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PD sconfitto e isolato
 
di Giorgio Merlo
 

Sulla sconfitta di Piero Fassino, del PD e del centrosinistra a Torino ormai sappiamo quasi tutto. Fioccano le analisi sui principali organi di informazione e in tanti sono al lavoro da ore per spiegarci come si è perso, perchè si è perso, dove si è perso di più e come sono stati gestiti i vari flussi elettorali. Certo, si tratta indubbiamente di una sconfitta “storica” se non “epocale”, che chiude una lunga fase politica e di potere iniziata nel lontano 1993 e che, al contempo, ne apre un’altra. A tutt’oggi imprevedibile e misteriosa.
Il voto del 19 giugno, a partire dal cambio di schieramento delle periferie torinesi storicamente di sinistra e popolari, è stato chiaro e inequivoco. Si tratta, cioè, di un massiccio spostamento elettorale da un elettorato tradizionalmente di sinistra verso lidi che scommettono su una nuova avventura politica e con un nuovo personale politico. I risultati li conosceremo soltanto con il tempo e li verificheremo concretamente sulla base delle scelte amministrative del governo cittadino guidato dalla giovanissima Chiara Appendino.
Ma, al di là dei flussi elettorali, del buon governo – riconosciuto da tutti – della Giunta Fassino, della voglia di cambiamento e dell’irrompere della “scommessa” 5 Stelle, c’è un aspetto politico che ha pesato enormemente. A Torino come a Pinerolo, a Ciriè come a Nichelino, a Novara come a Domodossola, a Trecate come a Carmagnola, per fermarsi solo al Piemonte. È stato ricordato, dopo il ballottaggio, da tutti i sondaggisti ma è una realtà con cui occorre fare i conti, soprattutto a Torino. Come i numeri e le cifre hanno platealmente confermato, si è avuta la convergenza di tutti i partiti – seppur alternativi tra di loro – contro il PD. Ha prevalso la voglia di scalzare il PD, chi lo comanda attualmente e ciò che rappresenta oggi questo partito nella politica italiana. Fassino lo ha onestamente riconosciuto. Del resto, è la scoperta dell’uovo di colombo, ma è una triste e concreta realtà con cui occorre fare i conti. Sino in fondo. Piaccia o non piaccia.
Il dato politico di fondo e la ragione principale della sconfitta di Piero Fassino, del PD, del centrosinistra torinese è stato, quindi, la voglia di “battere” il PD, di fargliela pagare e, soprattutto, l’isolamento politico in cui si è trovato il Partito Democratico. Il ballottaggio torinese – come tutti i ballottaggi piemontesi e nazionali – ha confermato questa semplice e drammatica realtà.
Ecco perché la linea politica del PD, come giustamente ha rilevato Gianni Cuperlo, va adesso ridiscussa e, se del caso, rivista. Non ci si può vantare del proprio isolamento quando il sistema politico è ormai tripolare e quando la convergenza dei due poli avversi al PD diventa il momento decisivo per dare la spallata definitiva al “partito di governo”. Cittadino prima e nazionale poi. Certo, è persin ovvio ricordare che se si costruisce un sistema elettorale nazionale per eleggere i deputati funzionale a questo schema – l’Italicum appunto – il rischio che ci sia un bis della sconfitta è ovviamente dietro l’angolo.
Ma l’isolamento politico del PD – e questo è il punto decisivo – di chi è figlio?
È una condizione casuale e temporanea o è il frutto concreto dell’attuale progetto politico del PD? Perché su questo versante – inutile negarlo – si è consumata la secca sconfitta di Fassino a Torino e di tutti candidati del PD ai ballottaggi. Sia quando avevano come avversari esponenti dei 5 Stelle, sia anche opposti a candidati di centrodestra.
Questo punto, cioè l’isolamento politico del PD, è l’aspetto su cui si dovrà concentrare la riflessione nelle prossime settimane, nel partito e nella sua base. Sempreché non sia ormai allergica a qualsiasi discussione e a qualsiasi confronto. Essendo diventato il PD, come dice giustamente Sergio Chiamparino, un semplice comitato elettorale dominato da faide interne e dalle cordate delle varie correnti. E non correnti di idee o culturali, ma di sola rappresentanza di preferenze.
E questa riflessione è ancor più importante alla luce di un doppio appuntamento elettorale. L’uno ravvicinato, e cioè il referendum costituzionale di ottobre. L’altro, più lontano: le prossime elezioni politiche che, se saranno gestite dall’Italicum così com’è, con il premio di maggioranza al partito e non più alla coalizione, potranno riproporre il medesimo film sperimentato in questa tornata amministrativa.
Quindi, il capitolo dell’isolamento politico del PD, la voglia di batterlo e la tentazione di “farla pagare” al suo capo Renzi, è stato l’elemento decisivo e determinante – diciamocelo francamente e senza ipocrisia – della secca sconfitta di Fassino a Torino e di tutti gli altri candidati PD nelle varie città italiane, piccole o grandi che siano.
E proprio su questo tema si deve concentrare il confronto politico e culturale nel PD, coinvolgendo tutti coloro che credono ancora in una prospettiva politica di centrosinistra per il nostro Paese.


beppe mila - 2016-06-24
Penso che quanto dice Ladetto, come sempre, sia molto più chiaro e completo dell'articolo. Condivido in pieno il suo commento sempre soft e pacato... io per scrivere le stesse cose prenderei almeno trenta querele. Ho una domanda sola: MA QUALCUNO AI PIANI ALTI DEL PD TORINESE SI è FATTA LA DOMANDA CHE SE AL POSTO DI FASSINO CI FOSSE STATO QUALCUN ALTRO, (magari ex campioni dei valori non negoziabili, oggi alfieri del renzismo) IL PD NON SAREBBE NEMMENO ARRIVATO AL BALLOTTAGGIO????!!!
Giuseppe Ladetto - 2016-06-24
Da sempre ritengo che ogni fenomeno debba essere inserito in un contesto ampio che va al di là dell’ambito in cui si è manifestato perché, oltre alle cause particolari che lo determinano, ci sono sempre fattori di ordine più generale che condizionano i fatti. In questa ottica, mi sono trovato in piena sintonia con quanto ha scritto Luigi La Spina su La Stampa del 9 giugno a commento dei risultati del primo turno elettorale. Dice La Spina che i commenti fatti dalla classe politica ai risultati delle elezioni municipali rivelano l’enorme distacco della sedicente “élite” dalla realtà del paese, una élite che continua a guardare con gli occhiali del Novecento le profonde e tumultuose trasformazioni in atto. Si continua a ragionare di “destra” e “sinistra”, di “conservatori” e “progressisti” quando gli schieramenti sociali oggi si articolano sul binomio “integrati” ed “esclusi”. E’ su questa contrapposizione che si disegnano i differenti risultati tra periferie urbane e zone centrali. Non ha più senso la divisione socio-politica tra lavoratori dipendenti schierati a sinistra e autonomi che scelgono la destra. La globalizzazione li ha accomunati in un nuovo tipo di proletariato precario e sfiduciato. La mobilità elettorale (con l’astensionismo aggiungo io) è il segnale di una domanda politica che non trova alcuna offerta adeguata alle necessità concrete e che sia convincente e capace di soddisfarle. A sinistra, si immagina che la soluzione consista nella ricetta socialdemocratica o laburista che non ha più una base sociale di riferimento e che è in piena crisi nei paesi scandinavi a fronte dei processi migratori e delle politiche finanziarie. A destra, si invoca la ricomposizione di uno schieramento moderato quando il ceto medio in piena crisi e fortemente arrabbiato è spinto verso le estremità più radicali dello schieramento politico. Se le cose stanno come dice La Spina, come spiegare il diverso andamento del voto in due città come Torino e Milano? In un mondo caratterizzato da una feroce competizione all’insegna di “mors tua, vita mea”, la lotta per il successo o per non soccombere riguarda non solo le persone, i ceti sociali e le nazioni, ma anche le città e le regioni. Milano e la Lombardia sono (da sempre) aree forti, confrontabili a Monaco e Francoforte, alla Baviera o alla Renania. La più parte dei milanesi e dei lombardi crede o spera di farcela in questa lotta per stare ai vertici e si affida a politici che condividono le politiche economiche imposte dalla globalizzazione, quelle fatte su misura per i vincenti (magari con qualche ritocco di destra o di sinistra); non si affidano a chi contesta il sistema. Altrove, e ciò vale anche per Torino, l’idea di poter entrare a far parte delle aree forti (come ci dicevano in questi ultimi anni quanti si sono raccolti intorno ai sindaci PD torinesi) si è rivelata illusoria, specie da quando la Fiat ha abbandonato la città in cui era nata, e con lei altre imprese, banche, case editrici e istituzioni. A determinare la forza di un’area, non bastano certo gli eventi culturali ed il turismo, e neppure il mitico Politecnico (ed ancor meno ricorrere all’inglese per etichettare ogni evento cittadino). La gente lo ha capito e si è affidata a chi, consapevole di questo obiettivo mancato e sempre più lontano, cerca di andare incontro alle necessità di chi resta indietro (vedi il reddito di cittadinanza la bandiera del movimento) senza rinunciare a darsi da fare con i pochi mezzi a disposizione perché la città non sia ulteriormente spinta indietro nella competizione. Credo che questa sia la causa prima della sconfitta di Fassino e del mondo che rappresenta. I nuovi ce la faranno? Non lo so, e non mi nascondo le enormi difficoltà che hanno di fronte. Comunque me lo auguro, indipendentemente da chi essi siano, e da quanto le loro idee distino dalle mie.
Giuseppe Davicino - 2016-06-22
L'isolamento politico del Pd deriva da un gruppo dirigente che ha promesso di rilanciare il Paese ma senza una discontinuità con le politiche del passato e così ha finito per rappresentare la minoranza dei cittadini che è uscita indenne, se non più forte, dalla crisi. Le alleanze sono vitali per l'area riformatrice ma bisogna chiarire per che cosa, altrimenti anche nel caso di sconfitta, il renzismo potrebbe lasciare nel Pd solo macerie.
Pier Luigi Baradello - 2016-06-22
Credo che sia condivisibile l'affermazione di Chiamparino. A leggere semplicemente le segreterie regionali, in primis quella della nostra regione (ma non è molto diverso altrove), si coglie una sovrarappresentanza di soggetti che "lavorano" nel pubblico. Mi chiedo come si concilia questo con l'esigenza di elaborazione politica seria. La situazione tuttavia non è diversa in molti altri partiti e, mi pare, comincia a manifestarsi anche nel M5S. Mi chiedo se non sia un triste segnale del fatto che i ruoli politici sono sempre più percepiti come ascensori sociali e soprattutto economici. Ancor più triste é constatare nelle analisi e nelle semplici considearazioni di chi partecipa alle "discussioni" sui media di qualsiasi tipo, che le principali "spiegazioni" vengono date puntando il dito su due aspetti: (1) la "casta" nelle sue più diverse declinazioni che il "sistema" non troppo implicitamente manifesta (si premiano gli "affiliati", i "fedeli", i "soci"), (2) la contradditoria e paradossale richiesta di contrastare "l'uomo solo al comando" con un "modello solo al comando" dove a mio avviso un errore significativo è l'aggettivo (e soprattutto l'idea che questo aggettivo palesa) comunque usato: solo. Ci troviamo drammmaticamente di fronte ad una "concezione implicita della politica come "gioco a somma zero", questo vuol dire "conflitto". Basta recuperare le parole di Papa Francesco quando ricorda che "il tempo è superiore allo spazio". Se così intendiamo la "P"olitica è un gioco a somma diversa da zero che vince solo a condizione di tenere in gioco TUTTE le parti.
Valeria Astegiano - 2016-06-22
Si vuole sempre e solo dare la colpa a Renzi!!!! L'analisi deve essere più profonda. A Ciriè il voto è stato contro il PD locale e il PD locale si è gestito malissimo con le solite gelosie, vendette e tutto il solito armentario dei vecchi politici di professione che si credono intoccabili e indispensabili. Trattative mal condotte, gestione politica fra i soliti tre o quattro, tutti gli altri esclusi of course!!! E così abbiamo sacrificato un giovane!!! Invece di lavorare si facevano pressioni per un futuro assessorato ai soliti personaggi. Già...I tempi sono cambiati dal secolo scorso e i dirigenti del PD non se ne sono accorti.??? La gente ha detto basta!!! Colpa di Renzi??? I cittadini non vogliono più votare i politici di professioni, i soliti che transitano da un incarico all'altro,che decidono chi deve stare o no in Consiglio Comunale, il tutto prima di aver vinto, naturalmente!!
piergiorgio fornara - 2016-06-21
A furia di prendere per il naso gli italiani, questi hanno preso per il naso il partito del capo Bastava dar retta a qualcuno che più di un anno fa, quando era lampante che il partito era Renzi e accoliti, ha abbandonato la nave dove tutti trovavano ancora un seggiolino: forse oggi si poteva parlare ancora di partito DEMOCRATICO. Ora sono solo un cercare scuse.