La nostra Associazione ha avviato un seminario per comprendere i possibili sviluppi di una società in cui non ci sarà più - e già non c’è più da tempo - lavoro per tutti.
Gli aspetti toccati sono molteplici. Come mantenere e ampliare il lavoro che ancora c’è, tra politiche attive del lavoro, formazione professionale mirata, semplificazioni normative, interventi fiscali, redistribuzione del lavoro con riduzione d’orario e di straordinari. Come le trasformazioni del Welfare - di cui ha parlato Nanni Tosco nel primo incontro seminariale -, gli ammortizzatori sociali, le misure di contrasto alla povertà crescente. Come le misure da prendere per ottenere una maggiore, e necessaria, equità sociale, specie tra generazioni. Come la proposta del reddito di cittadinanza, da analizzare per capire se si tratta di una realtà possibile o solo di una suggestione.
Per raccogliere idee utili al documento finale, che farà sintesi e concluderà il lavoro seminariale, oltre a incontri su temi specifici, abbiamo predisposto un questionario per intervistare economisti e studiosi dei fenomeni sociali. Mettiamo qui di seguito le 8 domande che lo compongono.
Nelle prossime settimane pubblicheremo le risposte degli esperti che man mano ci arriveranno.
Questionario
- In Italia e in tutto l’Occidente non ci sarà più lavoro per tutti. Parliamo di un lavoro continuativo e retribuito in misura tale da permettere a ciascuno una progettualità di vita. Due le cause della carenza di lavoro: l’automazione crescente dei processi produttivi, come aveva previsto Rifkin – e prima di lui Keynes – e la crescita economica dei Paesi emergenti, che riducono la fetta di ricchezza mondiale dei Paesi ricchi. È d’accordo con questa affermazione preliminare?
- Non pensa che l’Occidente debba cominciare a fare i conti con una sua inevitabile decrescita? Più o meno “felice”, ma almeno equilibrata.
- Anche se il PIL dell’Occidente dovesse mantenersi – come sta facendo – agli stessi livelli, è innegabile che la distribuzione della ricchezza risulta sempre più diseguale. Come intervenire su tale grave squilibrio sociale, tenendo conto che è soprattutto il ceto medio che si sta impoverendo, in Europa come negli USA?
- L’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, sembra avere squilibri di reddito più marcati. Come si potrebbe intervenire, con la fiscalità o con provvedimenti sul sistema pensionistico, per ottenere maggiore giustizia sociale? Il mantenimento del principio dei diritti acquisiti è giustificabile in una situazione di crisi, in particolare di crescente disoccupazione giovanile?
- Torniamo al lavoro che manca. Quello che c’è, può venire ridistribuito? Ridurre l’orario e trasformare gli straordinari in nuovi occupati è possibile?
- Semplificare le norme e ridurre il costo del lavoro potrebbe creare nuova occupazione? O almeno servirebbe a mantenere il lavoro che c’è, agevolando chi intraprende?
- Si insiste tanto sulla formazione, intesa soprattutto come preparazione alla flessibilità nelle competenze e capacità di apprendimento continuo. Ma come programmare i contenuti della formazione per un mondo del lavoro in rapidissima evoluzione?
- Infine, se manca il lavoro, posto dalla Costituzione a fondamento della Repubblica, su cosa baseremo la nostra civile convivenza? L’adozione di un “reddito di cittadinanza” potrebbe essere un’idea valida? Ma lo ritiene economicamente sostenibile?
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