La “teoria del genere" (o gender in inglese) è stata oggetto di esame e di critica in numerosi articoli e interventi, in particolare nei media di ispirazione cattolica. Non ci sarebbe pertanto necessità di tornare su questo tema specialmente nel nostro giornale visto che nessuno di noi ha dubbi sul giudizio da dare in materia.
Tuttavia, mi sembra importante capire come possano essere in crescita comportamenti ispirati ad una teoria che appare in palese contrasto con la realtà. Ho letto che numerose coppie, soprattutto nei Paesi nordici, intendono allevare i figli senza fare alcun riferimento al loro sesso. In vari Paesi (ad esempio, ancora quelli nordici e la Francia), iniziative e perfino circolari di autorità scolastiche raccomandano agli insegnanti di impegnarsi a debellare gli stereotipi di genere per decostruire i concetti della differenziazione sessuata e della complementarietà fra i sessi. Adesso, anche in Italia, nelle scuole, si propinano a bambini e ragazzini spettacoli teatrali che si rifanno a detta teoria.
Di che cosa si tratta?
Dopo aver letto vari articoli in materia, non mi sono ancora fatto una idea definita della teoria in questione. Ci sono almeno due possibili interpretazioni.
Una tesi riconosce l’esistenza dei sessi, ma trattandosi di un dato di carattere biologico, lo ritiene superabile, perché ogni aspetto originario della natura umana, si sostiene, può essere oltrepassato e modificato dai comportamenti dettati dalla cultura.
Una tesi più radicale nega alla base la stessa esistenza dei sessi come fatto primario: si è esseri umani prima di essere uomini o donne. Quindi non si nasce maschio o femmina: l’identità sessuale è frutto delle convenzioni alimentate dalla cultura, dall’educazione o dall’ambiente sociale.
A fronte di queste affermazioni è opportuno consultare un moderno manuale di embriologia, caso mai ci fossero novità in materia, ma non sembra essere così. Il sesso di un essere umano è deciso sin dalla fecondazione dell’ovocito da parte dello spermatozoo (a seconda che questo porti il cromosoma x o quello y), e gli organi genitali sono evidenti già dopo quindici settimane di sviluppo embrionale. Così la differenza dei sessi appare definita ben prima della nascita. Con la pubertà, gli ormoni sessuali determinano la comparsa dei caratteri sessuali secondari e la loro azione prosegue durante tutta la vita.
Ma non fermiamoci qui. Vediamo cosa ci dicono antropologi e studiosi di neuroscienze.
Le differenze tra i sessi non riguardano la sola sfera genitale e i caratteri sessuali secondari. Infatti, l’attività ormonale del feto ha un effetto specifico anche sull’organizzazione dei circuiti neuronali del cervello, sicché si può parlare di un cervello maschile e di uno femminile che si diversificano per diversi marcatori. Di conseguenza, le caratteristiche sessuali condizionano il modo in cui gli individui percepiscono il mondo e si comportano. Uomini e donne (fin da bambini) hanno livelli di attività, soglie sensoriali, centri di interesse differenti. Anche le reazioni emotive e le attitudini intellettuali appaiono diversificate: le donne mediamente superano meglio degli uomini i test per capacità verbale, mentre gli uomini primeggiano nei test di capacità video-spaziali; i maschi privilegiano le strategie fisiche a quelle verbali, le femmine ribaltano queste preferenze; i maschietti, fin da piccolissimi, sono interessati dagli oggetti meccanici e dal movimento, mentre le bambine sono molto empatiche e nella culla rispondono al pianto di altri neonati; le femmine (di tutte le età) sono più sensibili dei maschi agli stati emotivi propri e altrui, i maschi sono più aggressivi, prendono su di sé più rischi e manifestano meno timori.
Quindi maschi e femmine sono diversi. Una affermazione che sicuramente scandalizzerà molte persone influenzate da una concezione, oggi ampiamente diffusa (e introiettata spesso inconsapevolmente), per la quale uguaglianza è sinonimo di identicità (l’essere identici).
Ma se uomini e donne devono essere considerati uguali in valore e dignità, uguali di fronte alla legge e nella considerazione sociale, non essere posti su piani differenti nella gerarchia sociale ed avere gli stessi diritti, tuttavia non sono identici, non sono sovrapponibili e non sono interscambiabili, ma piuttosto sono complementari.
In questa concezione, che non distingue tra uguaglianza e identicità, c’è una delle radici che conduce all’ideologia del genere. Di quest’ultima, oggi, sono ancora minoritari i fautori, ma sempre più numerosi sono coloro che in molti altri ambiti fanno una cosa sola di uguaglianza e identicità.
Anche nel dibattito politico e mediatico di casa nostra c’è la tendenza a relegare impropriamente a categorie negative, condannate dalla storia, ogni riferimento ad appartenenze: per il semplice fatto che ogni appartenenza presuppone delle distinzioni (il non essere identici) e quindi introdurrebbe delle barriere, negando l’uguaglianza.
Ma, in proposito, merita ricordare il grande antropologo ed etnologo Claude Lévi-Strauss che ha sempre sostenuto la necessità di un certo grado di chiusura nelle società, ritenuto indispensabile per garantire le culture e le identità minoritarie nei confronti delle culture forti e aggressive che mascherano la loro volontà di dominio sotto una vernice universalistica (come accade oggi con il continuo riferimento ai valori dell’Occidente per imporre un unilateralismo americanocentrico). Ribadisco un concetto che ho già espresso in altra occasione: tutte le persone, di qualunque parte del mondo siano, fanno parte dell’umanità a pieno titolo, ma sempre come eredi di una storia particolare e membri di una definita cultura che è legittimo, e anzi doveroso, tutelare.
Un’altra radice della teoria del genere la troviamo in quel filone di pensiero che caratterizza la cosiddetta “koiné laica” (come la definisce Giovanni Fornero in Bioetica cattolica e bioetica laica). Per questa, la natura è un prodotto storico-culturale poiché la storia è fatta di continui interventi tecnologici dell’uomo sul mondo che lo circonda: non è possibile, quindi, distinguere ciò che è naturale da ciò che non lo è. In particolare, la natura dell’uomo consiste nel non avere natura e nel determinare la propria storia attraverso le proprie scelte. Pertanto, l’uomo contemporaneo ed ancor più quello di domani, utilizzando gli strumenti offerti dalle scoperte biotecnologiche, potranno manipolare radicalmente se stessi, tanto da originare una specie nuova.
Già oggi, sempre più persone pensano di poter superare, grazie alla tecnologia, le barriere naturali, a partire dalle caratteristiche sessuali; più in generale si attendono dagli strumenti tecnologici l’apertura di nuovi spazi di libertà e di autodeterminazione in grado di assegnare agli individui la capacità di autoplasmarsi secondo un modello o stile di vita da loro stessi scelto.
Ma attenzione, c’è il rischio di fare gli apprendisti stregoni perché le tecnologie sono strumenti impiegabili in varie direzioni, che spesso impongono le proprie logiche di funzionamento a chi le utilizza. Come scrive Benedetto XVI (Il tempo e la storia): “Il potere tecnico non è necessariamente un potere umanitario”.
Oggi, molta strada è stata fatta sul cammino tracciato da tale filone ideologico, che è diventato parte integrante del pensiero unico.
È notizia di pochi mesi fa che, alla Harvard Medical School di Cambridge (USA), si sta lavorando al progetto del genoma umano sintetico, utilizzando reagenti chimici per produrre il dna dei cromosomi umani. In tal modo, sarà possibile creare esseri umani senza la necessità di genitori o di donatori di ovuli e spermatozoi. Georges Church, uno degli organizzatori del progetto, ha detto che la biologia di sintesi potrà reinventare la natura e gli esseri umani, realizzando una “nuova genesi”. In questa prospettiva, presumibilmente si verificherà, col tempo, anche il superamento della distinzione sessuale in quanto non ci sarà più la necessità dei sessi a fini riproduttivi, esigenza che è alla base di tale distinzione.
Francis Fukuyama, già nel 2002 in L’uomo oltre l’uomo, evidenziava che, con strumenti vari (condizionamenti psicologici ed educativi, mode culturali, ricorso a farmaci, ecc.), negli Stati Uniti entrambi i sessi vengono spinti verso quella personalità mediana androgina, soddisfatta di sé e ligia alle regole sociali, che costituisce il modello politicamente corretto per la società americana. Presto si disporrà di mezzi ben più potenti per creare un “essere umano” non definito sessualmente che potrà, se lo desidera, indirizzare i suoi desideri erotici verso un qual si voglia soggetto. Ma c’è da chiedersi se, alla fine del percorso, la stessa dimensione erotica della vita umana non diventerà anch’essa obsoleta.
Già diversi decenni fa, Norbert Wiener aveva previsto la direzione di marcia della società dicendo: “Abbiamo modificato il nostro ambiente così radicalmente che ora dobbiamo modificarci noi stessi per vivere in seno a questo nuovo ambiente”.
La teoria del genere non è quindi una “stranezza” divenuta di moda e destinata ad essere cestinata fra qualche tempo. Essa si inserisce in quella linea di pensiero dominante nell’intero Occidente e che lo connota nei continui messaggi trasmessi dal mondo della comunicazione, nei modi di vita delle élites e nei percorsi politici ritenuti innovativi.
Si tratta di quel pensiero unico che certifica l’affermazione planetaria del turbocapitalismo grazie alla sua capacità di esercitare il controllo sulla vita delle persone, plasmandole sulla propria necessità di crescita fine a se stessa, imponendo ad esse bisogni, aspettative, stili di vita. Al centro di tutto, c’è il mercato globale con la sua esigenza di sopprimere tutte le differenze per omogeneizzare la domanda dei consumatori: ne risultano lo sradicamento delle singolarità collettive, la progressiva soppressione delle differenze culturali, la riduzione delle religioni a fatto privato in attesa di una loro estinzione. E in ultimo viene ad essere coinvolta anche la diversità di genere. |