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Il ritorno dei sepolcri imbiancati
 
di Giorgio Merlo
 

Quando nella Prima Repubblica Carlo Donat-Cattin bollava impietosamente alcuni cattolici dirigenti della DC come “sepolcri imbiancati” coglieva nel giusto. Chi erano i “sepolcri imbiancati” dell’epoca? Erano quelli che, qualunque fosse l’occasione, si presentavano come i più affidabili, i più coerenti con la dottrina sociale cristiana. Insomma, i famosi “baciapile”. Che, detto fra di noi, erano normalmente i peggiori perché si distinguevano per il loro moralismo, la loro ipocrisia accompagnati da una altrettanto nota e collaudata spregiudicatezza nella ricerca del consenso e nella conquista del potere. Sempre fatti in nome e per conto dei valori cristiani…
Ora, la denuncia di Donat-Cattin era il frutto di un confronto, duro ma molto schietto, tutto all’interno di un unico partito, la Democrazia Cristiana, in cui si riconosceva la stragrande maggioranza dei cattolici italiani. Certo, i tempi sono profondamente cambiati e il pluralismo politico dei cattolici è ormai un dato largamente e storicamente acquisito. Ma i vizi non tramontano mai: come un fiume carsico, scorrono nelle viscere della società per molto tempo, e prima o poi riemergono.
È utile, al riguardo – e lo dico da cattolico democratico, da Popolare – osservare oggi il dibattito sulla riforma delle unioni civili. Non entro nel merito della riforma in discussione al Parlamento (riforma comunque utile e indispensabile) ma è indubbio che la gara in corso tra chi è “più cattolico” in alcuni settori del PD e tra le fila dell’NCD oltreché essere divertente, è anche leggermente patetica. Sono appunto i famosi “sepolcri imbiancati” denunciati da Donat-Cattin che periodicamente riemergono.
Una gara e una competizione persin riprovevoli – soprattutto durante lo straordinario ed innovativo magistero di Francesco – se pensiamo al sostanziale letargo che caratterizza, purtroppo, da tempo il cattolicesimo politico italiano e che poi si risveglia come un grillo “una tantum” pensando che, così facendo, si possa ancora pretendere di rappresentare in modo esclusivo e autorevole i cattolici. Insomma, una sorta di rappresentanza politica di origine controllata e garantita. Senza rendersi conto che, così facendo, si rischia solo di essere ridicoli. Anche perché, come tutti sanno, il tutto viene fatto soltanto per ipotecare qualche centinaia di preferenze appena si presenta l’occasione elettorale.
Ecco perché l’invito, ripetuto e del tutto fondato, del vertice della CEI di far sì che al più presto decolli nel nostro Paese, a tutti i livelli, una “nuova generazione di cattolici impegnati in politica” è non solo utile ma anche necessario. Per evitare, appunto, che ancora una volta prevalgano i “sepolcri imbiancati” che disputano su chi è più cattolico dell’altro e che, al contempo, certificano al fine del cattolicesimo politico italiano.


Carlo Baviera - 2015-10-20
E' un po' come per chi si autodefiniva il successore e interprete autentico di De Gasperi. Ognuno si attribuiva il titolo di erede, salvo svilirne le politiche e lo spirito e salvare solo la forma e la terminologia degasperiana. Donat Cattin sosteneva che alla Chiesa una sola cosa va garantita: la libertà. Tutto il resto non spetta alla politica etichettarselo come rappresentanza delle istanze cattoliche. La politica sia solo coerente con lo spirito della Costituzione, e in tal modo farà ciò che è utile al bene comune e quindi anche ciò che un cattolico impegnato in politica deve fare.