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Al referendum la spallata dei dimenticati
 
di Guido Bodrato
 

Il 2016 sarà ricordato come l’anno del referendum che ha cambiato l’orizzonte politico, ma anche come l’anno che ha segnato il ritorno alla politica. Un’affluenza inaspettata – ha votato quasi il 70% degli elettori – ha sconvolto le previsioni di chi si attendeva un plebiscito a favore di Renzi e un sì alla riforma Boschi. Infatti il 4 dicembre il 60% degli elettori ha detto no a una riforma che prometteva di superare il bicameralismo perfetto e di rendere più rapido il processo legislativo, quando, in realtà, si proponeva di rafforzare la personalizzazione della politica e del potere, e di ridurre la centralità del Parlamento a favore dell’esecutivo.

La vittoria del No ha bloccato le riforme? Siamo tornati alla palude?
Molti osservatori – convinti di vivere ormai nella post-democrazia – e la maggior parte dei media pensano che abbiano vinto i conservatori. Che sia stata sconfitta la stagione delle riforme.
La mia opinione è diversa. Se il voto popolare avesse confermato la riforma Boschi si sarebbe rafforzata la tendenza a tornare agli anni del pre-fascismo, all’Italietta oligarchica e trasformista dei “padroni del vapore”. Questo “riformismo”, a mio parere, avrebbe messo a rischio – con il pluralismo – le conquiste del secolo del welfare, già minacciate dal capitalismo selvaggio che cavalca la globalizzazione.
È stata questa l’opinione della maggioranza degli elettori?
Penso che, in realtà, abbia ragione chi sostiene che molti elettori hanno votato “contro il governo” e contro Renzi, contro la sua eccessiva presenza televisiva, contro una politica delle promesse, dei bonus e dei voucher che ha raccolto gli applausi dei moderati ma ha dimenticato i giovani e il Sud. Non a caso la maggioranza dei no è venuta dalle giovani generazioni e dalle Regioni meridionali. E non a caso Gentiloni, che nel discorso di insediamento del nuovo governo ha insistito sulla continuità con la politica di Renzi, ha messo al centro del suo programma il lavoro per i giovani e per il Meridione.
Qualche osservatore ha scritto: dovremmo parlare, più che di un referendum costituzionale, di un referendum sociale contro una politica che ha messo i “dimenticati” contro i “privilegiati”, e ha allargato – anche in Italia – l’area della povertà e delle diseguaglianze sociali.

Riflettendo sul significato politico del voto, dobbiamo riconoscere che i suoi “effetti collaterali” hanno contato più di quelli riferibili al vero oggetto del referendum, la riforma costituzionale. L’esclamazione di Matteo Renzi, riferita da una giornalista di tendenza “renziana” – “perché mi odiano tento?” – è comprensibile. Così come lo è il fatto che l’esito del referendum abbia spinto il premier a confermare la minaccia “abbandonerò la politica, se bocciano la riforma”, pronunciata nella fase di avvio di una sfida durata quasi sei mesi. Ma questa reazione rivela anche la distanza che c’è tra la “narrazione renziana” e la concreta realtà del Paese.

Il nodo del populismo e l’avvenire del PD

Gli amici di radici cattolico-democratiche che hanno votato no “con la testa” e per “patriottismo costituzionale”, per difendere la Costituzione da una riforma sbagliata, lo hanno anche fatto guardando al “dopo voto” per evitare un possibile deragliamento dalla “democrazia difficile” alla post-democrazia. Chi ha costretto gli italiani a votare su questa riforma delle istituzioni, non doveva ignorare che l’Italia sta vivendo una stagione minacciata dall’anti-politica e dalla rabbia di molti elettori che ieri hanno votato “con la pancia” contro Renzi, e che domani potrebbero votare “contro” l’Europa e contro ogni progetto di solidarietà: cioè minacciata dal populismo.
Non a caso il “messaggio di fine anno” che Sergio Mattarella ha rivolto agli italiani, ha insistito con forza sulla necessità che in politica ritorni il primato della solidarietà e della responsabilità. E lo ha fatto con parole che fanno ricordare l’appello di Aldo Moro al “senso del dovere”, necessario per “salvare questo Paese” e per evitare che diventino effimere “le conquiste dei diritti”.

Quello del populismo è un nodo ancora da sciogliere, e il referendum lo ha reso più stretto.
Il rischio del populismo, che domina la scena europea e anche quella degli Stati Uniti, doveva fare parte delle previsioni di chi ha costretto il Paese ad affrontare una competizione che lo ha profondamente diviso e che potrebbe fargli compiere un “salto nel buio”, mettendo in discussione la stessa identità del PD come partito “plurale”, riformista, di centrosinistra.
Finalmente dopo il voto la Direzione del PD ha “discusso”, e ha riconosciuto a partire dalla relazione di Renzi – che sulle critiche alla riforma costituzionale e all’Italicum avevamo qualche ragione…
Ma Renzi è rimasto leader del partito, e ha lasciato a Gentiloni l’onere di guidare il governo dopo la sconfitta ed una eredità molto pesanti da gestire, come è risultato dalla conferenza stampa che il premier ha tenuto a fine anno.
Renzi ha finalmente compreso i limiti del “doppio incarico”?
A me pare si proponga di dedicare ogni energia al “ritorno in campo” per guidare il “consenso” che il sì ha ottenuto il 4 dicembre. Il 40% dei voti non è poco, specie se riflettiamo sulla fragilità politica ed elettorale del conglomerato confluito sul no alla riforma costituzionale..
Ma con quale partito? Con quale politica? Con quali alleanze? E con quale legge elettorale?
Questi sono i nodi da sciogliere: con un ritorno alla politica, con un congresso del PD che avvii un processo unitario, dopo il tramonto del “partito nazionale”, che riapra la riflessione sul futuro del riformismo in una stagione insidiata dal populismo. Senza questa consapevolezza, se in Renzi prevale l’obiettivo della “resa dei conti” con la sinistra interna, il congresso dei democratici potrebbe concludersi con una scissione, con la fine di un sogno...

Che fare?

I partiti che hanno affrontato il referendum come se si trattasse di una prova di forza in attesa delle elezioni politiche, hanno subito invocato le urne.
Per primo lo ha fatto Matteo Renzi, senza attendere il giudizio della Corte sull’Italicum; e ha proposto di tornare al Mattarellum, senza peraltro riflettere sulla complessità delle questioni che si pongono quando si affida alla legge elettorale il compito di regolare una situazione tripolare (e forse quadripolare) che ha indotto molti leader a proporre il ritorno alla “proporzionale”. A questo punto dovremmo fermarci, in attesa della sentenza della Corte. Ma proprio sul Mattarellum si è acceso il dibattito.
All'inizio degli anni ‘90, si trattava di “interpretare” l’esito di un referendum sulla legge elettorale del Senato, che aveva coinvolto politicamente anche la Camera; si trattava di coniugare le candidature uninominali con la rappresentanza proporzionale, di rispettare – per quanto possibile – l’obiettivo della stabilità dei governo. A questo fine la “proposta” Mattarella assegnava il 50% dei seggi al proporzionale e il 50% al maggioritario. La legge votata dal parlamento ha invece assegnato il 25% dei seggi al proporzionale e il 75% al maggioritario. Questo è il Mattarellum a cui Renzi propone di tornare, poiché quel 75% ha favorito l’avvio del bipolarismo, anche se non ha risolto (né poteva farlo) tutti i problemi posti dalla transizione dalla prima alla seconda Repubblica. Alla politica “non metti le braghe”…
Nella situazione attuale, registrerebbe maggior consenso il mix 50/50, poiché sposta i rapporti a favore della rappresentanza proporzionale. Penso però che l’ostilità del Movimento 5 Stelle al Mattarellum, e l’improvviso innamoramento per l’Italicum (e per i “nominati”), riguardi la questione dei collegi uninominali. Questo forse è il “tallone d'Achille” di un movimento che esalta la democrazia diretta, rifiuta i partiti, ma non riesce a risolvere questa contraddizione.


Carlo Baviera - 2017-01-10
Sempre lucida l'analisi di Guido. Io sono uno di coloro che hanno votato no "con la testa" e per "patriottismo costituzionale", e lo ritengo una vittoria, anche per non lasciare che il merito se lo intestino solo Grillo, Salvini e Berlusconi. Se si sono salvati articoli della Costituzione è quindi anche merito di molti cattolici democratici, a prescindere da cosa pensassero di Renzi e di quanto il suo Governo ha realizzato. Ero fra coloro che riteneva non dovesse dimettersi a seguito dei risultati: chiaro che per farlo non avrebbe dovuto dichiarare prima che avrebbe abbandonato tutto, così ha pagato la sua presunzione e la tendenza al personalismo. Ritengo, proprio perchè il voto al referendum molti di noi lo hanno dato riguardo ai contenuti, che adesso si debba assumere una iniziativa per ritoccare poche cose: come porre fine a quanto non funziona nel bicameralismo paritario? abolire il CNEL o farlo funzionare? e quali Provincie? Io sono sempre per l'accorpamento di alcune Regioni, l'abolizione delle Provincie e la costituzione di Enti Intermedi (Comprensori?) rappresentativi di territori meno estesi rispetto alla Circoscrizioni provinciali attuali, ed eletti direttamente. Quindi non si devono interrompere le riforme. Non è vero che adesso per 30 anni non si può fare più nulla. Si deve fare, invece! Ma deve farlo il Parlamento, su pochissimi punti, e lasciando il Governo fuori il più possibile. Per quanto riguarda la legge elettorale per me i punti da rispettare sono tre: 1) garantire la governabilità, 2) garantire la rappresentanza, tutelando anche le minoranze, pur con uno sbarramento accettabile, 3) che all'interno del Partito votato si possa scegliere il candidato (perchè con candidati unici, o si è obbligati a cambiare il voto di partito se il candidato non piace, oppure è la stessa cosa delle liste bloccate).
Mario Chiesa - 2017-01-05
Il ritorno di ‘spallata’ mostra forse che anche qui vale la regola che i titoli sono redazionali; il discorso di Bodrato si muove su più piani, forse troppi. Uno di coloro “che hanno votato no “con la testa”, constata qui che la vittoria del NO è dovuta ai ”molti elettori che ieri hanno votato “con la pancia” contro Renzi”; lo aveva chiesto esplicitamente uno dei leader del populismo. E su questo punto – il populismo - vorrei riprendere il discorso. Sarà bene anzi tutto precisare che ‘populista’ non è l’elettore, ma il candidato, il partito che chiede il voto in un certo modo. Il populismo quest’anno ha vinto non solo il referendum ma, prima, a Roma e a Torino almeno, le amministrative; e questo, le vittorie del populismo, mi sembra il fatto politico dell’anno. Ma il populismo condiziona la politica italiana almeno da quando gli ‘osservatori’ hanno preso a sdilinquirsi di ammirazione verso la Lega; così, con tutti i partiti commossi da un federalismo fuori tempo, si è giunti al pasticcio della riforma del titolo quinto della Costituzione. Il populismo è cresciuto nel vuoto lasciato dai partiti che, nel tempo della democrazia dei partiti (quella prevista dalla Costituzione, 49), proponevano una ‘visione’, un progetto di società, invece di cavalcare i problemi della gente (a Roma il populismo aveva già vinto con Alemanno). Il problema del populismo non si risolve con qualche regola interna al PD o con qualche ingegneria elettorale (almeno quelle che vedo in campo). Il problema è quello della forma partito (tutti i partiti, anche quelli americani), del partito inteso come struttura in grado di orientare l’elettore, di farlo votare non sulla base di un bisogno immediato (che il populista enfatizza e promette confusamente di risolvere), ma su un progetto d’insieme. Il punto mi pare questo: i partiti possono tornare a orientare l’elettore? In che modo? Quello di Renzi è stato anche il tentativo di inserire elementi populistici (rinnovamento, velocità delle decisioni) nel progetto del PD; mi pare fallito, per la fatica del governare e per il logorio dell’opposizione interna. E se i partiti non sono in grado di tornare ad orientare l’elettore, in quale altro modo si può aiutare l’elettore a non lasciarsi abbindolare dal populista di turno? Io, oggi, non lo so, probabilmente anche perché sono vecchio e non ho la sensibilità per capire come si orientano i giovani; ma questo, come ovviare al rischio del populismo, mi pare il vero, grande problema qui proposto da Bodrato.
giuseppe cicoria - 2017-01-03
Come sempre Guido è riuscito a sintetizzare con efficacia la situazione politica attuale. Io modestamente aggiungerei che il duo Mattarella Gentiloni attuerà una politica di basso profilo e forse di qualche efficacia con lo stile antico dei vecchi democristiani. Il tutto assecondando gli interessi dei parlamentari che vorranno arrivare quasi alla fine naturale della legislatura per ottenere il diritto al noto assegno. Il danno collaterale forse lo subirà Renzi che con passare del tempo sarà destinato al quasi oblio. Ancora una volta avrà sbagliato strategia.