“La politica in Italia è sempre stata politica delle alleanze”. Non è, questo, un ragionamento da “gufi” contemporanei ma un antico pensiero della miglior cultura cattolico-democratica e costituzionale. Del resto, dal secondo dopoguerra in poi, la politica delle alleanze nel nostro Paese è sempre stata una costante democratica del sistema politico, accompagnata da un profondo rispetto del pluralismo culturale e sociale.
La cultura del “partito unico”, funzionale all’uomo solo al comando, storicamente e politicamente non ci appartiene, e alligna in settori molto ristretti ed elitari.
E il voto amministrativo di domenica 5 giugno conferma, per il PD come anche per il centrodestra, che senza la coalizione difficilmente si può competere e vincere. Certo, poi esiste il Movimento 5 Stelle che rifiuta pregiudizialmente le alleanze e la coalizione, ma vince e si afferma solo nei contesti dove il centrosinistra si sgretola o dove il centrodestra si divide. E, soprattutto, in città importanti ma caratterizzate da una gestione disastrosa – Roma docet – nel governo della pubblica amministrazione.
Ora, per il PD la situazione dopo il voto è abbastanza lineare senza incamminarsi lungo il sentiero della politologia o della sociologia politica. Dove il “campo” del centrosinistra si presenta unito e compatto, la coalizione è premiata dai cittadini e la competizione è quasi sempre vincente. Dove, invece, si sperimentano altri modelli, pezzi sempre crescenti di elettorato di centrosinistra si allontanano definitivamente verso lidi politici diversi e alternativi al PD oppure, nella migliore dei casi, si astengono.
Perché questo? Semplice, l’alleanza di centrosinistra non può essere sostituita dal partito unico o da coalizioni innaturali. Come quelle messe in atto in alcune aree del nostro Paese in combutta con pezzi residuali della destra.
Ma per poter ricostruire il campo del centrosinistra ci vuole una strategia politica chiara e inequivoca, almeno per quanto riguarda il PD, che persegua tre obiettivi di fondo: consolidare il profilo riformista del partito; costruire un’alleanza di centrosinistra larga e plurale; rifiutare pregiudizialmente alleanze con spezzoni di potere e con partiti e movimenti estranei a una prospettiva riformista e di centrosinistra.
È inutile ricordare che, per centrare questi tre obiettivi, ci vuole un sistema elettorale che non neghi alla radice la cultura delle alleanze e che prevede, al contempo, una strategia di allargamento del campo di questa alleanza.
È compatibile tutto ciò con la legge elettorale varata lo scorso anno e denominata come Italicum? E, soprattutto, c’è la volontà politica di consolidare un marcato profilo di centrosinistra del PD e non, invece un indistinto agglomerato di centro, gettonassimo nelle zone ricche e borghesi delle città ma minoritario nei quartieri popolari, come è emerso da questa consultazione amministrativa?
Ecco, questo è uno dei temi che accompagnerà il confronto politico nel PD dopo i vari ballottaggi nelle principali città italiane e prima che decolli definitivamente il dibattito sul prossimo referendum costituzionale.
La cultura delle alleanze, quindi, è uno dei temi cruciali destinato a dominare il confronto politico all’interno del Partito Democratico nei prossimi mesi. |