Si avvia a conclusione il dibattito parlamentare sulle unioni civili, di cui i grandi mezzi di informazione hanno parlato diffusamente, e talora ossessivamente, nelle ultime settimane, tra un Family Pride e un Family Day.
Noi pensiamo che le unioni civili vadano riconosciute e regolamentate, ma senza confondersi con il matrimonio. Pensiamo che due persone omosessuali che si amano abbiano il diritto di vedere riconosciuto il loro status di coppia, in linea con i diritti individuali garantiti dalla Costituzione. Pensiamo che questo comprensibile desiderio di riconoscimento non possa estendersi ai minori: i figli, già presenti o solo voluti, non possono essere considerati un “diritto”. L’ormai celeberrima stepchild adoption, l’adozione del figliastro, di fatto sarebbe solo un grimaldello per legittimare l’utero in affitto. Prospettiva che ci pare inquietante.
Con più competenza il senatore Stefano Lepri, attivo tra i “dissidenti cattolici” nel PD, ha sviluppato questi temi nel suo intervento in aula, che pubblichiamo qui di seguito. In coda alleghiamo anche una sua intervista ad "Avvenire” dello scorso 2 febbraio.
Signor Presidente, colleghi Senatori,
siamo finalmente giunti a discutere e, io spero, a votare un provvedimento atteso da troppo tempo. La responsabilità del ritardo è certamente del centrodestra, ma anche il centrosinistra non seppe farcela. Ed è stato un errore, in questa legislatura, aver condotto uno sterile ostruzionismo in Commissione, di fronte a un testo che richiedeva miglioramenti e quindi un vero primo dibattito.
Comunque ora ci siamo, e guardiamo ai contenuti: quelli positivi e già acquisiti, ma anche quelli da migliorare o correggere, anche radicalmente. Poi dedicherò qualche minuto, prima di concludere, al metodo e al percorso parlamentare che ci aspetta nei prossimi giorni.
Quanto al merito: anzitutto voglio dire che tutto il Partito Democratico condivide la necessità di dare un pubblico riconoscimento alla coppia di persone omosessuali. Non bastano i diritti e i doveri delle persone; noi intendiamo approvare un nuovo negozio giuridico, innestato nel solco dell’articolo 2 della Costituzione. Il senso è chiaro: lo Stato deve riconoscere (in quanto esistono) e deve promuovere (in quanto è interesse della collettività) le forme di relazione affettiva orientate alla continuità, alla stabilità, al mutuo aiuto morale e materiale. Da questo punto di vista, l’orientamento sessuale non è rilevante: è un bene che due persone si impegnino pubblicamente a sostenersi reciprocamente, alla coabitazione, alla fedeltà. Anche questa forma di stabilità affettiva è meritevole di un pubblico riconoscimento, in quanto capace di costruire legami tra le parti e i parenti, di contrastare la fragilità umana, di assicurare un pronto aiuto nei tanti casi di difficoltà.
L’altra questione, e qui sta la differenza rispetto al matrimonio tra eterosessuali, riguarda la genitorialità. La coppia omosessuale è diversa perché la natura (non le leggi) esclude che essa possa generare. La coppia eterosessuale unita in matrimonio è anche orientata alla riproduzione e alla crescita dei figli che nascono in famiglia. La coppia omosessuale dell’unione civile può solo desiderare di crescere dei bambini.
Il desiderio di generare e crescere dei figli è veramente umanissimo, ma occorre domandarci se tale attesa possa trasformarsi in pretesa, e quindi in diritto. Detto diversamente, quel desiderio si scontra con le attese dei futuri bambini che, con la maternità surrogata (e in misura minore con la fecondazione eterologa) vedono ridursi o cancellati i diritti primi, essenziali e indiscutibili. Un bambino che cresce in una coppia omosessuale, e con la stepchild adoption, potrà essere riempito di affetto ed educato al meglio, ma non avrà la certezza della sua identità biologica; non avrà entrambi i genitori biologici come genitori legittimi; non avrà un padre e una madre che lo crescono, bensì due padri o due madri legittimi; non avrà (se vive con due padri) il conforto della madre che l’ha generato.
Non si può allora, volendo comunque occuparci di come assicurare la migliore tutela a quei bambini, dimenticarci dei torti che essi subiscono nei modi in cui sono concepiti, vengono al mondo e sono cresciuti. Insomma, la pretesa di non discriminare gli adulti rispetto al desiderio di genitorialità porta a discriminare i bambini. Si obietterà che fecondazione eterologa e maternità surrogata sono praticate anche dagli eterosessuali; è vero, ma si tratta di un’eccezione, non di una condizione.
E arriviamo allora all’affido rafforzato. Alle obiezioni di chi dice che le tutele sono insufficienti, rispondiamo che la proposta, sottoscritta da una trentina di colleghi ma che trova un consenso ben più ampio, assicura la piena funzione genitoriale in capo all’affidatario e prevede la continuità affettiva anche nel caso di morte o di separazione del genitore biologico. Adozione o affido rafforzato non sono insomma due proposte agli antipodi.
Quali invece i vantaggi dell’affido? Non si legittimano le forzature utilizzate per procreare: il partner non genitore non diventa genitore legittimo, così distinguendo tra funzione generativa e funzione genitoriale. Il minore continua ad avere, dal punto di vista anagrafico, un padre e una madre. Si consente di intervenire più facilmente nei possibili casi di inadeguatezza genitoriale. Con l’affido rafforzato viene, infine, esclusa anche in futuro la possibilità di adottare il figlio di terzi. Oggi questa facoltà è preclusa nel disegno di legge in discussione, ma l’esperienza austriaca (con le recenti sentenze della loro Corte costituzionale) ci porta a ritenere che la stepchild sia solo il primo passo per arrivare a quell’esito.
Al dibattito di questi giorni, sui media e in aula, non sono poi mancate contraddizioni e ipocrisie. Ne ricordo alcune, che credo la discussione stia ormai svelando, con buona pace di chi si ostina a ripeterle.
Si è detto: “il tema della maternità surrogata non si pone, essendo già vietata in Italia”, ma si continua così a chiudere un occhio sul fatto che si va a farla all’estero. Delle due l’una: se si è contrari vanno votati gli emendamenti che propongono di applicare la stessa pena già prevista in Italia anche per chi fruisce od organizza la maternità surrogata all’estero. Se invece si è favorevoli bisogna arrivare alla conclusione: si proponga di depenalizzare la pratica.
Si è anche detto: “sono contro la maternità surrogata e insieme per la stepchild”, ma il ragionamento non tiene, semplicemente perché la maternità surrogata, nel caso della coppia composta da due maschi, è la condizione necessaria per avere un figlio, e l’avere il figlio in quel modo e la condizione necessaria per adottare il figlio del partner.
E poi si è ancora ripetuto: “se si consentisse di adottare i figli di terzi non si porrebbe il problema”, ma è facile rispondere che oggi, in Italia, per ogni bambino in stato di adottabilità ci sono almeno otto coppie sposate da almeno tre anni che si candidano ad adottarlo. Informo infine gli strappalacrime che gli orfanotrofi non ci sono più da un pezzo e che, pur nei casi particolari previsti dalla legge 184/93, già oggi i single e le coppie non sposate possono adottare.
Si è infine detto: “non possiamo discriminare rispetto agli eterosessuali”. Infatti, ma il rischio è al contrario. Facciamo il caso di due uomini sessantenni che contraggano l’unione civile. Appena dopo, con la maternità surrogata, ottengono il bambino e il partner lo adotta. Con tre differenze, che potranno diventare eccezioni di costituzionalità, rispetto agli eterosessuali: possono adottare il minore anche se nato durante l’unione civile, mentre per gli etero (nell’adozione per casi particolari) il figlio è frutto di una precedente relazione; non è prevista una distanza massima di anni tra genitori e bambino e neanche una durata di convivenza minima, entrambi richiesti invece per le adozioni del figlio di terzi.
E arriviamo alla terza grande questione: la disciplina delle convivenze. D’accordo sul fatto che vadano riconosciuti diritti, come ad esempio quello di visita in caso di malattia o di detenzione, oppure quello di subentro nella locazione della casa di abitazione. Meno d’accordo sull’impianto complessivo: disciplinare le convivenze significa sostanzialmente riconoscere un nuovo negozio giuridico a realtà che, per loro stessa esplicita volontà, non richiedono di essere pubblicamente riconosciute, come dimostra la scarsa adesione agli albi comunali allo scopo costituiti. Si consideri poi che gli eterosessuali dispongono già del matrimonio e che il divorzio breve facilita il suo scioglimento.
Vi sono poi evidenti contraddizioni nel testo in discussione: ad esempio, il previsto mutuo aiuto morale e materiale può (non deve) definirsi attraverso un contratto di convivenza, mentre un vero e proprio obbligo di mantenimento e alimentare è previsto solo nel caso di cessazione della convivenza di fatto. Come dire: il convivente debole che non ha reddito può essere lasciato alla fame, salvo quando la convivenza finisce. Queste e molte altre contraddizioni, se confermate, faranno la gioia degli avvocati, con un contenzioso che inevitabilmente porterà a cavillare sulle contraddizioni di una parte del testo di legge, mal scritta e mai approfondita.
Se si riconosce la convivenza come un vero negozio giuridico si rischia di rendere il matrimonio meno attrattivo rispetto a scelte, a quel punto legittimate, orientate alla precarietà affettiva. E si rischia quindi di non tutelare a sufficienza l’eventuale contraente debole, che trova invece sicure protezioni nel matrimonio. Molto meglio dunque sarebbe, come previsto con alcuni emendamenti, parlare nel testo di diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi, affiancandoli alla possibilità di stipulare contratti tipo sugli aspetti materiali e patrimoniali.
Porto ad esempio l’articolo del disegno di legge che prevede l’assegnazione di un pari punteggio tra convivenze e matrimonio nell’accesso alle case popolari, perché emblematico di come si rischi di mortificare l’istituto del matrimonio. Ci può stare infatti che venga dato un qualche punteggio premiante ai conviventi stabili, ma non identico del matrimonio. Che fine farebbe, in questo modo, il favor previsto nella Costituzione? Ai colleghi di partito che vedono, in questo o in altri casi, il discrimine tra progressisti e conservatori - assegnando, a me e ad altri, l’accusa di conservatorismo - ricordo che il progresso non si costruisce minando le basi della coesione sociale, infragilendo la stabilità affettiva, prefigurando quindi una società fatta di individui e di relazioni fugaci.
Pochi minuti, infine, sul metodo di lavoro finora seguito e sui prossimi giorni, cruciali, del lavoro parlamentare su questi temi. Dobbiamo dircelo: sono stati fatti alcuni errori e forzature. La legge è stata scritta (pur se poi in parte corretta) con un approccio teso a considerare soprattutto le attese dei destinatari, trascurando l’equilibrio tra i diversi istituti. Potevamo poi aprire un grande confronto, coinvolgendo i maggiori esperti e studiosi nel campo, come avvenuto anche di recente per la riforma costituzionale. Capisco tuttavia l’urgenza, dopo tanti anni di letargo.
Non posso poi dimenticare alcune ripetute dichiarazioni, per le quali solo “qualche cattolico del PD con il mal di pancia” stava continuando a mantenere dubbi rispetto alle magnifiche e progressive sorti del disegno di legge. Quelle dichiarazioni si commentano da sole. E comunque ci hanno stimolato a batterci per dimostrare che non si trattava dell’ennesimo scontro tra laici e cattolici, che non si doveva riaprire il bipolarismo etico e che i buoni argomenti possono prevalere o almeno trovare ascolto. Abbiamo dimostrato di avere tenacia e visione, più che bile.
Annoto un’ultima questione: abbiamo preso atto, studiando attentamente il testo, che già con l’approvazione dell’articolo 3 verrebbe approvata la stepchild adoption, senza arrivare all’articolo 5. Al proposito è stato quindi formulato un emendamento. Osservo che nessuno degli estensori e dei firmatari del disegno di legge ha smentito finora quanto affermato, per cui siamo portati a ritenere che ciò sia vero. Io credo sempre alla bontà dell’interlocutore per cui mi aspetto, prima del voto, che la buona fede sulla vicenda venga pubblicamente assicurata. Diversamente resterebbe lo spiacevole sospetto della furbizia e del trucco, particolarmente malevoli in quanto a danno del Parlamento.
Per concludere. Queste convinzioni, condivise da molti colleghi, non sono riconducibili a un disegno oscurantista o integralista. Conosciamo le miserie umane perché non ne siamo esenti. Sappiamo che la tolleranza e il rispetto delle opinioni altrui vale almeno quanto la difesa delle proprie. Non ci piacciono il politically correct da love wins, né chi interpreta sulla materia il genere trash o chi fa il bastian contrario senza misericordia. Non abbiamo usato la tattica politica per trattare.
Si tratta, piuttosto, di convinzioni equilibrate, che in sintesi intendono dare piena cittadinanza alle unioni civili omosessuali; che vogliono riconoscere una funzione genitoriale al partner non genitore, ma senza legittimare forzature nel volere un figlio a tutti i costi; che ritengono opportuno dare diritti e doveri alle persone stabilmente conviventi, ma senza costringerli in forme giuridiche non richieste dai più e insidiose rispetto alla tutela dell’istituto matrimoniale.
Questo sì sarebbe davvero un disegno riformista. Spero e lavorerò, perché questa sintesi alta, e giusta, possa ancora essere raggiunta. |