Sarebbe riduttivo e fuorviante leggere solo in una dimensione di politica interna l’andamento del referendum costituzionale, sia riguardo all’alta partecipazione al voto che all’esito netto.
Più che un voto anti-Renzi si è trattato di una forte domanda di cambiamento che sale dalla classe media. I ceti lavoratori, in Italia come nel resto dell’Occidente, impoveriti da anni di politiche incentrate sugli interessi smisurati delle élite globaliste, hanno perso la fiducia in una classe politica sempre più cooptata e guidata dall’establishment. Nel contempo la classe media impoverita ha preso coscienza del fatto di costituire la componente di gran lunga maggioritaria dell’elettorato e ha finito per ritrovarsi a memoria nelle urne, pur con diversi – se non opposti – orientamenti politici, ogni qual volta se ne è presentata l’occasione: brexit, elezioni americane, referendum italiano.
La risposta a una così forte domanda di cambiamento data dalle élites dominanti è sconcertante.
Un gran maestro di queste élites, il presidente emerito Napolitano, ha puntato il dito sul suffragio universale, in sintonia con la sprezzante campagna dei grandi media (che hanno perso ogni credibilità e si sono ridotti a megafono dei poteri mondialisti) sugli elettori ignoranti che hanno sbagliato a votare. Sul banco degli imputati sono finiti anche i social network, perché la tecnocrazia è un regime, e non tollera tutto ciò che può mettere in discussione la versione ufficiale delle cose, quella che piace ai poteri forti, che spesso è fondata sulla menzogna, e che è blindata da ogni critica dalla dittatura del politicamente corretto.
Ma la risposta più pericolosa e miope al ritrovato protagonismo politico della classe media è stata quella dell’arroccamento dell’Europa al cambiamento.
La linea del Piave l’ha tracciata il presidente uscente Obama, qualche giorno dopo le presidenziali americane, nel suo mesto tour europeo nel quale ha idealmente passato alla Merkel, politicamente traballante, il testimone di supremo portavoce dei poteri globalisti, ruolo che sarebbe stato di Hillary Clinton. Da quel momento si è creata una spaccatura senza precedenti dal dopoguerra, al punto che non appare improprio parlare di due Occidenti, con la cancelliera tedesca che trascina i vertici europei e gli altri Paesi membri a sfidare apertamente, e comunque a mettersi di traverso, alla nuova Amministrazione americana che ancora non si è insediata.
In che cosa consiste questa agenda che le élites transnazionali impongono all’Europa di non abbandonare sebbene sia ampiamente disapprovata dai cittadini europei? Non è altro che la continuazione della globalizzazione selvaggia, dei trattati commerciali internazionali come il TTIP, dell’austerità insensata e insostenibile, dell’agenda di guerra e di creazione di caos, attraverso anche il finanziamento e il sostegno al terrorismo cosiddetto “islamico”, della punizione della Russia finché non si sottometta al trattamento predatorio delle sue risorse energetiche da parte dei grandi gruppi economici e finanziari occidentali, dell’affermazione dell’unipolarismo e del contrasto del multipolarismo come modello di governance globale.
Il che equivale a fare di questo secolo un secolo di guerre senza fine, perché senza il riconoscimento paritario del ruolo dei Paesi emergenti, dei BRICS in particolare, per quello che sono e non per come si vorrebbe che fossero – come ha esortato a fare anche papa Francesco nel suo messaggio per la prossima Giornata della Pace – non ci potrà essere pace.
Gli elettori occidentali, al di là e al di qua dell’Atlantico, stanno bocciando nelle urne il suddetto disegno mondialista, che mira ad imporre con ogni mezzo, anche la guerra e il terrorismo, un unico centro finanziario e un’unica valuta globale. E a spandere disuguaglianza e sfruttamento a livelli inimmaginabili in ogni angolo della terra.
L’Unione Europea è in crisi esattamente perché non è più quella dei Padri fondatori, bensì è stata subdolamente infiltrata e portata dalle tecnocrazie sulla lunghezza d’onda del globalismo. Le élites in realtà non vogliono l’unità europea, la intendono come una prova in piccolo di ciò che aspirano a fare a livello globale e per questo temono ed ostacolano la partecipazione popolare con la cessione di sovranità.
Ora, verrebbe da chiedersi come si pongono i cattolici democratici davanti a tutto questo.
Siamo sicuri di essere ancora dalla parte giusta della storia? L’elettorato “moderato” e popolare ha già dato la sua risposta e si aspetta che anche i dirigenti politici, sindacali, associativi di riferimento sappiano interpretare questa enorme spinta al cambiamento, a una svolta storica che faccia ripiombare nell’inceneritore della storia, quegli elementi di totalitarismo e di risorgente fascismo (camuffati da modernità) che hanno devastato le società occidentali e alimentato guerre ininterrotte.
Nel campo riformatore c’è necessità di riflettere su come recepire questa nuova domanda – che è insieme di cambiamento e di ritorno alla normalità – dell’elettorato popolare, e su quali contenitori possano risultare più idonei a rappresentarla, dando in tal modo una risposta concreta e credibile ai populismi. |