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Renzi ha ragione: la riforma è di destra
 
di Alessandro Risso
 

Argomento Europa a parte, dove purtroppo non riesce a incidere, mi accade poche volte di condividere le uscite del Presidente del Consiglio. E spesso capita anche che molte sue prese di posizione da applausi (“I soldi per il ponte sullo Stretto li dessero alle scuole per la realizzazione di nuovi edifici e per renderle più moderne e sicure”, Sulmona, 1° ottobre 2012) vengano poi clamorosamente ribaltate (“Per il ponte noi siamo pronti, abbiamo dimostrato che poche cose ci fanno paura. Se voi siete in grado di portare le carte e sistemare ciò che è fermo da dieci anni, noi lo sblocchiamo”, assemblea Impregilo, 27 settembre 2016). Ed esempi se ne potrebbero fare diversi.
Ma, dopo tutto, la capacità di cambiare sembianze – ecologista con gli ecologisti, imprenditore con gli imprenditori, operaio con gli operai, ecc. – è stata una delle abilità del suo illustre predecessore che ha dominato per vent’anni la scena della Seconda Repubblica. Diciamo che, come già per Berlusconi, la coerenza sui contenuti non è nelle corde di Renzi, più interessato a cavalcare l’onda del consenso immediato. E questo atteggiamento opportunista implica spesso repentine giravolte che rendono difficile capire il suo reale pensiero e individuare quando dice una cosa vera. Sul referendum costituzionale poi, il Premier sta concentrando tutto il suo repertorio di abile imbonitore, e chi lo ascolta fatica a discernere tra uscite esagerate e deformate quanto vi è di credibile.

Ma una sua recente dichiarazione mi è sembrata assolutamente oggettiva e in linea con il giudizio che abbiamo maturato sulla riforma. Intervistato per “Il Foglio”, Renzi ha dichiarato: “I voti di destra saranno decisivi al referendum. La sinistra, ormai, è in larghissima parte con noi. Direi che la stragrande maggioranza è con noi. La questione vera oggi è la destra. E l’elettore di destra oggi si trova di fronte a due scelte: votare sul merito, non votare sul merito. Se la scelta diventa votare sul merito vota Sì e sono certo che alla fine andrà così”.
Lasciamo da parte l’immancabile fanfaronata (sullo “stragrande” consenso a sinistra) e soffermiamoci sulla parte importante: se l’elettore di destra vota sul merito della riforma, vota Sì. Renzi in questo ha proprio ragione: la sua riforma non può che piacere a chi è di destra.
Per intenderci, definiamo di destra chi auspica una limitazione del potere democratico, espressione di tutto il popolo, in favore di una base più ristretta, oligarchica, di cui ovviamente si sente parte. E quindi non teme, e anzi approva, la possibilità di governi più decisionisti e autoritari.
Ora, è un fatto – non un’opinione – che la riforma Renzi-Boschi riduca gli spazi di scelta del cittadino-elettore: non voteremo più i senatori (eletti dai consiglieri regionali) né gli amministratori di area vasta (con le Province abolite e i consiglieri delle Città Metropolitane eletti dai consiglieri comunali).
Un altro fatto – non un’opinione – è che da tre legislature i parlamentari non sono scelti dall’elettorato ma decisi dai partiti. Sarà anche stato dichiarato incostituzionale, ma dopo dieci anni siamo ancora alle prese con il Porcellum e i suoi frutti – i “nominati” –, che solo in parte verranno ridotti dall’Italicum. Questa nuova legge elettorale – che tutto il mondo avrebbe dovuto invidiarci (parole di Renzi) ma già rimessa in discussione da quando, alle Amministrative, si è visto che il vincitore annunciato rischiava di perdere – potrà assegnare a una ridotta minoranza nel Paese (anche meno del 20% dei consensi) le chiavi della maggioranza assoluta. E, combinata con alcune delle modifiche costituzionali volute dal Governo, apre la strada a una nuova epoca contrassegnata dalla supremazia dell’esecutivo. Con il Parlamento che diventa subalterno e perde il suo ruolo di rappresentanza, confronto e mediazione.
Aggiungiamo al quadro il neo-centralismo che ispira i cambiamenti degli articoli al Titolo V, quello sulle Autonomie locali. Lo statalismo appartiene da sempre al bagaglio ideologico dei regimi autoritari, non importa se con le bandiere rosse o nere o nazionali. Le Autonomie sono invece patrimonio delle concezioni democratiche, di qualunque filone culturale, sia esso liberale, socialista o cattolico. Tra le radici profonde del Popolarismo c’è il pensiero municipalista di Luigi Sturzo, non dimentichiamolo mai.

La Repubblica italiana non è in buona salute, ma dobbiamo vedere se curarla da sinistra, applicando finalmente la democrazia dove i princìpi costituzionali sono stati finora disattesi, oppure se curarla da destra, restringendo gli spazi di democrazia, agevolando le oligarchie dei “poteri forti” e l’avvento dell’uomo solo al comando. Che non è Fausto Coppi, e che difficilmente avrà i valori morali e le capacità di un De Gasperi.
Tutto considerato, possiamo davvero convenire con Renzi che “i voti di destra saranno decisivi al referendum”. Non sappiamo però se in quell’elettorato prevarrà la voglia di provocargli una cocente sconfitta votando No oppure se le ragioni di merito lo orienteranno per il Sì.
Come non sappiamo quanta parte dell’elettorato PD farà prevalere le ragioni di bandiera votando Sì e quanti invece, vedendo nel merito l’arretramento democratico che si insinua nella Costituzione, bocceranno la riforma scegliendo il No.


giuseppe cicoria - 2016-10-10
Condivido totalmente il pensiero espresso da Alessandro. Aggiungo che il trasformismo di Renzi ha causato la profonda delusione di tanti, compreso me, che dalla prima ora lo hanno sinceramente sostenuto con entusiasmo, liberamente e senza vantaggi. Le delusioni si sono trasformate in abbandoni del PD anche dolorosi ma necessari. Ora il tutto sta causando risentimenti per il tradimento subito o per lo sbaglio di valutazione all'epoca fatto. Bodrato ha fatto bene nel confronto di sabato mattina a mettere in evidenza quali sono i fini che Renzi vuol raggiungere con il combinato disposto modifica e legge elettorale. La deriva autoritaria personale od oligarchica ai veri democratici non deve stare bene. E giusto, quindi, fare quadrato per opporsi a questo maldestro obiettivo. Se si riesce prima ad annullare questo disegno; poi sarà da galantuomini lasciare la poltrona di primo ministro ad altri che hanno una visione della democrazia più consona al bene degli italiani. Tutto ciò "alla faccia" dei poteri forti che pensano di trasformare l'Italia in una colonia dove per fare affari è sufficiente interloquire con il solo "uomo al comando". Se vince il NO l'Italia nel periodo lungo avrà più rispetto e non subitrà tracolli di nessun genere..anzi..!
Arnaldo Reviglio - 2016-10-07
Si è parlato per mesi di unioni civili ed ora per altri mesi di questa "riforma" mentre le vere priorità non vengono affrontate, solo poche delle proposte sbandierate a suo tempo riescono timidamente a venire alla luce. Il referendum così impostato sul futuro del Premier/Segretario è stato voluto da lui stesso. La riforma scorporata potrebbe avere anche qualche consenso, ma così com'è proprio no. E il nocciolo della riforma (non interessa se costituzionale), a mio modo di vedere, dovrebbe essere la gratuità della politica, che non vuol dire a costo zero, ma ridimensionato fortemente. In Italia siamo agli eccessi coi costi della politica (e troppo poco si è fatto)!
giorgio merlo - 2016-10-07
Tutti sanno, credo anche i frequentatori dei bar sport, che il prossimo referendum costituzionale è una scelta decisiva sul futuro politico del Premier e segretario nazionale del Pd. O meglio, sul "gradimento" politico del Premier. Prima e oltre al merito della riforma. Come tutti sanno, anche quelli che fingono di non sapere. Ora, al di là delle chiacchiere e della comprensibile ipocrisia che accompagnano questo pseudo dibattito, c'è un elemento - ed è l'unico punto su cui richiamo l'attenzione - che denota e caratterizza la cultura di destra. E cioè, ogniqualvolta c'è un appello "plebiscitario", cioè un richiamo al "popolo" sul destino politico della propria persona, c'è un elemento che, da decenni, segna la cultura della destra. Non la contesto, ma è oggettivamente così. E questo referendum, a differenza di tutti quelli che si sono svolti nel nostro paese dal secondo dopoguerra, per la prima volta inserisce un elemento plebiscitario attorno al destino politico di una persona. A prescindere dal merito della contesa. Lo sanno tutti. Come ovvio. Adesso, per fortuna e per onestà intellettuale, cominciano a dirlo timidamente anche alcuni mezzi di informazione sdraiati sul potere. Ma è bene saperlo, almeno noi che non ci riconosciamo - ancora, per il momento... - nei poteri forti.
Alessandro Risso - 2016-10-07
Vorrei ribadire a Stefano Lepri che parole di Renzi sono riportate fedelmente dalla sua intervista su "Il Foglio", che non è stata contestata o rinnegata dal premier in nessuna parte. E Renzi dice chiaramente che l'elettore di destra, se sceglie di votare sul merito della riforma, vota sì. Perché nel merito, evidentemente, la riforma ha elementi che devono piacere a un elettore di destra. Lo pensa Renzi, e su questo sono d'accordo con lui. Non c'è proprio nessuna forzatura delle sue parole. Posso capire l'imbarazzo che può provare un senatore del PD per quelle dichiarazioni, ma non è un problema mio.
stefano lepri - 2016-10-07
Avrò modo sabato di confrontarmi e di argomentare e per questo ringrazio l'associazione. Evidenzio che Renzi non ha mai detto che la riforma è di destra, ma che servono anche i voti della destra. Ovviamente è molto diverso, ma non mi sorprende la forzatura. Si potrebbe, con la stessa forzatura, dire allora che i partiti di destra, essendosi schierati per il no, portano tutti coloro che sono contro la riforma ad essere di destra. O si potrebbe, con la stessa logica, dire che chi obietta la mancanza di larghe intese nel riformare la costituzione in realtà voleva realizzare una riforma più di destra. Insomma, cerchiamo almeno di tenere un confronto civile.
Antonio R. Labanca - 2016-10-06
Grazie, Alessandro, per avere dato parole a una parte almeno delle preoccupazioni che il plebiscitarismo di Renzi vorrebbe annullare seguendo una generica chimera di cambiamento. Per fargli capire perché siamo preoccupati si dovrebbe proporgli di suggerire all'allenatore il cambiamento totale dei titolari della Fiorentina, ad esempio, in una partita contro la Juventus, ad esempio. Mettendo in campo le giovani leve, che hanno diritto di mandare nello spogliatoio chi ha già giocato troppo, spostando in difesa gli attaccanti e, perché no?, facendo giocare il portiere da centravanti. E rendere quadrato il campo, annullando qualche traccia bianca: sarebbe tutto più dirigibile da parte dell'arbitro."Ma che volete: ancora giocare al calcio? ragazzi, dobbiamo allinearci allo standard europeo e giocare al futbolle!". Qualcuno che gli è vicino, gli spieghi che alla UEFA non c'è bisogno di cambiare le regole per trovare la squadra migliore del continente.
Franco Campia - 2016-10-06
Non potendo, purtroppo (sarò all'estero), assistere al confronto promosso dall'Associazione per sabato prossimo tra Guido Bodrato e Stefano Lepri colgo l'occasione per una breve considerazione a commento di questa nota di Alessandro Risso. Parto da un dato "esperienziale", che naturalmente vale quel che vale. Ho poco fa incontrato un vecchio amico e collega, proveniente dalle fila del vecchio PCI, che senza esitazione alcuna mi ha dichiarato la sua scelta per il SI, dandomi, a fronte di qualche mia obiezione, del "solito democristiano conservatore". Analogamente mi è capitato di confrontarmi con diversi conoscenti, collocabili genericamente a "destra", che hanno a loro volta senza esitazione dichiarato la stessa scelta. Non per le ragioni però esposte da Alessandro ma piuttosto perchè "bisogna cambiare" e se non lo si fa questa volta non lo si farà più (oltre al taglio dei politici, all'eventuale brutta immagine proiettata all'estero, ecc...). Devo dire con sostanziale indifferenza per la qualità del cambiamento. Ora aggiornare, ammodernare il nostro impianto legislativo è certo obiettivo sacrosanto ma non qualunque cambiamento è migliorativo. Un esempio è il disatroso caso della riforma che ha coinvolto un Ente a me - comprensibilmente - molto caro: la Provincia, uscito appunto massacrato dal "cambiamento" e con lei il sistema di governo delle autonomie locali. Allora, la riforma costituzionale intrecciata indissolubilmente con la nuova legge elettorale rappresenta un cambiamento virtuoso o solo "un cambiamento"?
Giuseppe Davicino - 2016-10-06
Molto opportunamente l'amico Alessandro ricorda le nuove modalità di elezione dei consiglieri delle Città Metropolitane, che appartengono alle cronache di questi giorni. Che triste spettacolo, che umiliazione della sovranità popolare! Era questo, quello che vedremo a Torino domenica prossima, il futuro radioso dei territori liberati dalle Province, che la riforma costituzionale abolirà definitivamente? Eppure tali elezioni sono lo specchio del nuovo modello di democrazia che ci sta trasformando da cittadini a schiavi delle varie J.P. Morgan, Goldmann Sachs e simili, alle quali, dai tempi della riforma della Banca d'Italia in avanti, vanno una parte non piccola dei nostri tributi.