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Cambiamo l’idea di progresso
 
di Giuseppe Ladetto
 

I mezzi di comunicazione, in larga maggioranza sempre in linea con il pensiero dominante, affermano l’illimitata possibilità degli individui di scegliere il proprio personale modo di stare al mondo. Identità sessuale, etnia, nazionalità sono ritenute cose superate; bisogna essere aperti ad ogni metamorfosi in conformità ai propri desideri. Ci ripetono che la nostra identità non è fissata da natura, cultura, storia e tradizione, ma noi siamo ciò che vogliamo essere.
Oggi la scienza e la tecnologia ci consentono di superare anche le barriere biologiche e i processi di sviluppo naturale. Chi non comprende tutto ciò è considerato un oscurantista, un reazionario ormai fuori dal percorso della storia.
Da dove viene questo modo di pensare che non sembra più riconoscere l’esistenza di limiti?
C’è chi indica nel movimento del Sessantotto, con le sue istanze libertarie, la causa prima di questo radicale mutamento che ha coinvolto tutti i Paesi occidentali. Tuttavia alla base dello spirito di questo nostro tempo, c’è sì un individualismo estremo che non riconosce obblighi verso le comunità di cui si fa parte, ma accanto ad esso, c’è una fiducia illimitata, direi una fede, nella tecnoscienza da cui si attende la risposta a ogni esigenza individuale e collettiva. E questa “fede” viene da lontano.

In argomento, Serge Latouche (che pur condivide l’obiettivo di emancipazione dell’umanità promosso dai Lumi), scrive in Per un’abbondanza frugale: “Il progetto illuminista conteneva una terribile ambivalenza. Se per un verso intendeva liberare l’uomo dalla soggezione ai numi tutelari dell’Ancien Régime, uno dei mezzi proposti per il raggiungimento di tale scopo era la volontà di dominio razionale della natura da parte dell’economia e della tecnica. È per questa via che la società umana è diventata la società più eteronoma della storia, sottomessa alla dittatura dei mercati finanziari e alla mano invisibile dell’economia, nonché alle leggi della tecnoscienza.
Da più di due secoli, l’artificializzazione del mondo non ha smesso di procedere, fino a compromettere ai nostri giorni l’identità stessa dell’umano. L’approdo del progetto di autonomia attraverso la fuga in avanti tecnoscientifica è il transumanesimo, oppure è la fuga della specie umana dal pianeta e la migrazione nel cosmo. Oltrepassando le barriere biologiche che ci limitano, ci emanciperemmo dagli ostacoli dovuti al nostro condizionamento genetico e cosmico.
Questa prospettiva si rifà alla visione pessimistica della natura umana, all’antropologia dell’uomo-lupo, che attraversa la modernità a partire da Thomas Hobbes, e alla tradizione dell’economia politica, con lo spettro della guerra di tutti contro tutti. Poiché l’uomo è imperfetto a causa della sua animalità, è necessario che se ne liberi. Questo rifiuto della natura umana a favore di una redenzione tecnicistica è un’abdicazione e una sottomissione al diktat dell’efficienza dell’artefatto. La volontà di potenza del Leviatano (Stato tecnocratico e/o mano ben pesante e ben poco visibile della Word Company) tradisce la promessa di emancipazione dei Lumi”.

Se oggi, a fronte della debolezza della politica, è a tutti ben evidente la dittatura dei mercati finanziari, risulta invece meno palese il dominio crescente della tecnocrazia su di noi. La tecnica sembra solo metterci a disposizione nuovi strumenti, ma in realtà – come ci ha detto più volte Luciano Gallino – gli apparati tecnici hanno cessato di essere solo dei mezzi perché hanno incorporato in sé scopi e finalità che vengono di fatto imposti agli utenti. Ce lo dice pure papa Francesco quando scrive, in Laudato si’, che il paradigma tecnologico è diventato così dominante che è molto difficile prescindere dalle sue risorse, ed è ancor più difficile utilizzare le sue risorse senza essere dominati dalla sua logica.
Latouche, nel passo sopra riportato, riprende e attualizza la denuncia fatta già nel secolo scorso da Max Horkheimer e Theodor Adorno (in Dialettica dell’illuminismo), secondo i quali l’illuminismo ha perseguito l’ideale di una razionalizzazione del mondo tesa a renderlo plasmabile e soggiogabile da parte dell’uomo, ma la pretesa di accrescere sempre più il potere sulla natura tende a rovesciarsi in un progressivo dominio dell’uomo sull’uomo e all’asservimento dell’individuo al sistema economico produttivo. Un asservimento, aggiungo, diventato oggi così totale e coinvolgente che i più non se ne rendono nemmeno conto. E l’obiettivo primo di questo sistema economico produttivo è quello di destrutturate la società e di sradicare le persone da ogni appartenenza per farne delle entità uniformi, seriali e quindi interscambiabili, riconducibili alla sola dimensione passiva del consumatore. In tal modo, il potere decisionale resta interamente nelle mani di quella élite che ha il pieno controllo del mondo economico-finanziario, di quello della comunicazione e della cosiddetta produzione culturale.

Anche il cardinale Joseph Ratzinger (non ancora diventato Pontefice) aveva evidenziato il nesso tra l’obiettivo di dominio sulla natura e l’asservimento degli esseri umani al sistema produttivo. Infatti (nel volume Europa: i suoi fondamenti oggi e domani) scrive che, nel mondo contemporaneo, il criterio di razionalità viene assunto esclusivamente dalle esperienze della produzione tecnica, nella direzione della funzionalità e dell’efficacia. Si afferma il principio secondo cui è lecito all’uomo fare tutto ciò che è in grado di fare. Lo sfruttamento della natura, che vi è connesso, diventa sempre più un problema a motivo dei disagi ambientali che stanno diventando drammatici, mentre avanza la manipolazione dell’uomo su se stesso: l’essere umano non deve essere più generato irrazionalmente, ma prodotto razionalmente. In tal modo, l’uomo dispone dell’uomo ridotto a prodotto, e gli esemplari imperfetti vanno scartati per tendere all’uomo perfetto. La sofferenza deve scomparire, la vita essere solo piacevole. In questa prospettiva, la ponderazione dei beni (il criterio costo/beneficio) rappresenta l’unica via per il discernimento di norme morali. Ciò però significa che presunti scopi più elevati giustificano anche lo sfruttamento dell’uomo, se il bene sperato appare abbastanza grande.
Del destino degli altri uomini, decidono coloro che dispongono del potere scientifico e coloro che amministrano i mezzi: così nasce una nuova classe dominante e nascono nuove oppressioni.

Queste rappresentazioni del mondo contemporaneo in larga misura convergenti, anche se fatte da personalità di differente orientamento culturale, mi inducono a fare una considerazione: forse, per un vero rinnovamento della politica, bisognerebbe ripartire dalla presa di coscienza dell’ambivalenza del progetto illuminista che ha portato la modernità estrema in cui viviamo a tradire quelle promesse che avevano suscitato tante speranze.
Scrive papa Francesco nella recente enciclica: “Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso”. La categoria di progresso (portandosi dietro quella opposta di conservazione) è nata proprio con l’affermarsi di quel progetto di emancipazione dell’essere umano rispetto ad ogni condizionamento riconducibile a religione, tradizione, appartenenza, natura, ecc., ma, se oggi l’approdo a cui tale progetto ci ha condotti si risolve nella sottomissione alla dittatura della tecnoscienza e dei mercati, diventa necessario ridiscuterne il significato. Ciò implica quindi la ridefinizione del concetto di progresso con tutto ciò che ne segue sul terreno politico.
In questa ottica bisogna, in primo luogo, ricollocare le esigenze degli esseri umani al di sopra delle logiche di mercato (e in particolare di questo mercato globalizzato all’insegna di una competizione estrema), e, nel contempo, porre un freno alle rivendicazioni di una totale autonomia dell’individuo ormai scissa da ogni responsabilità sociale; rivendicazioni che sovente si esprimono nella richiesta di sempre nuovi diritti. Secondariamente, occorre reintrodurre il concetto di limite: e ciò sia per quanto riguarda lo sfruttamento della natura (che ha condotto a rilevanti mutamenti dei parametri climatici e alla scomparsa di molte specie di viventi e di interi ecosistemi), sia per quanto concerne le manipolazioni dell’essere umano, che non può essere ridotto a un prodotto della tecnica.


Umberto Cogliati - 2016-05-01
Giuseppe Ladetto ci propone riflessioni, non ancora dogmi, di grande profondità. Il centro (e come no?) è l'uomo, questo "sconosciuto", attorno al quale tutto si muove: sia di chi opera in buona fede per elevarlo, sia di chi si adopera per annullarlo traendone profitto. Spesso è citato il secolo dei Lumi; qui è da condividere, seppure come attenuante la ragion veduta, il giudizio su come sia risultata fallimentare la teoria di innestare la ragione sopra la grande varietà tipologica dell'umanità ottenendone l'annullamento.
Franco Campia - 2016-04-26
Da tempo sappiamo e scriviamo che il confronto politico e le scelte conseguenti vanno precedute dalla "battaglia delle idee". Così avveniva, in qualche modo, persino con i vecchi partiti politici, sino a quando non sono definitivamente degenerati nella ricerca del potere. Purtroppo ciò è oggi sempre meno vero, in un'epoca nella quale dominano il pragmatismo e la volontà di successo individuale. In altre parole ci si muove sul piano della tattica, senza a monte una strategia, figlia di un disegno culturale definito e condiviso. E lo si fa plaudendo alla cosiddetta fine delle ideologie. Lo scritto di Ladetto mostra ancora una volta che tale fine è fittizia e maschera il dilagare della nuova ideologia del "pensiero unico". Papa Francesco scrive pagine illuminanti ma mi sembra poco recepite; i riflettori dei grandi media si accendono con favore su di lui solo quando si esprime su temi di presunta rottura con la dottrina tradizionale della Chiesa o di impegno umanitario e caritativo. Uno studio serio del suo pensiero potrebbe fornire ottime basi per iniziative culturali pre-politiche.