Oreste Calliano - 2016-01-08 Ecco un dibattito che tocca problemi seri e attuali di gius-economia.
Intervengo evidenziando come tutti i contributi, di Beppe, Daniele e Franco portano elementi a un dibattito che risale alle privatizzazioni in Gran Bretagna all'epoca della Thatcher: come garantire che le imprese di servizi pubbliche o privatizzate siano efficaci ed efficienti?
La teoria tradizionale ricorse alla concorrenza e alle scelte razionali del consumatore. Ma purtroppo gli economisti più attenti hanno dimostrato che molto spesso le imprese non concorrono, ma colludono; e gli psicologi economici che il consumatore non è in grado di fare scelte razionali (per mancanza di informazioni, di educazione economico-finanziaria,per errori decisionali indotti dalla pubblicità, per dissonanze cognitive).
Inoltre i giuristi anglosassoni richiamando la tragedia dei beni comuni (le terre inglesi dedicate a pascoli) che se privatizzate avrebbero reso di più ai proprietari terrieri efficienti, e quindi alla comunità, insistevano sulle "virtù taumaturgiche" della proprietà privata.
Ma tali pre-giudizi novecenteschi sono stati spesso smentiti dall'esperienza.
Ci si è resi conto che anzitutto occorre distinguere tra produzione e distribuzione di beni, in particolare di beni di consumo, per cui la concorrenza è più agevolmente controllabile dal mercato, servizi (bancari, assicurativi, TLC) e servizi universali.
In certi casi è più efficiente, in termini di benessere collettivo e anche di allocazione delle esternalità (costi ambientali, responsabilità, diffusione delle innovazioni) utilizzare modelli pubblicistici, in altri casi modelli misti, in altri lasciare la gestione ai privati, controllando con le regole antitrust i loro comportamenti nel mercato.
Quindi concordo con Daniele e sopratutto con Franco che ci ricorda che il vero problema non è la proprietà o la gestione, ma le modalità di gestione. A cui aggiungerei le modalità di un controllo efficiente e trasparente.
E qui casca l'asino! Il concessionario pubblico sviluppa, tra gli altri, due vincoli rilevanti:
il consenso elettorale, fonte di clentelismo e di sprechi o quanto meno di inefficienze (i confronti tra la gestione dei trasporti pubblici di Torino, Milano e Roma ha stupefatto i non addetti ai lavori) e la riduzione delle risorse, quindi la necessità di fare cassa in termini di concessione e poi di non badare alle inadeguatezze o alla lievitazione dei costi, spesso anche occulti (riduzione della manutenzione) del gestore privato.
Come controllare il controllore? Le carte dei servizi indicano la strada: stabilire standard di servizio adeguati, imporli al concessionario e poi però renderli contrattualmente vincolanti nei contratti con gli utenti di servizi. Così saranno gli utenti insoddisfatti che, anzichè protestare, intentaranno azioni giudiziarie verso il concessionario chiedendo il risarcimento dei danni. In Italia per un primo periodo così è stato, ma poi si è tornati indietro, ad opera del Consiglio di Stato e non dei giudici ordinari, il che la dice lunga.
A Torino all'epoca del sindaco Castellani l'allora AMIAT aveva utilizzato rappresentanti degli utenti per controllare l'efficienza della raccolta rifiuti, in particolare nelle periferie. Un'auto neutra passava dopo la raccolta per far controllare all'utente se il bidone era vuoto, mezzo vuoto o ancora pieno. Questo metodo consentì all'allora impresa pubblica locale di sviluppare efficienza e di creare un rapporto di fiducia con i cittadini.
Accettare quindi, anzi, incentivare (la Germania insegna) un contropotere che bilanci l'asimmetria tra concedente, concessionario e utenti.
Non è l'unico metodo, ma in questa fase...
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Franco Campia - 2016-01-08 Mi inserisco su un punto dello stimolante dibattito non da economista - quale certo non sono - ma sulla base di esperienze acquisite in settori nei quali mi sono affacciato, come quello del Trasporto Pubblico e delle gestioni autostradali, dove è tuttora aperta la scelta tra l'opzione "pubblica" e quella "privata", ricordando però che tale scelta non è normalmente così netta, in quanto il "pubblico" opera quasi sempre attraverso organismi di diritto privato, talora anche con capitali misti.
Mi sembra che lo snodo principale, in ambedue i casi, non sia tanto quello di decidere se debbano o meno entrare in gioco i privati ma a quali CONDIZIONI ciò possa/debba avvenire. Concordo col prof. Ciravegna, ad esempio, che la privatizzazione della ferrovie inglesi non ha certo rappresentato un esempio virtuoso...
Nel caso del Trasporto Pubblico queste condizioni sono dettate dal contenuto dei bandi di gara: ad esempio riferirsi a tutte le linee di un certo ambito territoriale, sia quelle ad alta redditività sia quelle marginali e strutturalmente passive; il rispetto di politiche tariffarie pre-concordate, la garanzia di determinati standard qualitativi, ecc...
Analogamente, rispetto a porzioni del sistema autostradale, lo strumento cardine è la Concessione che definisce gli impegni sia di manutenzione/gestione sia di realizzazione di nuove opere di potenziamento. La reale difficoltà si incentra dunque sulla definizione dei contenuti delle Concessioni e dei relativi piani finanziari, da cui dipenderanno anche le tariffe d'uso. Il rischio, ben noto, è che in questa fase la mano pubblica risulti cedevole o superficiale rispetto ad interlocutori agguerriti e lobbysticamente più che attrezzati.
Ammesso che il Pubblico sia in grado di gestire con rigore ed ampiezza di prospettive questa fase di definizione delle regole del gioco, e di farle poi rispettare, l'apporto del settore privato potrà risultare certamente positivo, visto che sarà meno esposto ai rischi incombenti sulla gestione pubblica diretta o "mascherata" attraverso società di diritto privato. Rischi ben noti: assunzioni clientelari ai diversi livelli (pensiamo solo ai recenti episodi romani), una certa leggerezza nella gestione finanziaria delle aziende, contando sulla copertura in qualche modo assicurata dagli Enti pubblici di riferimento, ecc...
Mi sono limitato a qualche osservazione superficiale, al limite della banalità, ma nella speranza che anche localmente, a monte delle sedi istituzionali chiamate a decidere, si aprano invece dei confronti approfonditi ed allargati su questi temi, confronti di cui sento francamente la mancanza. |