Domenico Accorinti - 2016-07-13 Comunemente in filosofia politica viene collegato il concetto di ideologia (termine che dalla sua coniazione di strada semantica ne ha fatta molta) alla concezione progressista della storia e viene fatto rilevare dagli storici delle dottrine politiche che dal concetto unico di ideologia come rappresentazione di una unica forma di progresso dalla fine dell'ottocento si è passati, attraverso tutto il novecento (V. K.D. Bracher,Il Novecento secolo delle ideologie, Ed. Laterza, Roma-Bari, 1984) ad una pluralità di concezioni relative alle forme di progresso, e quindi di ideologie, tra loro contrastanti ma con una matrice comune: l'uomo informando l'azione politica nella direzione che le filosofie progressiste della storia avevano individuate avrebbero garantito uno sviluppo infinito dell'uomo sia in termini di evoluzione spirituale che di evoluzione materiale (presupposto imprescindibile dell'evoluzione spirituale, visto che il meccanismo di quasi "deificazione" per autoredenzione doveva avere come strumento la liberazione dalle tante schiavitù che la natura matrigna, ma illimitata nelle sue possibilità di essere sfruttata nelle sue ricchezze imponeva da sempre all'umanità: miseria, malattia, etc).
Tutti questi presupposti sono stati smentiti dall'ormai evidente limitatezza delle possibilità di sfruttamento del mondo naturale e l'illusione di un possibile arricchimento universale e infinito senza danno per alcuno (basta una politica di giustizia distributiva e tutto si aggiusta) è ormai sostituito dal problema della distribuzione delle risorse, che non si presenta più come un semplice problema di distribuzione tra i membri presenti in un dato momento nelle collettività umane, prima nell'ambito di ogni singola polis (lotte all'interno di ciascuno stato per una accettabile distribuzione, ritenuta giusta, della ricchezza), poi nell'ambito mondiale (lotta tra città e campagna la definiva con fantasia orientale Mao), bensì come un problema di distribuzione delle risorse nel tempo tra le generazioni in concomitanza con altri limiti "tecnici" propri del modo industriale di produrre, soprattutto nella forma estrema della produzione di massa che, con buona pace dei predicatori anticonsumisti, proprio di consumismo si nutre e, nei limiti della, alla fine, inevitabile saturazione, si alimenta.
Se questi erano i presupposti delle idelogie politiche (oggi sostituite dall'unica ideologia del primato dell'economia sulla politica, ampiamente praticata nei fatti con squalifica delle classi politiche ridotte a vassalle delle esigenze del mercato globale) pensare che la crisi delle ideologie politiche (ma potremmo dire della funzione politica sic et simpliciter) si riduca a chiedersi come opporsi in nome dell'organicismo alla difesa dei valori ideologici contro il populismo mi sembra alquanto semplicistico. E ciò indipendentemente dalla validità delle specifiche osservazioni critiche sollevate da Zolla (ogni nova forma di pensiero, e conseguentemente anche di prassi, nasce ..... infantile). | ||
Aldo Cantoni - 2016-07-06 A mio avviso le ideologie non sono finite, ma semplicemente sono cambiate. Tuttavia ora i creatori o sostenitori delle nuove ideologie si avvalgono della facoltà, loro concessa dai mezzi di distrazione di massa, di esprimere in modo solo parziale i fondamenti dei pensieri dominanti. In questo modo è possibile cammuffare con obiettivi gradevoli, ma vaghi, i reali obiettivi delle nuove ideologie. La superficialità è il nuovo mezzo soft per dirigere una massa, che non gradisce essere disturbata con troppi ragionamenti. | ||
franco maletti - 2016-07-04 Bella analisi. Mi permetto di aggiungere, a proposito dei movimenti, che essendo la loro funzione principalmente "antisistema", tendenzialmente raccolgono per strada tutto ed il contrario di tutto. Di conseguenza, quando ad un movimento vincente spetta il compito di governare, succede che il leader deve fare delle scelte operative: sapendo che, da quel momento, qualunque scelta fa non trova il consenso di quella parte di elettorato che non la condivide. Da qui nasce un problema di non facile soluzione: o, per mantenere compatto il movimento ci si limita ad una gestione burocratica dell'esistente diventando la brutta copia di quello che fino ad un momento prima si contestava, oppure si fanno delle scelte innovative sapendo fin da subito che il movimento si spaccherà. Con questo voglio dire che un movimento, quando raggiunge finalmente l'obiettivo, con questo traguardo quasi sempre segna l'inizio della sua dissoluzione. A meno di una sua radicale e rapida trasformazione, tutta da venire e verificare attraverso il comportamento dei suoi responsabili diretti. | ||
Franco Campia - 2016-07-04 Nello scritto dell'on. Zolla ritrovo con grande piacere la capacità analitica e la limpidezza di ragionamento che avevo conosciuto ed apprezzato in passato. Mi aspettavo poi che la condizione insostenibile di un "movimento" che intende agire come un partito - come scrive Zolla - quando passa dalla protesta piazzaiola a responsabilità di governo, anche se solo a livello locale, sarebbe col tempo venuta a galla. Non mi aspettavo però che tale conflitto esplodesse da subito... per ora a Roma e vedremo nel resto del Paese.
Circa il PD, a parte lo sconquasso che oggi investe in generale le forme partito ed i conflitti derivanti dalla ricerca di leadership personali, resta da capire se un suo significativo tallone d'Achille non risieda anche in certa indeterminatezza e contraddittorietà dei propri riferimenti politico-culturali "post ideologici" . |