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Per le Autonomie, contro il centralismo
 
di Alessandro Risso
 

Nel precedente articolo sulle buone ragioni del NO al referendum costituzionale avevo lasciato a un successivo intervento le critiche alle modifiche del Titolo V contenute nella riforma. Anzi, meglio, nella “controriforma”: perché il testo Renzi-Boschi ci riporta sulla strada di un centralismo ministeriale che come eredi e continuatori del pensiero sturziano, incentrato sulle Autonomie locali regolate dal principio di sussidiarietà, non possiamo accettare.
La riforma voluta dall’Ulivo nel 2001 aveva alla radice proprio queste idee – le nostre idee – sugli Enti locali.
Chi oggi fa parte del Partito Democratico rinnega quelle scelte e parla di “uno sbaglio fatto per inseguire la Lega” (non solo l’onnipresente Renzi, anche Fassino e – che tristezza… – persino Castagnetti), e fa sembrare l’attuale testo costituzionale come “orfano”. E pure un orfano “scapestrato”. Sarebbe infatti colpevole di aver procurato un superlavoro alla Corte costituzionale, costretta a esaminare oltre 1500 ricorsi in 15 anni e a redigere un migliaio di sentenze per dirimere conflitti di competenza tra Stato e Regioni. Non c’è nulla di male nel fatto che la Consulta abbia lavorato molto, perché la mole di sentenze prodotte ha contribuito a definire il confine tra le competenze dei due Enti legislativi. Quindici anni fa si poteva forse parlare di “confusione di competenze”: oggi le criticità sono ormai superate. Eppure, delle 18 voci della legislazione concorrente, che viene ora eliminata, la riforma Renzi-Boschi ne riporta 11 in capo esclusivo allo Stato (commercio con l’estero, professioni, sport, comunicazione, energia, previdenza integrativa, sicurezza sul lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, alimentazione, protezione civile, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione). Delle restanti 7 (sostegno all’innovazione, istruzione, tutela della salute, governo del territorio, beni culturali e ambientali, attività culturali, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario) alle Regioni rimangono gli aspetti “di interesse regionale”, mentre le “disposizioni generali e comuni” competono allo Stato. Ma lo Stato, già nell’attuale ordinamento “concorrente” ha il compito di approvare nei diversi ambiti le “leggi quadro” di riferimento per guidare e limitare la legislazione delle Regioni. Peccato che tante, troppe “leggi quadro” non siano mai state fatte. E siamo arrivati al curioso paradosso di affidare all’attore più inadempiente, lo Stato, quasi tutte le competenze legislative delle Regioni.
Con in più la “clausola di supremazia” inserita nell’art. 117: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda (…) la tutela dell’interesse nazionale”. Quindi il Governo, con la maggioranza artificiale assicurata alla Camera dall’Italicum, potrà su ogni argomento sostituirsi alle Regioni.
Ecco il tocco finale della controriforma centralista.

Per giustificarla, molti rappresentanti del fronte del Sì presentano un quadro caricaturale del rapporto Stato-Regioni, dipingendo una situazione di anarchia il cui gli Enti locali, non governati dallo Stato, farebbero ciò che vogliono.
Ma il piano di rientro della sanità piemontese se lo è forse autoimposto Chiamparino? o c’entra qualcosa il ministero?
L’organizzazione regionale della Protezione civile intralcia il coordinamento nazionale quando viene un terremoto? o impedisce all’ottima Protezione civile del Piemonte, della Toscana, del Friuli di intervenire con tempestività a L’Aquila o ad Amatrice, coordinati da Roma?
E se è vero che tra le Regioni vi sono significative differenze nella qualità dei servizi, siamo certi che una invadente supremazia dello Stato sia la ricetta giusta? Con il passaggio delle competenze allo Stato, pensiamo ad esempio che possa migliorare la sanità in Calabria? o peggiorerà quella lombarda?
Come compensazione per gli Enti locali espropriati di competenze si esalta il nuovo “Senato delle Autonomie”, ma di questo, espressione dei partiti e non dei governi locali, ho già avuto modo di evidenziare i limiti.

Insomma, siamo piombati in una congiuntura politica di restaurazione centralista.
Sembra passato un secolo, ma solo 4 anni fa il PD sosteneva con il Governo Monti una riforma degli Enti locali incentrata su due livelli di governo locale, il Comune e la Provincia. Oltre a favorire la cooperazione tra Comuni, il progetto PD (vedi Assemblea Nazionale, Varese 7/11/2010, e Direzione Nazionale, Roma 15/2/2012) prevedeva il dimezzamento delle Province (ritornando ad essere tutte Enti di “area vasta”), il “dimagrimento” delle Regioni con il passaggio delle competenze gestionali amministrative alle Province, il “disboscamento” degli oltre 7000 Enti di secondo livello (Agenzie, Consorzi e simili, in parte inutili e/o inefficienti) con riassunzione delle loro competenze da parte di Comuni, Province e Regioni, i cui amministratori sono eletti direttamente dai cittadini e sottoposti al loro controllo democratico.
Il riordino delle Province (o Città metropolitane dove prevale la conurbazione) sarebbe stato il primo passo per riorganizzare e ridurre le sedi dello Stato sul territorio: avere metà Province (quattro in Piemonte, ad esempio, come sarebbe logico) avrebbe comportato il dimezzamento di Prefetture, Questure, Camere di Commercio, Comandi militari, Direzioni ministeriali ecc. Con risparmi, questi sì, importanti sul bilancio dello Stato. Tale progetto ha però generato comprensibili timori nell’alta burocrazia ministeriale…

Questo organico insieme di proposte si poneva in continuità con la riforma del 2001, al limite con qualche malinteso sulla Città metropolitana, dovuto a una politica dell’ANCI molto dipendente dalle grandi città (rimando alle condivisibili considerazioni di Bodrato nel suo ultimo articolo sull’aumento della distanza istituzionale tra l’Italia dei mille borghi e quella delle metropoli).
Persino la riforma tentata dalla Lega nel 2005 con la “devolution” e il federalismo fiscale andava nella direzione di una ulteriore positiva responsabilizzazione degli Enti locali. Che tra l’altro avrebbe anche ridotto il divario, non più giustificato, tra le Regioni ordinarie e quelle a statuto speciale. La riforma Renzi-Boschi aumenta invece questo solco, accentrando le competenze delle Regioni ordinarie e lasciando intatti i privilegi delle “speciali”. Si domanda Bodrato se ha prevalso il voto di scambio: oltre ad Alfano, preoccupato di non perdere il suo bacino di voti in Sicilia, avrà contato anche il parere della Serracchiani, vicesegretario PD e governatrice del Friuli?
Ma torniamo al 2006. Peccato che allora il centrodestra al governo avesse mescolato questi provvedimenti nello spirito delle Autonomie con il presidenzialismo berlusconiano, opportunamente bocciato dagli elettori al referendum. Ricordiamo inoltre che il successivo governo Prodi aveva avviato il processo di passaggio del catasto ai Comuni, poi stoppato dalla crisi del centrosinistra e dalla prevalente posizione statalista nel successivo governo di centrodestra (ricordate la foto emblematica della Polverini che imbocca Bossi, quasi un manifesto del potere romano che addomestica la Lega?)
Il PD, comunque, ha mantenuto vivo negli anni il progetto politico di valorizzare le Autonomie locali. Forse qualcuno lo avrà fatto per togliere spazio alla Lega, altri per convinzione. Poi con le elezioni del 2013 cambia il vento. Le proposte PD, recepite dall’Unione Province e valutate positivamente da Monti, vengono messe nel cassetto dal nuovo governo Letta di “larghe intese”. Ricordiamo Alfano che nomina 17 nuovi Prefetti, facendo salire il loro numero a 170: altro che ridurre le Province…
Poi arriva il governo Renzi che con il famigerato decreto Delrio attua il primo passo della controriforma centralista, ora completata con la revisione del Titolo V della Costituzione.
Come già fece Berlusconi nel 2006, per superare lo scoglio del referendum anche questa volta il governo in carica ha pensato di mescolare elementi positivi (abolizione del CNEL, giudizio di costituzionalità preventivo sulle leggi elettorali) o teoricamente accettabili (superamento del bicameralismo paritario, riduzione del numero dei parlamentari) con il subdolo tentativo di limitare le Autonomie e la sovranità popolare.
Oltre a non votare più i senatori, approvando la riforma metteremo la pietra tombale sulle Province, i cui amministratori erano votati da noi cittadini, tutti: non come il sindaco metropolitano eletto solo dagli abitanti del capoluogo e i consiglieri della Città metropolitana votati solo dai consiglieri comunali. Accetteremo la mutilazione del principio di sussidiarietà poiché, abolite le Province, l’Ente amministrativo di area vasta diventerà impropriamente la Regione, troppo grande e perciò più “lontana” dai Comuni. E accetteremo che lo Stato ritorni il dominus di ogni decisione periferica.
Centralismo, mortificazione delle Autonomie locali e del cittadino elettore: no, non è una riforma che possono accettare i “liberi e forti”.


giuseppe cicoria - 2016-12-05
Caro Alessandro la rabbia dei perdenti ti ha assalito. Hanno diritto a sfogarsi. Noi abbiamo lottato anche per loro che, alcuni ignari, altri in mala fede, hanno cercato di distruggere la Nostra bella Costituzione. Se ne facciano una ragione come diceva il loro capo che forse oggi farà le valigie dopo aver distrutto l'unità nazionale e la nostra Economia e messo in ridicolo l'Italia. Ho visto che le borse non sono crollate anzi forse festeggiano (vedi il dax). Questi signori credo abbiano perso di vista i principi fondatori dei popolari. Se non gli piace che qualcuno lotti perché questi principi vengano difesi, non c'è problema: vadano pure via. Ne possiamo fare a meno.
Paolo Parato - 2016-12-04
caro Risso scrivo dopo aver convintamente votato si e pure mi considero un autentico popolare. Permettimi un consiglio : lascia ai grillini il modo di argomentare con giudizi drastici e assoluti senza alcun rispetto per la storia personale di uomini che tanto hanno dato al nostro Paese( Castagnetti Letta ecc...). Almeno tra di noi la carità e il reciproco rispetto faccia premio sulla partigianeria.
Leonello Mosole - 2016-12-03
Sei proprio sicuro? Io scendo nel pratico e scrivo solo due parole(unite da un trattino): Torino-Ceres. E' dal 1990 che Venaria (e tutta la zona nord-ovest) aspetta un collegamento veloce con la città di Torino e le linee ferroroviare e ancora oggi lo vediamo messo in discussione. Grazie alle decisioni delle pseudo autonomie locali. Ciao Alessandro. Un abbraccio
Mario Rey - 2016-12-03
Udite udite apprendiamo con vivo tripudio che la Presidenza effettiva (suppongo con il consenso della Presidenza onoraria), emula dei migliore Sant Just ha istituto il RAP - Registro degli Autentici Popolari, che formeranno la APA - Associazione dei Popolari Autentici con rilascio della PAP Patente dei Popolari Autentici. Un vero democratico: ricorda il salviniano " non son mi che son rasista.. L'è lü che ghe se un negher". Mi candido alla Presidenza dell'APNA - Associazione Popolari Non Autentici.
maurizio perinetti - 2016-12-02
Caro Alessandro proprio non riesco a condividere le tue considerazioni. Soprattutto i toni: da crociata, secondo una visione ideologica che mi pare abbia provocato più guai che risolvere problemi.
Mario Rey - 2016-12-02
Molta veemente passione e soprattutto nessun dubbio. I criteri per stabilire chi fa che cosa nelle relazioni istituzionali e economico-finanziarie tra livelli di governo comporterebbero altre valutazioni, soprattutto chi deve rispondere di che cosa e a chi. Potrei suggerire qualche riferimento bibliografico. Per intanto più sento le ragioni un tantino urlate del No, più mi sento confermato nel SI da Libero e nel frattempo un po' deboluccio.
stefano lepri - 2016-12-02
Volevo dire Marini, ho scritto di fretta. Ho fatto molti confronti con Guido, la sua opinione l'ho capita. D'altronde anche tu sai che Bodrato non è stato ultimo segretario dei popolari. Comunque la battuta sul calcio davvero grande. Dimenticavo Renzi e la Boschi e Delrio, anche loro popolari. Quanti padri e figli degeneri!!!
Alessandro Risso - 2016-12-02
L'attivismo di Stefano Lepri per il Sì è encomiabile, ma avrebbe meritato miglior causa. Si nota anche qualche colpo a vuoto: dire che Bodrato sostiene il Sì, dopo aver letto gli interventi di Guido su Rinascita popolare, è come sostenere che Paolino Pulici è una bandiera della Juventus. Franceschini il credito lo ha perso da tempo, Letta se lo è giocato adesso. Avrei da argomentare, ma tralascio per brevità. Per quanto riguarda Castagnetti, è stato disconosciuto persino da amici di sempre, come i soci dell'Associazione Zaccagnini di Cesena. Sai, tra Popolari autentici ci teniamo in contatto... Infine, al di là della singola competenza, va colto lo "spirito" delle leggi (lo raccomandava Montesquieu, il padre delle democrazie occidentali): e lo spirito della riforma riporta al centralismo. Che i Popolari, a meno di rinnegare Sturzo, non possono accettare.
Stefano Lepri - 2016-12-02
Informo Risso e i popolari piemontesi che sostengono il SI gli ultimi due segretari del PPI (Castagnetti e Bodrato) e i due ex giovani migliori (Letta e Franceschini). Faranno tristezza ma forse qualche dubbio non ti viene? Se poi preferisci difendere il principio sulla carta (viva le autonomie) e non prendere atto che il commercio estero e la promozione turistica (tanto per fare due esempi) deve farli lo Stato perché così avviene in ogni paese del mondo e perché finora non ha funzionato ed è' costato solo soldi, amen.