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La perdita dell'Istria
 
di Aldo Novellini
 

Settanta anni fa, esattamente il 10 febbraio 1947, l'Italia firmava, a Parigi, il Trattato di pace che chiudeva i contenziosi legati alla Seconda guerra mondiale. Le clausole del trattato comprendevano clausole territoriali, militari ed economiche. Particolarmente delicata era la questione dei confini che venivano ridisegnati sia ad ovest, con la Francia, sia soprattutto ad est, con la Jugoslavia. Veniva altresì sancita la perdita delle colonie, sia di quelle prefasciste, come la Libia, sia di quelle conquistate con il fascismo, come l'Etiopia. Passavano infine sotto sovranità greca le isole dell'Egeo, che facevano parte del Dodecanneso.
La rinuncia più dolorosa era certamente quella dell'Istria. Città italiane come Pola, Fiume e Zara, ottenute insieme a Trento e Trieste dopo la Prima guerra mondiale, finivano in mano slava dimenticando qualsiasi minimo principio di nazionalità. Pagavamo il prezzo dell’aggressione alla Jugoslavia che nel 1941 aveva condotto all’annessione della Slovenia e della Dalmazia, in larghissima parte abitate da popolazioni slave, seguita da dure repressioni.
Dopo l'8 settembre 1943 l'intera Venezia Giulia, comprendente le province di Trieste, Pola, Fiume e Zara (unico possedimento dalmato tra le due guerre mondiali), era passata sotto la Germania, come Litorale Adriatico, e sottratta quindi alla naturale autorità della Repubblica sociale. Nel maggio 1945 l'Istria e Trieste furono occupate dalle truppe di Tito. In estate gli alleati ripresero il controllo del capoluogo giuliano e della città di Pola, in attesa di una definitiva risistemazione dei confini. Nel 1946 si aprì a Parigi la conferenza di pace e le frontiere orientali furono subito al centro delle discussioni. Diametralmente opposte erano la visione italiana e quella jugoslava. L'Italia avrebbe voluto attestarsi sulla vecchia linea Wilson del 1919, considerando inevitabile la perdita di Fiume e dell’enclave dalmata di Zara ma salvando almeno Pola e l’Istria. La Jugoslavia, oltre a pretendere l'intera penisola istriana, voleva Trieste, Gorizia spingendosi addirittura a reclamare parte del Friuli orientale.
Ciascuna delle quattro potenze vincitrici elaborò un sua proposta. La più favorevole all'Italia era quella americana che lasciava sotto la nostra sovranità tutta l'Istria occidentale con le città costiere. Alquanto simile era quella britannica che faceva correre la frontiera leggermente più a ovest, togliendoci le miniere dell'Arsa ma salvaguardando ancora tutte le città istriane sulla costa. Sbilanciato nettamente a favore della Jugoslavia era invece il piano sovietico che oltre alla penisola istriana, concedeva agli slavi anche Gorizia e Trieste. Un'ipotesi di compromesso, che divenne poi la base dei futuri accordi, fu infine formulata dalla Francia che ci lasciava Trieste e Gorizia, privandoci però dell'Istria e della città di Pola.
Una via di uscita per mantenere la sovranità sull’Istria avrebbe potuto essere quella di un plebiscito, facendo valere la maggioritaria presenza degli italiani. L'autodeterminazione sarebbe però stata chiesta anche dall’Austria per l’Alto Adige. E se a Pola eravamo favoriti, a Bolzano la secessione dall'Italia sarebbe stata certa. Così si preferì lasciar cadere questa ipotesi.
Alla fine venne escogitata la soluzione di istituire per Trieste e per le zone limitrofe un territorio libero sottoposto a controllo alleato e diviso in due zone, A e B. In verità soltanto la zona A rimase sotto l'egida internazionale, mentre la zona B, fu sin da subito occupata dalla Jugoslavia. La situazione si normalizzò solo nell’ottobre 1954, quando la città giuliana tornò finalmente all'Italia.
Il fatto è che per conquistare il predominio su queste terre, incontestabilmente italiane, gli slavi fecero tra il 1943 e il 1947 una vera e propria pulizia etnica. Se il fascismo aveva imposto la lingua e la cultura italiana con un'assimilazione forzata, ricorrendo anche alla violenza, notevolmente più radicale e cruenta fu la reazione degli jugoslavi di Tito con l'obiettivo di cancellare qualsiasi traccia di presenza italiana dall’Istria. L'esodo di 300mila italiani fu la conseguenza di questa ferocia, testimoniata dalle migliaia e migliaia di morti nelle foibe. Una pagina tragica nel più grande dramma della Seconda guerra mondiale, al termine della quale agli istriani toccò pagare un prezzo altissimo, perdendo per sempre la propria terra.


francesco cecco sobrero - 2017-02-24
Il signor Beppe Mila ha perfettamente ragione, finalmente una parola chiara, perché la “loro” verità, i nostalgici di Benito la raccontano tirando l’acqua al loro mulino ed in maniera opposta gli amici di falce e martello. Verità entrambe che non concordano con quella storica. Comunque il plebiscito con l’Istria e la Venezia Giulia all’Italia e il Sud Tirolo all’Austria sarebbe stata la soluzione migliore, proprio nel rispetto della volontà di quelle popolazioni e prendendo spunto da questi avvenimenti: Benedetta l’Unione Europea!
Beppe Mila - 2017-02-14
Questa è per davvero una bella ricostruzione storica che tutti dovrebbero leggere e chi già era un po' informato , ripassare .