Jeremy Rifkin, con il suo libro sulla fine del lavoro, scritto nel lontano 1995, ci aveva già fatto intravedere con largo anticipo quanto sta oggi capitando nel mondo: perché, anche se molti chiudono gli occhi, è evidente che fra le cause principali dell’ormai crescente disoccupazione strutturale ci sono anche le cosiddette tecnologie “risparmia-lavoro” (labour saving).
La sua capacità di saper guardare lontano emerge anche da un altro suo libro di successo: è il caso di L’era dell’accesso, pubblicato nel 2000, quando in Europa i fenomeni descritti nel libro potevano sembrare appena accennati, mentre attualmente sono sempre più presenti.
L’inizio della trasformazione in atto descritta da Rifkin si può far risalire agli anni Ottanta, quando il mercato ha assorbito nel dominio economico privato una sempre più larga quota di servizi, a partire da quelli che in passato erano compresi nella sfera statale o pubblica (trasporti, poste, telecomunicazioni, servizi sanitari, istruzione ecc.). E la popolazione si è sempre più rivolta al mercato per assistenza ai bambini, agli anziani, agli ammalati, ai disabili, compiti in precedenza assolti dall’organizzazione sociale (famiglia, amici, vicini, comunità locale). Nel contempo, anche le imprese produttrici di beni materiali durevoli hanno gradualmente portato l’attenzione verso i servizi.
Nel pieno dell’era industriale, pur rimanendo centrale l’accento posto sulla vendita dei beni, si era sviluppata, per incentivarne l’acquisto, sempre più l’assistenza al consumatore, fino a giungere all’oggi quando, sulla vendita del prodotto, tende a prevalere la fornitura di servizi di assistenza a pagamento per stabilire una relazione duratura con il cliente. Questa tendenza si sta ora sviluppando fino a una dimensione (ormai dominante negli USA) nella quale l’acquisto (a fine di possesso) è sostituito dall’accesso ai beni durevoli: il produttore del bene ne mantiene la proprietà, e lo noleggia, lo affitta, o lo dà in uso temporaneo a fronte del pagamento di una tariffa o di un abbonamento.
Alcuni fattori hanno favorito il passaggio dall’acquisto all’accesso.
La possibilità di comprare beni costosi riguarda un numero abbastanza ridotto di persone. Con l’accesso, il numero di quanti possono usufruire di questi beni è cresciuto moltissimo. In aggiunta, la velocità dell’innovazione tecnologica rende obsoleti molti beni in tempi brevi, mettendo in discussione la nozione e il valore del possesso a favore dell’accesso temporaneo, che garantisce di avere a disposizione sempre il prodotto più avanzato o all’ultima moda.
Anche nel settore manifatturiero, si sta affermando il ricorso all’accesso per quanto attiene ai mezzi strumentali. Inoltre, le aziende si collegano tra loro e con i fornitori per condividere risorse fisiche, informazioni e conoscenze poiché mettendo in comune le forze si risparmia e si possono ottimizzare i risultati. Si ricorre sempre più all’outsourcing, cioè ad accordi in base ai quali un’azienda appalta a un’altra una funzione o un servizio che in precedenza realizzava da sé, concentrandosi, per implementare i profitti, su quello che è il cuore della sua attività, lasciando ad altri la gestione delle funzioni di supporto. Al limite, aziende (come Nike, ad esempio) appaltano tutta la fabbricazione del prodotto materiale mantenendo la progettazione, il design, il marketing e la distribuzione del prodotto. A rendere possibile questa nuova economia, è stata la rivoluzione tecnologica che ha investito il settore della comunicazione con la creazione delle reti elettroniche, alle quali sono collegate sempre più persone.
Nel processo economico che si sta venendo a creare, la proprietà del capitale fisico diventa meno rilevante: la forza dominante è il capitale intellettuale (le idee, i brevetti, la capacità organizzativa, ecc.). Il capitale intellettuale rimane in possesso dell’azienda al centro del processo produttivo (il fornitore) che lo noleggia o ne autorizza un uso limitato da parte di terzi. Nell’era delle reti, i fornitori che accumulano capitale intellettuale esercitano il controllo sulle condizioni e sui termini che vincolano l’accesso a conoscenze e idee. Questo nuovo assetto, grazie alle reti, concentra il potere economico nelle mani di un numero di istituzioni più ridotto di quanto avveniva con il trasferimento dei beni sul mercato, nella logica del venditore-compratore.
Che valutazione dare dei profondi mutamenti in atto nella società e nell’economia?
I mutamenti connessi all’affermarsi dell’accesso sono molti e complessi. Mi soffermo, per il momento, su due di essi.
Primo. L’affermarsi dell’accesso rispetto all’acquisto e al possesso in proprietà, la miglior utilizzazione e la condivisione dei beni, e il prevalere dei servizi sulla produzione di manufatti sono fenomeni che si accompagnano alla miniaturizzazione dei prodotti e alla sostituzione del loro contenuto fisico con l’informazione, un processo che nel suo insieme conduce all’affermarsi di un’economia cosiddetta dell’“immateriale”, che spinge molti economisti a dire che non esistono più limiti allo sviluppo (comprensivo della crescita del PIL). Ma, come sottolinea lo stesso Rifkin, se un quinto della popolazione planetaria sta migrando verso l’accesso e il ciberspazio, il resto dell’umanità continua a vivere in un mondo in cui scarseggiano i beni materiali, a partire dal cibo. Si potrebbe aggiungere che questo mondo dell’accesso poggia su infrastrutture e su consumi materiali ben solidi e richiede apporti energetici e di materie prime significativi, mentre il trasferimento nei Paesi emergenti della produzione industriale dei beni che utilizza l’Occidente (anche quello della nuova economia dell’immateriale) sposta semplicemente inquinamento e consumo di materie prime da un territorio a un altro.
Quindi possiamo dire che l’esistenza di limiti allo sviluppo materiale resta al momento un problema aperto, e altrettanto rimane improbabile che si possa risolverlo con il solo ricorso alla tecnica.
Mi conferma in questa opinione il messaggio di papa Francesco contenuto nell’Enciclica Laudato si’. Infatti, a quanti sostengono che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, e che la fame e la miseria nel mondo troveranno soluzione semplicemente con la crescita del mercato, il Pontefice risponde che “il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale”, e aggiunge che “non ci si rende conto a sufficienza di quali siano le radici più profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica”.
Secondo. Abbiamo visto che la radicale ristrutturazione in corso dell’economia globale porta a ridimensionare il concetto di proprietà. Questo fatto sarà giudicato positivamente da coloro per i quali la proprietà è ritenuta un furto e da quanti criticano la concezione della proprietà privata come un diritto assoluto che esclude ogni altra persona dall’uso del bene. Ma Rifkin ci mette in guardia, dicendoci che tutto ciò non deve creare l’illusione che egoismo, avidità e sfruttamento stiano per scomparire. Anzi, l’età dell’accesso rischia di nascere sotto il segno di un maggiore sfruttamento: infatti, il capitale finanziario investe prioritariamente nel campo intellettuale, e controllare le idee dà più potere del controllo del capitale fisico. Le relazioni di accesso, come quelle di proprietà, sono fatte per creare distinzioni. La distinzione è fra chi è connesso e chi non lo è: i possessori dei canali di comunicazione controllano gli ingressi alle reti e stabiliscono chi partecipa al gioco e chi resta fuori.
Inoltre, Rifkin si chiede che cosa possa accadere dell’orgoglio personale, del senso di responsabilità e della dedizione che si associano al possesso, in una società in cui si entra in contatto con la quasi totalità delle esperienze attraverso rapporti di accesso.
E ancora, cosa ne sarà dell’autosufficienza? Infatti avere proprietà va di pari passo con l’essere indipendenti. Inoltre, una parte primordiale della nostra natura resta legata alla terra e alla nozione di territorio. In particolare, la proprietà della casa permette di provare l’ancestrale senso di appartenenza a un luogo, a una terra, e di legame con le origini.
In tempi di diffuso conformismo, queste considerazioni di Rifkin denotano una forte e coraggiosa presa di distanza dalle posizioni prevalenti tra i suoi colleghi economisti, tutti allineati con quel pensiero neoliberale che considera anticaglie improponibili concetti come terra, radicamento, appartenenza, origini e identità, e che, in sintesi, si propone di cancellare la nostra eredità culturale per rimuovere ogni ostacolo alla totale affermazione del mercato.
E il futuro prossimo ci riserva per molti aspetti una condizione umana ancora più inquietante. Stiamo entrando nel tempo, ci avverte profeticamente Rifkin, in cui saranno incanalati verso il mercato non solo i bisogni di beni o di servizi, ma anche gli aspetti emotivi della vita. Per quella parte della popolazione mondiale che gode di tutti i benefici del sistema di vita capitalistico, il consumo di beni ha raggiunto il punto di saturazione. Pertanto, il capitalismo si trova costretto ad appropriarsi dei significanti della vita culturale, delle forme artistiche di comunicazione che li interpretano, e infine anche dell’esperienza vissuta. In un futuro ormai prossimo, gli scambi economici nella forma più innovativa, riguarderanno prevalentemente, più che beni e servizi, la commercializzazione di esperienze culturali (viaggi, turismo, parchi a tema, centri per il divertimento o il benessere, moda, ristorazione, sport, gioco d’azzardo, musica, cinema, televisione, mondo virtuale, ecc.). La pubblicità, denuncia Rifkin, si sta impossessando della cultura, la frammenta in brani e la trasforma in mezzo per condizionare i consumatori, e, sempre più, in intrattenimento a pagamento. Solo ieri, si è avuta la deregolamentazione dei servizi e delle attività esercitate dallo Stato, con il conseguente assorbimento nell’ambito dell’economia privata.
Oggi avviene la progressiva inclusione della sfera personale nel dominio del mercato.
Che cosa accadrà, si chiede Rifkin, all’esistenza umana, a livello profondo, nel momento in cui sarà completamente avviluppata da una ragnatela di rapporti di natura economica? Che cosa sopravvivrà delle relazioni non economiche, dei rapporti familiari, di vicinato, di comunanza di interessi culturali, del sentimento religioso, dell’identificazione etnica, del coinvolgimento civico o solidaristico?
Sono quesiti che debbono farci meditare, soprattutto quando, in tutti gli ambiti a partire dalla politica, il “nuovo”, di qualunque natura esso sia, viene vissuto come valore assoluto a cui tutto deve essere sacrificato. |