È stato detto che alla base dei contrasti sulla normativa delle unioni civili c’è l’inconciliabilità fra differenti concezioni antropologiche, ovvero su che cosa sia l’essere umano. Viviamo in una società in cui coesistono molteplici visioni del mondo, ciascuna delle quali si rifà a una definita concezione dell’essere umano. Non è vero che sono morte le ideologie: semplicemente alcune sono in declino (ad esempio quella marxista), altre si sono diffuse, e in particolare si è affermata quella neoliberale.
A sentire i media, tuttavia, a scontrasi sarebbero solo due parti: i cattolici e i laici genericamente intesi. E, come ha scritto Chiara Saraceno su “Repubblica” del 15 gennaio, non si tratterebbe di un confronto in cui i protagonisti hanno pari titoli di legittimità ad esprimersi. Secondo la sociologa, ci sono persone che ispirano le loro idee e le loro azioni alla laicità, dove vige la libertà di pensiero, e altre che sono condizionate dal loro credo religioso e non si preoccupano di far prevalere la verità, ma vogliono imporre a tutti ciò che dettano i loro dogmi.
Vediamo come stanno le cose, perché ho qualche dubbio che i fautori del radicalismo laico effettivamente ricerchino la verità non avendo pregiudizi ideologici. Pertanto, affrontiamo la questione rispettando la condizione da loro sempre posta: discutere dell’argomento etsi Deus non daretur (come se Dio non ci fosse).
La concezione dell’uomo largamente condivisa dalla cultura neoliberale, ormai dominante in tutto l’Occidente, asserisce che la mente, alla nascita, è una tabula rasa: qualsiasi nozione, abitudine o associazione presente nella mente dell’adulto è entrata nel cervello solo dopo la nascita, e si basa interamente sull’esperienza e sulla trasmissione culturale. Pertanto, non si può parlare di natura o di naturale a proposito dell’essere umano e dei suoi comportamenti.
È l’uomo stesso a determinare la propria storia mediante le proprie scelte culturali.
In ambito etico, è la sola società a stabilire le norme da seguire, norme che si riserva di cambiare, in un’ottica utilitaristica, con delle nuove, se ritenute più appropriate alle situazioni che si vengono a creare.
Ma questa rappresentazione è ormai contraddetta dalla ricerca biologica. La neurofisiologia, l’etologia, la genetica comportamentale e l’antropologia evolutiva ci dicono che gli uomini sono per natura creature sociali e che comportamenti geneticamente determinati influenzano i fenomeni sociali. Le culture umane riflettono requisiti comuni perché giacciono su una sottostruttura naturale che limita e incanala la creatività culturale. Enrico Mugnaini, ordinario di neuroscienze alla Northwestern University di Chicago, nella lectio magistralis svolta in occasione della Laurea honoris causa in medicina e chirurgia conferitagli il 29 novembre 2005 dall’Università di Torino, ha detto che: “l’umanità, come specie biologica, si è evoluta attraverso milioni di anni, acquistando una intelligenza senza precedenti e, tuttavia, è ancora guidata da complesse emozioni ereditarie e canali di apprendimento prestabiliti”. La natura umana quindi esiste, ha aggiunto, ed è il frutto, anche sul piano comportamentale, del nostro percorso evolutivo.
Le cose quindi non stanno come ci dicono gli esponenti del pensiero che si autodefinisce laico. Certamente la cultura, intesa come capacità di trasmettere regole di comportamento da una generazione all’altra in modo non genetico, resta importante; anzi spesso esercita un’influenza che prevale su istinti e impulsi naturali, ma fino a un certo punto, superato il quale, gli schemi di comportamento radicati nel profondo si riaffermano e portano all’insuccesso le pratiche che li contraddicono; o altrimenti la società declina (a partire da un patologico crollo demografico).
Non esiste quindi né un esclusivo ruolo dell’apprendimento culturale, né un determinismo biologico, ma una equilibrata interazione tra natura ed educazione culturale nel foggiare il comportamento umano e nel regolare la convivenza nell’ambito della comunità. Secondo Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina, in questo equilibrio, i fattori ereditari incidono per il 50%, così come accade in tutti gli altri ambiti.
Tornando al tema del matrimonio e delle adozioni, ritengo che risulti irragionevole immaginare che l’evoluzione non abbia introdotto significativi condizionamenti genetici concernenti le modalità riproduttive e i ruoli funzionali dei genitori, considerata la rilevanza che hanno avuto, e hanno ancora, per garantire l’affermazione e la sopravvivenza della nostra specie. Pensiamo all’istinto materno che si evidenzia in modo inconfutabile nella nostra specie, come in numerosissime altre: è stato, ed è, essenziale per la crescita dei piccoli esseri. La sua presenza nella nostra specie non può certo essere considerata un semplice residuo del processo evolutivo ormai privo di significato, anche se oggi c’è perfino chi, reso cieco dall’ideologia, si spinge a negarne l’esistenza nella donna. Alla luce di questi fatti, mi pare arduo che si possa sostenere che l’eterosessualità e l’omosessualità siano equivalenti, e che due soggetti dello stesso sesso possano interpretare le funzioni genitoriali al pari della coppia donna-uomo.
Coloro che pensano che gli esseri umani, possedendo cultura e ragione, possano ignorare la loro dimensione biologica, imboccano una strada irta di pericoli, come capiterebbe a chi credesse che di un edificio si possano demolire le fondamenta lasciandolo in piedi.
Affermare che non esiste una natura umana da rispettare come tale, apre la strada a possibili radicali modificazioni della nostra componente biologica (come si fa con piante ed animali, non senza creare problemi). È la prospettiva esplicitamente indicata da quel mondo “laico” (di cui tratta Giovanni Fornero in Bioetica cattolica e bioetica laica) che assegna all’odierno uomo tecnologico il compito di prendere nelle proprie mani l’evoluzione degli esseri umani per farne una nuova specie più evoluta.
Che cosa ci sarebbe di male in tutto ciò? A molti pare cosa positiva impadronirsi del processo evolutivo per controllarlo e direzionarlo verso obiettivi apprezzati dalla gente. Già, in questa logica, si inserisce l’approvazione delle tecnologie che in ambito riproduttivo consentono di superare i limiti dettati da sesso, età, assenza di un partner e via dicendo.
Forse siamo in minoranza a contrastare questa prospettiva, ma non per questo dobbiamo arrenderci: disponiamo infatti di qualche solida motivazione.
In primo luogo, dobbiamo denunciare l’hybris che caratterizza questi progetti: dopo aver proclamato la morte di Dio, l’uomo pretende di sostituirsi a Lui. Credersi onnipotenti è l’esatto contrario della saggezza, che, in ogni civiltà, ha sempre significato il sapere porsi dei limiti. Inoltre, possiamo fare nostra la risposta che ha dato Antony Giddens quando si è chiesto perché la diffusione del pensiero razionale non abbia prodotto un mondo soggetto alle nostre previsioni e al nostro controllo, come avevano preconizzato gli illuministi. Oggi, infatti, in ogni ambito, l’incertezza è dominante, e il mondo appare fuori controllo come non mai (pensiamo ai minacciosi mutamenti climatici causati dall’uomo o alle terribili conseguenze di una sempre possibile guerra nucleare). A determinare questa situazione non sono stati difetti di progettazione o errori di scienziati e tecnici. Giddens evidenzia che, fra i fattori limitanti dei progetti di razionalizzazione del mondo reale, c’è innanzitutto la complessità dei sistemi e delle azioni che costituiscono la società contemporanea, da cui discende che le conseguenze delle attività umane nel loro insieme non possono mai essere previste fino in fondo. E la grandissima complessità della natura (compresa quella umana) si presta ancor meno ad essere ridisegnata e “razionalizzata” tecnologicamente.
Un secondo fattore, segnalato da Giddens, è la riflessività del sapere: i risultati delle indagini scientifiche e delle analisi sociali escono dalla sfera intellettuale in cui sono nati per entrare nella società provocando in essa cambiamenti; questi cambiamenti, a loro volta, rientrano nell’ambito intellettuale modificandolo in un gioco senza fine. Il nuovo sapere (idee, teorie, scoperte), pertanto, non rende il mondo più trasparente, bensì ne altera le caratteristiche aprendo sempre nuovi imprevisti scenari. Di qui viene il fallimento dei molti esperimenti sociali volti a piegare la realtà ad una concezione ideologica.
Oggi però si pretende di ridisegnare e di razionalizzare l’essere umano e la natura stessa. Tuttavia mettersi a fare gli apprendisti stregoni con il mondo naturale e con gli esseri umani può essere assai pericoloso.
Ciò non significa rinunciare allo sviluppo scientifico e tecnologico. Per uno sviluppo privo di ricadute negative, occorre recuperare il senso del limite e introdurre problematiche morali nel rapporto ormai ampiamente strumentale tra uomo moderno e creato.
Qualcuno si chiederà che cosa c’entra la normativa sulle unioni civili con i paventati sviluppi tecnologici della funzione riproduttiva e con il ritorno in campo di pratiche eugenetiche più o meno camuffate. Ma bisogna chiudere gli occhi per non vedere che la adozione dei figli del partner in una coppia omosessuale implica l’apertura a pratiche riproduttive “innovative”o meglio artificiali. Così, passo dopo passo, ci si inoltra proprio su quel cammino tecnicistico e di disconoscimento della natura umana peraltro già ampiamente teorizzato dal laicismo radicale. |