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Per il lavoro ai giovani
 
di Antonio Labanca
 

Nel recente convegno di Chieri sulla Dottrina sociale della Chiesa è stata anche promossa un’iniziativa popolare alla Regione Piemonte sul tema del lavoro e della formazione professionale. Tra i promotori troviamo il nostro amico Antonio Labanca, che ha presentato l’iniziativa con la relazione introduttiva che qui sotto vi riproponiamo.

L’ANALISI
Potrebbe essere che si uscirà da questa crisi finanziaria ed economica:
- con i conti dello Stato a posto e quelli delle famiglie in fallimento;
- con le banche ristrutturate e tutelate e l'imprenditoria ridotta in Italia a poco più che a una serie di medio-piccole imprese che presidiano produzioni di nicchia, mentre i CDA di quelle più importanti si riuniranno dall'altra parte dell'oceano o del continente;
- con professionisti di alto livello con parcelle a quattro zeri che dialogheranno con i colleghi della Polonia o dell'Irlanda e laureati ai quali non sarà data mai una possibilità di lavoro a tempo indeterminato.
La crisi che siamo attraversando viene gestita dagli stessi soggetti che l'hanno determinata con operazioni finanziarie inconsistenti e che oggi non rispondono in alcun modo dei loro errori e delle loro scelte, anzi si sfilano dalle responsabilità con premi da capogiro.
La politica mostra tangibilmente di essere stata espropriata dalla tecnocrazia, ma non è da oggi che la rappresentanza dei cittadini è in balia di chi ha durata e determinazione nel raggiungere i propri obiettivi, riuscendo a ottenere consensi per operazioni speculative nell'interesse di pochi (corruzione) anche quando si è alla testa di soggetti che dovrebbero curare l'interesse pubblico, facendo in modo che si perda la memoria su nomi e circostanze al fine di riproporsi con aria innocente ma con la stessa tracotanza. E se di mezzo c'è qualche amministratore pubblico onesto, si fa in modo che non abbia visibilità, si attende che passi la giornata favorevole alla trasparenza e arrivi la notte degli accordi indicibili.
Sul piano internazionale, che non ci è estraneo anche quando parliamo di benessere su scala locale, questo sistema si mostra incapace di governare i conflitti. E anzi li alimenta se in essi vede la potenzialità di misurare le proprie capacità tecnologiche (leggi industria bellica) e di aprirsi ai cosiddetti nuovi mercati. Con questa logica lasceremo che l’ISIS conquisti non solo il Medio Oriente e il nord Africa ma continui minare il terreno dei giovani emarginati delle nostre città.
Non è secondario a questo sistema il meccanismo dell'informazione. Che premia intellettuali accondiscendenti e emargina quelli critici. Che nella scuola come nell'università segue logiche di appartenenze, pur dichiarando in ogni frangente di osservare la meritocrazia. Che nella rete mediatica mira alla confusione, alla superficialità, alla ripetitività invece che alla chiarezza, all'approfondimento, alla novità reale di persone e comunità. E in ultimo, permettetemi di dire, che cerca di guadagnare consensi con concessioni e strizzate d'occhio, cercando di muovere sentimenti di pancia anziché l'intelligenza analitica e propositiva. Che compra il consenso con contributi ben calibrati sulle iniziative che portano voti, e che con questo tolgono le unghie al volontariato che pure era nato per essere profetico e oggi viene considerato solamente truppa di riserva quando le risorse non bastano a pagare chi lavora. Non escludo che atteggiamenti di questo tipo siano rivolti anche alla Chiesa cattolica nelle sue articolazioni territoriali e associative.

LA PROPOSTA
Occorrono pertanto un pensiero, anzitutto, e una prassi che propongano al primo posto la questione che si deve uscire da questa crisi anzitutto con una ridistribuzione del reddito e cioè delle possibilità di occupazione, l'una capace di generare l'altra e tutte e due insieme un vero sviluppo.
La nozione che di cui dobbiamo farci nuovamente padroni è che non esiste la neutralità dell'economia, che vi sia un solo e migliore modo di gestire il capitale e l'ambiente, la forza lavoro e il bilanciamento fra pubblico e privato.
In questo senso la sfida vera non può che partire dalla Chiesa cattolica e in questo momento storico nel quale il Papato – dopo aver messo in discussione e contribuito a superare l'ideologia e la realtà del comunismo – sta ponendo specularmente le stesse domande sul senso e sulla verità del mercantilismo capitalista che ancora sopravvive pur mostrando tutti i suoi limiti.
Il metodo da seguire parte proprio dalla riaffermazione (e direi dalla comprensione in termini aggiornati) di espressioni quali dignità dell'uomo, giustizia sociale, progresso dei popoli, bene comune. Senza farsi ingannare da adesioni di facciata (basta pensare alla fortuna di quest'ultima espressione per alcuni anni in bocca a esponenti politici e manifesti elettorali di poli partitici opposti), ma cercando una purezza e la forza scientifica delle affermazioni. Non dobbiamo scivolare sull'errore già commesso (e da non ripetersi) di ricavare dal Vangelo principi immediatamente spendibili nella politica e nell'economia, ma non dobbiamo neppure rinunciare a esplorare attraverso l'esperienza vissuta dai credenti la validità e la proponibilità di valori che essi incarnano se vivono con radicalità la sequela di Cristo.
Come nel passato il Cristianesimo ha contributo a scalzare la schiavitù dell'impero romano, come è stato capace di gettare la basi dell'Europa industriosa e solidale attraverso il monachesimo che ci ha portati oltre i secoli bui, come ha educato i dominatori degli Stati nascenti a contemperare le loro aspirazioni con le necessità del popolo, come ha soccorso i feriti dei diversi campi di battaglia dell'ingiustizia qui da noi e nelle terre di missione, come è stata capace di resistere all'ondata ideologica dell'Otto e Novecento che da diversi punti di attacco annullava l'individuo a favore del moloc dell'interesse produttivo o del controllo dei regimi, così oggi lo stesso Cristianesimo è capace di squarciare il velo della mistificazione che il potere stende sui cuori e sulle menti di tanti.
A partire da questa convinzione, può partire anche la capacità di proposta di nuove soluzioni nel campo delle politiche economiche, agendo là dove lo consentono le competenze e le appartenenze esistenti, osando anche di andare oltre rischiando qualcosa delle proprie sicurezze. E la questione della centralità del lavoro nella vita delle persone e delle famiglie diventa il motivo non di lotte di retroguardia, a difesa di qualche principio o privilegio, ma di proposta sbilanciata sul futuro, guardando ai giovani che saranno gli adulti di domani. E anche agli adulti di oggi che saranno gli anziani di una società che non sembra lasciar spazio a chi non è più efficiente.


franco maletti - 2015-07-16
E' un "manifesto politico" che è difficile non condividere: in particolare quando alla fine delle ideologie corrisponde anche la fine dei partiti che queste ideologie rappresentavano. Temo però che nulla sia modificabile se prima ciascuno di noi non si rieduca al rispetto della legislazione esistente. Mi spiego meglio: se una legge od una regola oggi non viene ritenuta "giusta" la tendenza di ognuno è quella di arrangiarsi come può, non rispettandola. Finisce così che la giustizia si trasforma in "giustificazione": dove ognuno trova la propria e riesce a trarre vantaggio nei confronti di chi invece rispetta le regole. Così si va da nessuna parte. E allora, invece di invidiare segretamente il furbo o il coraggioso che si avvantaggia non rispettando la legge, bisognerebbe riflettere sul fatto che i primi ad essere danneggiati siamo noi onesti. Anzi, più gli altri non rispettano le regole, più noi veniamo tartassati: dovendoci sobbarcare l'onere di sopperire alle "evasioni" (soprattutto fiscali) degli altri. E' necessario un lungo lavoro culturale, che riesca a trasformare l'individualismo opportunista in solidarietà sociale. Il Lavoro è senz'altro fondamentale: ma senza il rispetto delle regole il Lavoro mancherà sempre di più.
Andrea Griseri - 2015-07-16
Condivido parola per parola. E offre speranza vedere che qualcuno si sta qua e là liberando dalle tossine dei pensieri unici. Fai sapere qualcosa di più sul piano operativo della tua iniziativa. Non è tempo di aventini. Non è tempo di sostare sul monte a contemplare la gloria inattingibile del Figlio. E' proprio lui a chiederci di scendere dal monte.