Lo ha confermato l’ultimo sondaggio di Demos con il commento puntuale e preciso del sociologo e politologo Ilvo Diamanti. E cioè, in Italia si continua a respirare il clima di Tangentopoli se è vero, come recita il sondaggio, che “8 italiani su 10 pensano che Tangentopoli continua” e che, soprattutto, oltre l’80% degli italiani ritiene che la corruzione continua a essere presente nel tessuto della nostra società.
Insomma, non è cambiato quasi nulla rispetto ai primi anni ’90. L’unico cambiamento è la diversa modalità organizzativa e logistica con cui si presentano e si manifestano la corruzione, il decadimento etico e morale e la pratica del malaffare nel nostro Paese. E l’ultimo scandalo legato al “caso Gemelli-Guidi” non è che la conferma di quello che percepiscono gli italiani. Al di là del contenuto delle intercettazioni e del marcio che hanno, per l’ennesima volta, svelato alla pubblica opinione. Anche in questa confusa e contraddittoria fase politica i tratti negativi del passato si sono riproposti tutti, pur senza cadere nel moralismo o nel fare di tutta l’erba un fascio.
E, forse, è anche inutile lanciare accuse alla sola classe politica. In effetti, ci sono interessi convergenti – come il caso lucano ha ampiamente confermato – tra la società politica, la società civile, il mondo delle professioni e gruppi e lobby organizzate che giustificano e spiegano questa perdurante, e forse cronica, caduta di credibilità del nostro tessuto civile. I dati statistici, purtroppo, confermano in modo spietato che la corruzione nel nostro Paese è aumentata in modo vertiginoso proprio in questi ultimi anni. Le cosiddette “zone grigie” tra politica e pubblica amministrazione crescono paurosamente. I piccoli conflitti di interesse, a livello nazionale come a livello locale, sono ormai all’ordine del giorno. E chi li denuncia o li contesta appare anche come un noioso moralista che blocca il progresso, rallenta la crescita e riduce la fiducia degli italiani verso le istituzioni e lo sviluppo.
Ora, credo che continui a essere fortemente attuale il richiamo di un grande cattolico democratico del passato, lo storico Pietro Scoppola, quando parlava della necessita di saper declinare nella politica italiana la “cultura del comportamento” accanto alla seppur necessaria “cultura del progetto”. Se manca il richiamo e quella “buona pratica”, ogni predica sul rinnovamento della politica e sul cambiamento sempre promesso, non sono che poderose prese in giro con le gambe sempre più corte. Del resto, è sufficiente verificare ciò che accade quotidianamente nella politica italiana per arrivare a una banale conclusione: malgrado le grandi promesse e i roboanti paroloni dei comizi, la politica continua a essere fortemente malata. E una fetta consistente della sua rappresentanza non è affatto estranea a quel degrado e a quel malcostume. È del tutto inutile rinfacciarsi tra le varie forze politiche chi conta più conflitti di interesse al suo interno. Quando molti partiti – e quindi, com’è ovvio, chi li dirige – non riescono a creare seri anticorpi a quella corruzione, è del tutto evidente che il degrado etico e civico della politica stessa è destinato a crescere.
Ecco perché sul tema, sempre spinoso ma sempre attuale, della “questione morale” la politica non può e non deve voltarsi dall’altra parte. A cominciare dalle forze politiche che attualmente governano il Paese. Ma la ricorrente “questione morale” non la si affronta solo a colpi di leggi e di regolamenti. Come tutti sanno, non è questa la strada più efficace. Perché se pensiamo che la questione morale viene risolta solo per via legislativa, rischia di diventare un “fatto strutturale” nella politica italiana. Come, appunto, è oggi.
Quel richiamo di Pietro Scoppola alla “cultura del comportamento”, senza deviazioni moralistiche o vagamente savonaroliane, può ancora essere la carta decisiva per battere l’intreccio tra “politica e affari” che resta pericolosamente presente e diffuso nella politica italiana. |