Dopo le gli articoli di Merlo, Ladetto, Bodrato, Buat e Morgando, pubblichiamo anche le considerazioni sul voto torinese del senatore alessandrino Federico Fornaro, componente della sinistra bersaniana del PD e apprezzato analista dei flussi elettorali.
Siamo abituati da sempre a leggere analisi del voto fondate principalmente, quando non unicamente, sui raffronti riguardanti le percentuali calcolate sui voti validi ottenute dalle liste e dai candidati sindaci. Nella prima repubblica le sconfitte e le vittorie si misuravano addirittura sugli scostamenti dello zero virgola, oggi gli spostamenti di un elettorato sempre più mobile possono assumere dimensioni maggiori, ma i commenti raramente ci soffermano sui numero dei voti in valore assoluto, ovvero sugli elettori in carne e ossa.
Dimenticarsi per un attimo delle percentuali, può aiutare, invece, a comprendere quel che è successo a Torino nelle ultime comunali. Ad esempio, pochi credo abbiano la percezione corretta che dal 1993 (anno della prima elezione diretta dei sindaci) al 2016 il numero dei votanti è crollato da 639.000 a 398.000, con un decremento di 241.000 elettori: circa 38 elettori su 100 hanno silenziosamente abbandonato il “campo di gioco” delle elezioni.
Se restringiamo l’analisi agli ultimi dieci anni (2006-2011), la flessione appare più contenuta, ma sempre significativa e spia di un disagio che non esprimeva dentro il seggio ma fuori: 477.000 votanti nel 2006, 79.000 in più rispetto al dato del 2016. Nello stesso arco temporale, il centro-sinistra passa da 308.000 voti (2006) a 255.000 (2011) per crollare a 160.000 consensi (2016).
Nell'analisi sull’elezione del passaggio di testimone tra Chiamparino e Fassino, nel 2011, prevalse, ovviamente, il dato della vittoria al primo turno e della continuità e poco spazio fu, invece, riservato alla significativa flessione nei consensi: 53.000 voti in meno, ovvero un abbandono di 17 elettori su 100. Una perdita di appeal che, nascosta dalla vittoria è, invece, riapparsa fragorosamente nel 2016: in cinque anni abbandonano il candidato sindaco del centro-sinistra 95.000 elettori, pari a 37 elettori su 100 e in dieci anni la defezione è di 148.000 elettori (48 elettori su 100). Di questi 95.000 elettori in uscita dal centro-sinistra rispetto al 2011, Airaudo ne intercetta al massimo 14.000.
L’andamento negativo del centrodestra è simile: 64.000 voti in meno in dieci anni (47 elettori su 100 in meno) e 51.000 voti in cinque anni, nonostante 3 candidati sindaci (41 su 100 in meno). Il Movimento 5 Stelle, il vincitore di questa competizione, invece, rispetto al 2011 quintuplica i suoi consensi (da 22.000 a 118.000 voti).
Ricapitolando, in dieci anni, i due maggiori schieramenti (centrosinistra e centrodestra) lasciano sul campo 212.000 elettori (rispettivamente 148.000 e 64.000), mentre il M5S passa da zero a 118.000 voti e i votanti calano di 79.000 unità. Rispetto al 2011, invece, centro-sinistra e centro-destra arretrano di 146.000 (rispettivamente 95.000 e 51.000); la Appendino migliora il risultato di Bertola di 96.000 voti, Airaudo come detto ottiene 14.000 voti e ci sono 73.000 votanti in meno.
Detto in altri termini, il voto di protesta prende due direzioni: il Movimento 5 Stelle e l’astensione.
Una maggiore attenzione – da parte del Pd e del centrosinistra – all’andamento dei voti validi e dei votanti e non alle più consolatorie percentuali, avrebbe, forse, aiutato a far scattare l’allarme con maggior anticipo e, certamente, può contribuire a porre le condizioni ottimali per una rapida riconquista del comune di Torino, così come avvenne a Bologna dopo l'inatteso successo di Guazzaloca nel 1999. |