la domanda cruciale sia ancora quella attorno alle prospettive di una sinistra credibile per il futuro [...]. A me pare che non faremo molti passi avanti se non usciremo da un dilemma che continua a chiudere il nostro orizzonte [...] Da una parte l’illusione della continuità di vecchi schemi mentali e di parole d’ordine irrealistiche[...]. Dall’altra la sensazione che sia al capolinea il percorso di una sinistra che ha sposato enfaticamente il nuovo, aprendosi alle novità della stagione della globalizzazione, ma che da esso è stata sostanzialmente travolta, senza riuscire a gestirlo e nemmeno a condizionarlo modestamente. [...] O si affermerà dal basso un movimento capace di riaffermare il ruolo dei legami sociali e gli investimenti comunitari, oppure la società non ritroverà coesione. O l’economia troverà un equilibrio tra regole del profitto immediato e dinamiche costruttive di valore legate ai cicli della sostenibilità, oppure non avremo grande futuro, e non riusciremo ad affrontare le perturbazioni tipiche della speculazione”.
 
Per restare al cattolicesimo democratico e al contributo che può (e deve) dare al campo riformatore, due mi sembrano le questioni a cui si deve provare a rispondere. La prima è rendersi conto della diminuzione di coloro che vivono oggi i valori del Vangelo. Per citare Prodi: “Ma allora che cattolicesimo facciamo? Prima si deve fare il cattolicesimo e poi lo si fa democratico! Dobbiamo renderci conto della diminuzione della fede e, di conseguenza, della influenza del cattolicesimo nella società italiana”. 
Ecco allora l'impegno: ritornare a evangelizzare e testimoniare, a formare, a dibattere; per indicare alcune parti di un progetto democratico insieme ad altri “democratici”.  Perciò, si deve tornare a crescere e formare persone che conoscano bene il significato delle Beatitudini, del Discorso della Montagna, o Isaia (“Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?”).
La seconda questione, di conseguenza, è rappresentata dai progetti: un partito di programma, non confessionale, avrebbe detto Sturzo. Ritornare a tradurre le sollecitazioni del Vangelo in termini laici. E iniziare a farlo tornando al pensiero, a dialogare, ad ascoltare le persone e le comunità. La politica moderna ha portato tutti a rincorrere altri aspetti: slogan, bella presenza, capacità di bucare il video e di contrastare l’avversario con battute immediate (se non con volgarità o violenza verbale), la narrazione di una società futura. Il ragionamento, l’approfondimento, il confronto corretto, la capacità di tener conto della concretezza, delle situazioni di vita reale che quotidianamente il popolo affronta, sono state tutte messe in secondo piano. Il popolarismo era invece nato dalla capacità di rappresentare gli interessi diffusi delle autonomie (locali, sociali ed economiche) e dei nuclei naturali come le famiglie e le comunità.
 
Cosa può continuare a offrire il cattolicesimo democratico sociale e popolare al nostro Paese, ma anche all’Europa, nostra nuova Patria?
L’indicazione a tenere presente e servire la dignità trascendente della persona e il valore della vita. L’importanza delle formazioni intermedie e dei corpi sociali quali la famiglia, le associazioni di volontariato, quelle sindacali e di cooperazione. Il significato della partecipazione, del dono, della reciprocità, della fraternità, della non violenza. Il fondamentale ruolo del lavoro per la formazione, crescita, libertà, realizzazione della persona. La passione educativa per la crescita civile e morale. Il rispetto per la capacità di impresa, per il rispetto delle regole, e l’equilibrio nella difesa degli interessi sociali nel rispetto delle condizioni dei più deboli. L’aspetto fondamentale della legalità e di un welfare inclusivo e universalistico. L’indispensabilità della riaffermazione della destinazione universale dei beni, della giustizia internazionale, della scelta preferenziale dei poveri, della pace e della cooperazione fra i popoli.
Da questi valori derivano conseguentemente programmi e progetti concreti. Come decise iniziative per realizzare finalmente la “Comunità Europea Federale” con un Governo eletto dagli europei. Come l’attenzione alle problematiche del lavoro, dell'occupazione e delle tutele, per un welfare inclusivo che risponda anche ai problemi di accoglienza e integrazione dei migranti, per un’economia che dia fiato alle esperienze "civili" agevolando le produzioni locali, la cooperazione, con Banche popolari a servizio dei territori. Come leggi per allargare la partecipazione e valorizzare le autonomie, per sostenere concretamente le famiglie, per il supporto della natalità e l’armonizzazione dei tempi famiglia/lavoro. Il contrario di quanto sembra avvenga oggi.
È uno dei modi per poter uscire dall’irrilevanza dei credenti nella vita pubblica. Come ha affermato Ernesto Preziosi, coordinatore nazionale della rete associativa Argomenti 2000, “la supposta afasia dei cattolici in politica è ascrivibile soprattutto alla mancanza di una cultura politica cristianamente ispirata. Nell'attuale fase storica, a fronte di profondi mutamenti che interpellano la politica e le sue forme di partecipazione, dobbiamo porre in essere uno sforzo propositivo: il laicato cattolico deve prendersi la sua responsabilità ".
La palla torna quindi al laicato di ispirazione cristiana e anche alle comunità credenti che, autonomamente e sotto la propria responsabilità, devono riprendere un cammino interrotto grosso modo verso la fine degli anni Ottanta.


Domenico Piacenza - 2017-06-15
Mi sorge un dubbio di carattere prettamente terminologico che un'Associazione culturale forse dovrebbe approfondire. Non è una contraddizione in termini parlare di cattolicesimo aggettivandolo su un piano politico? Se rileggo quanto scriveva Maritain nel dicembre 1965 a commento della chiusura del Vaticano II non avrei dubbi. E lo stesso se vado a considerare i riassunti del dibattito che portò, nella primavera del '43, alla fondazione della "Balena bianca". Tutti noi siamo i primi colpevoli di certe imprecisioni che non mi sembrano solo formali se il passato può servire a qualcosa e se desideriamo cercare di faticosamente dare di nuovo una valenza anche "educativa" al dibattito politico.