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Reddito di cittadinanza, un confronto ineludibile
 
di Alessandro Risso
 

A beneficio di chi non ha potuto partecipare, pubblichiamo una breve cronaca del dibattito che abbiamo organizzato venerdì 4 novembre a Torino per capire se il reddito di cittadinanza potrebbe essere una risposta alla ormai strutturale mancanza di lavoro. Con il nostro Gianfranco Morgando e Nanni Tosco, una vita alla CISL e ora presidente dell’Ufficio Pio San Paolo a fronteggiare le nuove povertà, abbiamo messo a confronto il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino e Laura Castelli, giovane deputata dei 5 Stelle, eletta a Torino e componente del gruppo che ha elaborato la proposta di legge sul reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del movimento.
Ho introdotto il tema ribadendo ai relatori i quesiti di partenza: “Se il lavoro è il fondamento della nostra civile convivenza, come recita la Costituzione all’articolo 1, come possiamo mantenere coesa la nostra società in una economia in cui il lavoro viene a mancare per masse crescenti di persone, in particolare i giovani? Come garantire con altre modalità – che sia il reddito di cittadinanza o un servizio civile generalizzato e continuativo o un reddito di inclusione sociale – quella base di dignità umana e sociale che il lavoro, nelle forme in cui lo abbiamo conosciuto e organizzato, non è più in grado di rappresentare per tutti?”.

A Morgando è toccato l’onere di disegnare il quadro di riferimento, “un intreccio di problemi che indeboliscono la società italiana che ha perso il senso della sua prospettiva”. Ha sottolineato la crisi demografica e la caduta del reddito delle famiglie: “Una professoressa che conosco mi ha riferito che era abituata a vedere l’80% dei suoi studenti dell’ultimo anno iscriversi all’università. Della quinta dell’anno scorso si sono iscritti in quattro”. Poi è andato dritto al tema del reddito di cittadinanza: “Se è un intervento di sostegno al reddito per contrastare la povertà, bene. Se invece fosse uno strumento generalizzato, ho diverse perplessità. Ad esempio il problema delle coperture e il rischio di deresponsabilizzare i beneficiari, quasi un disincentivo alla ricerca di una occupazione: come ha scritto Ferrara in un commento all’editoriale su Rinascita popolare, il lavoro è indispensabile nella costruzione dell’identità di una persona”. Morgando, infine, è stato l’unico a non rassegnarsi al postulato iniziale: “Non darei per scontato che non potremo più costruire lavoro per tutti. Il lavoro rimane al centro della politica economica”.

Per Nanni Tosco “la vera sfida è riuscire a non mettere in contrapposizione i due termini. Siamo in un cambiamento d’epoca, in cui si creano posti di lavoro al vertice e ai piedi della scala, questi ultimi di reddito basso. Il problema vero è nella scomparsa del ceto medio, e per contrastare la disoccupazione occorre usare meglio le leve dell’istruzione e della formazione”. Ricorda che sul reddito di cittadinanza c’è un dibattito internazionale: “in Finlandia ne stanno progettando una forma che dovrebbe sostituire al 50% il welfare esistente. Preferisco però definirlo ‘reddito di partecipazione’, più in linea con le preoccupazioni di don Milani, per me sempre un riferimento, che raccomanda di non dare a tutti in parti uguali ma sulla base dei diversi bisogni”. La cittadinanza, poi, non necessita solo di un reddito: “una filosofa (Jennifer Nedelsky, nda) su ‘Avvenire’ auspica che tutti i cittadini dedichino alcune ore settimanali alla ‘cura’ degli altri da conciliare con il lavoro a orario ridotto”. Per il presidente dell’Ufficio Pio “è necessario uno strumento specifico di contrasto alla povertà, su base famigliare. Potrebbe essere il REIS, il reddito di inclusione sociale ideato dalle ACLI e da altri attori del Terzo Settore, per cui occorrono 7 miliardi”. È realista sulla disoccupazione ormai strutturale: “Dobbiamo essere consapevoli che non è più possibile inserire tutti nel mercato del lavoro. Ma ogni intervento di sostegno al reddito non può prescindere dall’equità fiscale: non sta in piedi un welfare in cui un terzo della platea è esente, un terzo evade e un terzo paga per tutti”.

Laura Castelli, da due anni nella Commissione Bilancio della Camera, esordisce ricordando che “per affrontare i bisogni occorre avere una visione lungimirante. E i dati parlano di 2 milioni e 759 mila famiglie sotto la soglia di povertà, in maggior parte coppie con figli minori e anziani con pensioni inadeguate. La politica europea aggrava la situazione: l’euro è una moneta uguale per Paesi in condizioni diverse, e il divario si nota tanto sul costo del lavoro”. Per affrontare la crisi e uscirne “occorrono investimenti, ma siamo un Paese che non punta sui settori strategici, ad esempio il contrasto al dissesto idrogeologico, dove si è calcolato che ogni miliardo di investimento crea 7000 posti di lavoro. Al momento invece ogni euro che è stato investito nei vari ambiti ha generato appena 60 centesimi”. Il reddito di cittadinanza va quindi visto “come un tassello da aggiungere a politiche di investimento mirate ed efficaci. La nostra proposta di legge è ora ferma al Senato, prevede coperture, che esistono sulla carta, per 17 miliardi”. Non si tratta di una misura universale uguale per tutti: “La nostra proposta di legge prevede che venga corrisposta una quota integrativa a chi ha reddito insufficiente e la quota intera a chi non ha nulla. Poi va collegato con le politiche attive per il lavoro e la riforma degli attuali Centri per l’impiego: abbiamo previsto che venga tolto alla terza proposta di lavoro rifiutata dal beneficiario”.

Sergio Chiamparino concorda con Tosco: “Lavoro e reddito non sono separabili. Non vorrei arrivare al paradosso di una società chiusa che, avendo pochi giovani, può permettersi di mantenerli con il reddito di cittadinanza. C’è la necessità di creare lavoro e dall’altro contrastare la povertà, con un reddito di accompagnamento al lavoro. La disoccupazione aumenta, lavori precari si estendono dappertutto: ci vuole uno strumento di reddito per sostenere le famiglie nei periodi di non lavoro o di reddito basso”. Il governatore del Piemonte è realista sulle posiibilità di uscire dalla crisi economica: “Penso che l’Europa sia la vera chance per la crescita. Ma che Europa è quella che ci obbliga a mettere a bando gli stalli degli ambulanti a Porta Palazzo, mentre non ha nulla da obiettare se una grande azienda si trasferisce armi e bagagli da Torino ad Amsterdam? Occorre una politica fiscale omogenea tra Paesi omogenei. Una Europa divisa non riesce a competere con Cina e USA”.

Le argomentazioni dei relatori sono stati riprese e ampliate da numerosi interventi del pubblico. Tra gli spunti più interessanti: come restituire alla collettività quanto si riceve come sostegno al reddito, la necessità di ridurre l’orario di lavoro per salvaguardare l’occupazione, il ruolo della pubblica amministrazione nelle politiche di sviluppo e contrasto alla povertà, la compatibilità dei consumi attuali del Nord del mondo, tra cui l’Europa (che dovrebbe rilanciare il percorso della cittadinanza europea e avviare gli eurobond), il macigno dell’evasione fiscale che rende falsata in partenza le politiche di equità sociale sui redditi, la dignità salariale dei lavori “bassi”, non specializzati, il mancato contrasto alla dissennata corsa alle delocalizzazioni.
Il dibattito ha ben evidenziato la portata ineludibile del tema trattato, che mantiene aperte tre questioni cruciali, sintetizzate da Morgando in chiusura: 1) definire confini e connessioni tra reddito di cittadinanza e reddito di inclusione sociale; 2) tra reddito e lavoro, meglio il lavoro, che dà di più alla persona: ma richiede interventi straordinari, specialmente pensando alla disoccupazione giovanile; 3) capire il rapporto tra lavori “alti” e “bassi”, con tutela della dignità di questi ultimi.
Chiamparino ha auspicato che il confronto su questi temi non si esaurisca nello spazio di un dibattito (che, fatto inusuale, ha avuto eco nella cronaca locale di Stampa e Repubblica) ma possa proseguire e venire approfondito da un lavoro seminariale. Come Associazione Popolari siamo pronti a raccogliere l’invito. Ne riparleremo.


Daniele Ciravegna - 2016-11-16
1. Preziosa è la precisazione data dall'on. Castelli circa il fatto che il "reddito di cittadinanza" dovrebbe avere una configurazione, non di tipo assistenziale, ma di politica attiva del lavoro: dalle informazioni fornite da giornali e tv non è così chiaro. 2. Faccio notare che l' "invece", scritto a proposito dei due casi numerici dati dall'on. Castelli, non ci sta. Infatti: Dire che un miliardo d'investimento crea 7000 posti di lavoro significa dire (dato che la produttività media (non il salario percepito) di un lavoratore si può stimare pari a 75 mila euro) un valore aggiunto creato pari a 75000 x 7000 = 525 milioni, cioè 0,526 per 1 euro investito, che non è molto distante dallo 0,6 del secondo caso. 3. Nel resoconto dato da Alessandro Risso, non si fa cenno alla necessità, presentata in aula, di scendere ad esaminare progetti operativi volti a ridurre la disoccupazione giovanile - e ce ne sono!. Forse sarebbe il caso di scendere a dibattere anche questi...
franco maletti - 2016-11-12
Ritengo non sarebbe una cattiva idea allegare gli articoli usciti su La Stampa e Repubblica (io ho letto soltanto quello su Repubblica). Se non altro per sapere che cosa ne pensano di questa iniziativa e, soprattutto, se ne hanno capito fino in fondo il "significato" (ad esempio, Repubblica lo evidenziava come un tentativo di avvicinamento e di dialogo, falliti, tra PD e 5 Stelle…). Personalmente i quattro relatori non mi hanno soddisfatto pienamente. Forse non hanno capito a fondo il tema. Mi riservo di spiegare le ragioni della mia delusione in un prossimo articolo.
giuseppe cicoria - 2016-11-10
Mi dispiace non aver partecipato. Ringrazio per questo riassunto. Mi sembra di poter essere sulla lunghezza d'onda di Morgando. C'è molto spazio ancora per creare lavoro che assicurerebbe sicuramente dignità alle persone. Un aiuto temporaneo alle vere persone che ne hanno bisogno appare utile e necessario. In Italia questo provvedimento si presta, però, ad imbrogli colossali che danneggerebbero tutte quelle persone per bene che lavorano, risparmiano e pagano le tasse onestamente e che sarebbero i soli finanziatori di tale provvedimento. I 5 stelle (sentire Di Maio) vorrebbero tassare le "pensioni d'oro" (solito mantra) ma non sono chiari da quale reddito netto un pensionato che ha pagato i corretti contributi deve considerarsi un privilegiato da escutere.