Sono passati già 71 anni dal 25 aprile del '45.
Sono ormai pochissimi gli uomini e le donne che – in Italia e in Europa – hanno vissuto i giorni della Liberazione dal nazifascismo. Le le associazioni partigiane, dall'ANPI alla Associazione dei Partigiani Cristiani, stanno affidando a una nuova generazione la memoria della lotta di liberazione, per evitare che “il tempo cancelli fin le ruine” del Secondo risorgimento, come Foscolo ha scritto riferendosi alla storia nazionale.
Nel riproporre, nel pieno di una lunga e difficile transizione una riflessione sulla lotta di liberazione che ha segnato il secolo ormai alle nostre spalle, dobbiamo tenere presenti gli straordinari mutamenti di orizzonte che segnano il passaggio dalle “rivoluzioni d'Ottobre”, da cui – secondo alcuni storici – prende le mosse “il secolo breve”, agli anni del secolo che stiamo vivendo; ma dobbiamo riflettere anche sul fatto che sembrano ritornare – con la globalizzazione e con movimenti migratori di imprevedibili dimensioni – i fantasmi che hanno insanguinato la prima metà del '900 e che sembravano definitivamente tramontati con il 25 aprile del 1945.
Il Novecento è stato il secolo dei nazionalismi e dei totalitarismi rossi e neri, ma anche il secolo della rinascita della democrazia. E in questa prospettiva il movimento di Liberazione ha segnato indubbiamente una svolta storica di straordinaria importanza: la vittoria della democrazia sulle dittature, che tuttavia per molti segnali non si può ritenere una vittoria definitiva. Come non essere preoccupati per il risorgere, in molti paesi dell'Europa, di un populismo che sembra l'incubatrice di un risorgente nazionalismo? E di un estremismo islamico che insanguina l'Oriente, perseguita i cristiani e diffonde il terrore nelle metropoli dell'Occidente?
Tra le riflessioni che in passato abbiamo proposto all'attenzione dei giovani, in occasione delle manifestazioni del 25 aprile, c'è il riferimento a un pensiero di Mazzini riportato nella testata de “Il Ribelle”, periodico clandestino delle Fiamme verdi: “Più della schiavitù temo la libertà recata in dono”. Con queste parole Teresio Olivelli, autore della preghiera dei “ribelli per amore” e martire della Resistenza, intendeva dire che i partigiani hanno preso le armi contro il nazifascismo per non affidare solo agli Alleati il compito di liberare l'Italia.
In quegli anni terribili sono stati giovani non ancora ventenni a scrivere ai propri genitori, prima di essere fucilati: “Tutto questo è successo perché voi, un giorno, non ne avete più voluto sapere” (Giacomo Ulivi), e per mettere fine al conflitto tra bolscevichi e squadristi non vi siete opposti a un fascismo che stava conquistando il potere. E sono stati gli alpini della Cuneense, della Julia e della Trentina, che sul fronte russo avevano vissuto la disfatta dell'ARMIR e la dissoluzione della “politica di potenza” del fascismo, a dare vita – con il contributo di giovani che erano stati educati nella mistica fascista ed erano partiti volontari “per una guerra di civiltà” – alle prime bande partigiane del Piemonte, della Lombardia e del Friuli. Ce lo ha ricordato Nuto Revelli in uno dei suoi ultimi libri, “Le due guerre”.
Partendo da queste riflessioni abbiamo cercato di rispondere ad una delle prime domande che si pone chi riflette sulle radici della lotta di Liberazione: quale Resistenza? E qual è il significato dell'antifascismo? La Resistenza, quella “rossa” come prima fase della “rivoluzione di classe”, o come avvio della rinascita democratica, o come continuazione del Risorgimento...
Sono risposte diverse, che con il tempo sono confluite tutte nella consapevolezza che la Resistenza è stata soprattutto una lotta di popolo, per la libertà... E abbiamo infine esaltato questa terribile stagione della vita nazionale come matrice della Costituzione repubblicana, che ha trasformato gli Italiani da sudditi in cittadini. E non a caso la difesa della Carta del '48 avviene soprattutto nel nome della lotta di liberazione dalla dittatura.
La riflessione storica sui terribili mesi che vanno dall'8 settembre del '43 al 25 aprile del '45, ha fatto parlare anche di “guerra civile”: anche questa riflessione si impone, partendo tuttavia dal riconoscimento che sono stati gli ideali di libertà e di giustizia, e i valori del personalismo e della solidarietà, a scrivere con il sangue la “storia” dell'Italia e dell'Europa. Una storia che deve essere difesa dai rigurgiti dell'indifferenza e dal dilagare di un trasformismo che riporterebbero questo Paese ai tempi dell'Italietta pre-fascista, e l'Europa alla disgregazione.
Gli ideali e i valori che ricordiamo quando siamo invitati a riflettere sul significato del 25 aprile, debbono ora essere calati “nel tempo che ci è dato vivere” (come ha detto Aldo Moro), in una realtà italiana, europea e mondiale per molti aspetti diversa da quella che ha fatto parlare di “secolo breve”. Eppure siamo consapevoli che la risposta alle sfide che caratterizzano questo nuovo secolo, impongono un ritorno allo spirito, eroico e generoso, che traspare dalle lettere dei condannati a morte della Resistenza, e alla passione democratica che ha caratterizzato i primi anni dell'esperienza repubblicana e del federalismo europeo.
Senza quei valori e senza quella passione, la democrazia non ha futuro.
Ricordare il passato, con la necessaria severità, può aiutarci a guardare più lontano.
E allora ciò che appare impossibile diventa possibile... Se siamo disposti a impegnarci con “spirito di servizio e di fraternità”, come ci hanno insegnato i migliori esponenti del cattolicesimo democratico. E come in questi giorni ha ripetuto papa Francesco a tutti gli uomini di buona volontà. Una foto scattata nell'aprile del '43, durante una retata nazista nel ghetto di Varsavia, ci ha fatto vedere un bimbo con le mani alzate e il volto terrorizzato... Quel regime di morte è stato vinto dalla storia. Eppure se guardiamo le immagini televisive dei bambini che cercano di raggiungere le sponde europee del Mediterraneo per sfuggire alla violenza e al terrorismo che hanno distrutto la Siria, e alla fame che uccide le popolazioni di molte regioni dell'Africa, dobbiamo riconoscere che non possiamo voltarci dall'altra parte senza tradire gli ideali della Resistenza.
Questo è l'orizzonte, che continua anche dietro noi, in cui oggi dobbiamo calarci per continuare a riflettere seriamente sul 25 aprile, festa della Liberazione. |