Dopo le gli articoli di Merlo, Ladetto, Bodrato, Buat, Morgando e Fornaro, più i relativi commenti dei lettori, chiudiamo la serie di articoli dedicati al clamoroso risultato delle elezioni amministrative con le considerazioni del nostro amico senatore PD Stefano Lepri, ultimo contributo prima del dibattito aperto di lunedì 11 all’Educatorio della Provvidenza (ore 17.45, corso Trento 13 – Torino). L’invito è allegato in fondo all’articolo..
La sconfitta di Torino ha ragioni inevitabili e altre riconducibili a responsabilità precise.
Le prime sono sostanzialmente riconducibili all’onda lunga determinata dalla drastica crisi industriale degli anni ottanta e novanta. Torino, da città a fortissima vocazione manifatturiera ha dovuto trasformarsi brevemente in realtà polivalente, e lo ha fatto con una capacità davvero sorprendente, con esiti ammirati da chiunque l’abbia rivista o visitata.
Gli ultimi cinque anni sono stati in parte diversi per una semplice ragione: si è potuto disporre di molte meno risorse. Il grande debito accumulato per le grandi opere è stato messo sotto controllo, non solo con dismissioni patrimoniali. Si sono poi ridotti, inevitabilmente, gli introiti per diritti edificatori e oneri di urbanizzazione, che negli anni precedenti si erano invece rivelati una grande leva per gli investimenti pubblici. Si aggiunga poi il taglio (fermatosi solo quest’anno) dei trasferimenti da parte dello Stato: non solo di quelli per spesa corrente, ma anche in conto capitale per investimenti.
Il combinato disposto del blocco all’indebitamento, della riduzione del debito, del declino delle entrate straordinarie per via urbanistica e della riduzione dei trasferimenti statali ha portato a una riduzione della spesa e quindi (nonostante gli sforzi per una maggiore efficienza) di qualche servizio. Intendiamoci, non si è trattato di una riduzione draconiana delle prestazioni, ma l’effetto si è visto. E i cittadini questi servizi in meno, specie nelle periferie, li hanno notati. E non certo apprezzati. Così come non hanno apprezzato alcuni (pur limitati) aumenti nelle tariffe e nelle imposte locali.
Si poteva fare diversamente? Sicuramente le scelte di allocazione delle risorse non sono state tutte convincenti. Ma è comunque anche da qui, dal fatto che con meno risorse si sono dovuti ridurre (almeno un po’) i servizi, che si deve partire per motivare la sconfitta.
Se invece guardiamo ai nostri limiti posso dire, sintetizzando, che è mancata un po’ la dimensione empatica. Per esempio, convincerci che ci avrebbero votato solo in previsione di nuove grandi opere e trasformazioni nelle periferie è stato una leggerezza. Ci voleva più cuore, insomma, mentre si lavorava a testa bassa. La politica è anche saper essere e saper ascoltare. Non solo saper fare. E’ abbracciare e guardare negli occhi, immedesimarsi nei problemi, condividerli. E’ ammettere le difficoltà nel dare risposte, ma almeno spiegarne le ragioni. E’ riconoscere la fatica della vita quotidiana, non solo l’orgoglio delle cose fatte. Si tratta di una critica, intendiamoci, che vale per tutti: sindaco, ma anche assessori, consiglieri, consiglieri regionali, parlamentari. Vale anche come autocritica.
Quando abbiamo fatto campagna nel corso del ballottaggio, abbiamo ascoltato il senso di abbandono denunciato in molte periferie. Bisognava starci di più, prima e con più metodo. Ad esempio, non tagliando i piccoli servizi “leggeri” e di prossimità, finanziati dalla circoscrizioni, che costano poco ma sono molti apprezzati. Oppure organizzando in modo capillare un volontariato civico, specie reclutato tra persone avanti negli anni, per proteggere e manutenere gli spazi pubblici e con il vantaggio di assicurare partecipazione, controllo sociale, protagonismo diffuso. Un’idea non certo nuova, ma non si poteva fare prima? |