La strategia della politica spettacolo, che Renzi ha ereditato da Berlusconi, sta naufragando contro scogli imprevisti. Due eventi di rilevanza storica stanno infatti sconvolgendo la nostra vita quotidiana e lo stesso difficile cammino dell’Europa: la crisi finanziaria del 2008, con le sue pesanti conseguenze sull’occupazione e sul futuro dei giovani; e un’ondata migratoria, giustamente definita “biblica”, che dall’Africa e dal Medio Oriente, ma anche da alcuni Paesi dell’Asia, si è rovesciata soprattutto sull’Italia e la Grecia. Attraverso il Mediterraneo, con centinaia di naufragi e migliaia di morti. Negli ultimi mesi quest’ondata è risalita, attraverso la Turchia e i Balcani, verso la Germania e i Paesi del Nord, con tensioni che hanno messo in ombra quelle provocate dalla globalizzazione dell’economia, e hanno fatto esplodere in tutta Europa una feroce polemica sull’austerity e sulle responsabilità dell’Euro.
Con questa situazione l’anti-politica e il populismo hanno cavalcato il disagio sociale provocati dalla disoccupazione e dalla difficoltà dell’integrazione, assumendo subito forti colori nazionalisti. Mentre la crisi economico-finanziaria sta imboccando una via di ripresa, anche in Italia, l’ondata migratoria che ha fare con la guerra civile della Siria e il terrorismo dell’Isis, ma anche con la fame che minaccia molte regioni dell’Africa, non accenna ad esaurirsi e rischia di travolgere le già fragili istituzioni europee. Per rispondere a queste sfide epocali, sarebbe necessaria più Europa, un’Europa più unita, più solidale e più forte. E invece l’intreccio delle questioni politiche che dominano questo tempo di grandi trasformazioni, la crisi sociale provocata dal declino del modello neo-liberista e il disagio sociale che si accompagna al dovere di accogliere migliaia di profughi, stanno alimentando rigurgiti nazionalisti in tutta Europa. In particolare nei Paesi dell’Est (Polonia, Ungheria), i più gelosi della sovranità nazionale riconquistata dopo la fine dell’URSS, ma anche in alcuni Paesi del Nord (Olanda, Danimarca), tradizionalmente più aperti agli extra-comunitari.
Questo nazional-populismo si è inizialmente caratterizzato per la polemica contro la moneta unica europea, considerata responsabile di tutti i mali, ma ha presto assunto i caratteri di un movimento reazionario. Alcuni governi hanno deciso di militarizzare le frontiere. Dove porta questa riscoperta delle frontiere nazionali? Alla dissoluzione dell’Unione europea. I muri riportano il “Vecchio continente” al clima da cui hanno preso avvio la prima e la seconda guerra mondiale; a quella secolare guerra civile europea che la resistenza al nazismo e il movimento federalista pensavano di aver definitivamente superato.
Questa consapevolezza è evidente nella grande preoccupazione di papa Francesco per l’avvenire dell’umanità, per il dilagare della povertà, per il delinearsi di una terza guerra mondiale.
La riflessione sulle radici della crisi che minaccia l’Europa e l’appello per l’accoglienza dei profughi, non cancellano tuttavia le questioni che l’UE deve ancora risolvere, né il dibattito sui limiti e sulle contraddizioni che ancora pesano sulle istituzioni comunitarie, prigioniere della politica di austerity che ha condizionato anche i partiti riformisti. Penso al dramma della Grecia, ma anche alla “svolta” anti-liberista (e forse anche euro-scettica) che Corbyn il Rosso starebbe per imprimere al laburismo. La difficoltà del PD hanno a che fare con questo disorientamento della sinistra europea.
Dobbiamo peraltro riconoscere che i limiti dell’Europa dipendono più dal peso degli interessi “nazionali” dominanti nel Consiglio europeo, che dal progetto “comunitario”, realizzato solo in parte. Tuttavia il valore della solidarietà, praticato dal volontariato e decisivo nei giorni dell’emergenza umanitaria, non è una risposta sufficiente di fronte a migrazioni di popolo che sono vissute dall’opinione pubblica come una invasione. Dovremo affrontare le cause profonde di questo esodo biblico del “terzo mondo” verso l’Occidente. Dovrebbe farlo l’ONU. Deve farlo il vertice dei governi europei, che sta per decidere una strategia di accoglienza. Penso al cancelliere Merkel, che dopo aver aperto ai profughi siriani, è stata costretta a inasprire i controlli ai confini della Germania, forse per richiamare tutta l’Europa alle comuni responsabilità contro il terrorismo e per l’accoglienza di migliaia di profughi, che potrebbero diventare milioni.
L’immagine del bambino affogato sulle sponde della Turchia ha scosso le coscienze degli europei... Tuttavia quanto durerà questa emozione? La strage di bambini continua, e continuano le guerre, dall’Irak alla Siria, alla Libia. Un politico di grande esperienza, Romano Prodi, ha sollecitato in questi giorni una “grande coalizione” che richiami USA e Russia alle loro responsabilità per fermare le guerre, per dire “no” alla crudeltà di chi decapita i prigionieri e perseguita i cristiani. Ma la questione delle aree di influenza, questione ereditata dal passato, dalla guerra fredda, e rinnovata dal conflitto ucraino, frena Putin e Obama...
Con la paura cresce l’illusione di fermare queste migrazioni di popolo alzando nuovi muri. Eppure dovrebbe essere chiaro che la sicurezza e la pace, ma anche il benessere degli europei, dipendono dal futuro dei popoli che premono ai confini del Vecchio continente. |