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L’Ulivo, 20 anni dopo. Cosa resta?
 
di Giorgio Merlo
 

Sono passati vent’anni dalla vittoria e dall’irruzione dell’Ulivo nella politica italiana. Una stagione, quella guidata da Romano Prodi, che aveva innescato grandi speranze e una sincera volontà di cambiamento. Aveva anche aperto una nuova pagina politica e culturale dopo l’uragano di Tangentopoli, la scomparsa dei partiti della Prima Repubblica, e aveva fermato, seppur solo transitoriamente con le elezioni del 21 aprile 1996, la potenza mediatica e politica berlusconiana.
Senza rivangare quella stagione comunque entusiasmante e carica di novità, possiamo ora tracciare un confronto tra quel progetto politico e l’attuale stato di salute del centrosinistra. Certo, con la consapevolezza che il passato non si può mai riproporre con le stesse modalità organizzative e lo stesso impianto politico.
Molte cose sono cambiate da quel tempo ma l’aspirazione e la volontà di declinare una politica di centrosinistra, riformista e democratica, con una credibile cultura di governo restano intatte, e difficilmente si possono rimuovere dall’orizzonte. Ed è proprio su questo versante che vale la pena tracciare un confronto tra quella stagione e questa che stiamo vivendo. Almeno per tre motivazioni.

Innanzitutto il centrosinistra. È indubbio che, almeno su questo aspetto, le cose sono cambiate in profondità. Oggi la coalizione non esiste più. E con l’Italicum – se il premio di maggioranza resterà alla lista di partito e non alla coalizione – la “cultura delle alleanze” è destinata a rimanere sepolta. Almeno fino alla prossima riforma della legge elettorale.
L’Ulivo era la somma di due grandi partiti frutto e prodotto storico di due gloriose tradizioni culturali, quella della sinistra democratica e socialista e quella del cattolicesimo democratico. Oltre all’apporto di altre correnti culturali, da quella liberal-democratica a quella verde ambientalista. Oggi tutto ciò è semplicemente evaporato perché, appunto, la coalizione si è diluita e il tutto è stato sostituito dalla esaltazione della “vocazione maggioritaria” del Partito democratico.
È sufficiente questo per riproporre una politica e una cultura di centrosinistra nel nostro paese? Ad oggi non si può esprimere alcun giudizio definitivo e fornire alcuna risposta esauriente. Lo dirà l’esito concreto delle prossime elezioni politiche.

In secondo luogo il progetto politico e di governo dell’Ulivo. Cioè dispiegare un serio programma riformista e di cambiamento del Paese. Sotto questo versante c’è una forte somiglianza tra quella stagione e quella contemporanea. La volontà riformista del PD e la voglia – almeno sulla carta e negli intenti – di innescare un serio processo di cambiamento sono rimasti intatti. Quella tensione culturale e quella spinta ideale continuano a fermentare le corde dell’attuale PD nella sua concreta azione di governo. Purché siano politiche che restino ancorate a un serio progetto di riformismo democratico e non condizionate – o, peggio ancora, alleate – con forze e movimenti di centrodestra. Perché ciò rappresenterebbe, se dovesse accadere in virtù del premio di maggioranza al partito, uno snaturamento della vocazione riformista del centrosinistra e dello stesso PD delle origini.

In ultimo il rinnovamento della politica e la voglia di dare una spinta vera al cambiamento, anche e soprattutto a partire dal ricambio della classe dirigente. Su questo versante il processo innescato da Renzi con la cosiddetta “rottamazione” ha indubbiamente rappresentato una svolta rispetto a quella impressa dall’Ulivo ai suoi esordi. Certo, una rottamazione che è stata declinata a macchia di leopardo perché quello che più conta – o che dovrebbe contare – non è solo cacciare le singole persone, sgradite, dalle istituzioni e dai vertici del partito ma, al contrario, cambiare profondamente gli stili concreti e le modalità del far politica. Su questo tasto, purtroppo, le notizie legate al malcostume e al malaffare che giungono periodicamente da varie parti del Paese – nelle pubbliche amministrazioni guidate o partecipate dal PD – confermano che il processo di cambiamento e di rinnovamento, malgrado la volontà di invertire la rotta, resta ancora pericolosamente al palo. Una cosa è certa, con l’Ulivo si respirava concretamente la voglia di superamento delle tradizionali e stantie modalità della politica italiana. Lo possiamo ancora riassaporare ascoltando le note della “canzone popolare” di Ivano Fossati, l’inno dell’Ulivo.

Ma cosa è cambiato rispetto a quella stagione?
Le statistiche ci dicono, unanimemente, che il cambiamento è molto spesso evocato ma poco o nulla praticato. I partiti hanno oggi una credibilità pari ormai a zero, la classe dirigente politica è fortemente detestata, la corruzione sta raggiungendo vette neanche immaginabili in quegli anni e il decadimento etico del ceto politico è sempre più preoccupante.
Ecco perché, senza cadere nella nostalgia o nel semplice rimpianto, forse è utile recuperare lo “spirito dell’Ulivo” anche nell’attuale stagione politica. Non per ripetere una esperienza che è ormai datata. Ma, semmai, per recuperare una tensione ideale, una passione civile e una carica etica che restano decisivi e indispensabili se si vuole contribuire realmente, e non solo a parole, al rinnovamento della politica e a un serio e trasparente governo della “cosa pubblica”.


Beppe Mila - 2016-05-28
Chi ha pugnalato Cesare ( Prodi) ? Dopo attente e circostanziate ricerche , gli esperti all'unanimità cosi' dicono : Bruto, ovvero Rifondazione Comunista alzò il pugnale che gli venne fornito dai congiurati Marini e D'Alema i quali continuarono imperterriti sino a creare un gruppo di 101 eroi , per fermare il redivivo Prodi sulla soglia dell'elezione a Presidente della Repubblica.
Andrea Griseri - 2016-05-11
Quelle culture politiche diverse, in tensione dialettica reciproca,convergenti su un obiettivo di cambiamento e sviluppo economico e democratico non possono essere scomparse: voglio essere ottimista, prima o poi riscopriranno un linguaggio e un'espressione politica. Certamente attraverso modelli e codici diversi da quelli che contrassegnarono la troppo breve stagione dell'Ulivo. Ad assistere oggi ai dibattiti in seno alla direzione PD con un'opposizione caparbia ma priva di disegni strategici e un ministro che paragona la minoranza a Casa Pound il pessismismo torna a prendere il sopravvento; per quanto tempo avrebbe governato la DC se avesse adottato questa condotta? Qualche mese forse. Già ma allora non c'erano i tweet, c'era un certo Aldo Moro che leggeva Moltmann e teneva discorsi di 7 ore...
Dino Ambrosio - 2016-05-03
Era notevole il rispetto delle persone che aveva Prodi, la sua pazienza e capacità di mediare, oltre alla sua esperienza di economista e politico. Ricordo con quanta signorilità Prodi diede le dimissioni dopo che la sinistra radicale, dimostrando una mancanza di visione generale e maturità politica, gli fece mancare i voti. L’Ulivo, a mio parere, mori anche per l’eccessiva impazienza di D’Alema, che non aspettava altro che prendere il posto a Prodi. In quella occasione d’Alema dimostrò una eccessiva avidità di potere che fu chiaramente percepita dalla gente come tale e determinò l’inizio della sua caduta.