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Le proposte della CGIL
 
di Enrica Valfrè
 

Questa è la sintesi dell’intervento che la Segretaria generale della CGIL torinese ha svolto al seminario su COME CREARE LAVORO che la nostra Associazione sta tenendo in queste settimane.

Prima di rispondere al quesito di fondo, credo siano importanti alcune premesse. Siamo d’accordo che creare lavoro, impegnarsi per la piena occupazione, è obiettivo e priorità? oppure siamo disposti a convivere con una crescita, se ci sarà, senza occupazione? Il DEF prevede un tasso di disoccupazione stabile, e il governo pare più “spettatore” che non “attore”. Ma la diminuzione del lavoro non è inevitabile: economisti ci dicono che la quarta rivoluzione industriale – dopo fordismo, postfordismo, robot che hanno distrutto lavoro – quella della digitalizzazione, fa crescere l’occupazione. Quale idea abbiamo poi del ruolo che ha il lavoro nella società? è il lavoro o il reddito che permette inclusione e mobilità sociale? Ed è sufficiente dire che occorre creare lavoro, oppure bisogna aggiungergli qualche aggettivo: qualificato, ben retribuito, con formazione…
Altra questione su cui intendersi: quale ruolo deve avere il pubblico: deve costruire le condizioni per cui le imprese possano agire? oppure deve essere attivo nella programmazione (politiche industriali) e quindi avere visione – lungimiranza e scegliere di investire? Sul ruolo dell’investimento pubblico l’economista Marianna Mazzuccato ritiene che solo il pubblico faccia investimenti a lungo termine, come nella ricerca. E si può pensare a un pubblico che crea direttamente lavoro?
Se poi l’obiettivo del lavoro è creare ricchezza, possiamo disinteressarci della sua redistribuzione? I dati ci dicono che durante la crisi in Italia sono aumentati depositi bancari: in parte per effetto dell’incertezza sul domani, in parte perché sono aumentate le disuguaglianze e la povertà. Thomas Picketty in Capitale del XXI secolo analizza il trasferimento della ricchezza dalla produzione alla rendita. Che implica il ruolo del pubblico per ridurre la disuguaglianza a tutela dei più deboli. Non penso comunque che si possa agire solo localmente. Occorre un cambio delle politiche europee di austerità e una estensione dei diritti del lavoro.
Infine due argomenti preliminari, se vogliamo, ancora più importanti: il primo è il tema dell’invecchiamento demografico in Europa e il rapporto con le migrazioni; il secondo è la necessità di investire sul sapere, la vera priorità per contrastare il declino. Sapere significa scuola, istruzione, università, ricerca, cultura, innovazione. Non penso solo alle eccellenze – 4 su 10 direttori CERN sono italiani – e ai “cervelli in fuga”, ma ritengo necessaria una nuova “alfabetizzazione”, una crescita complessiva del nostro patrimonio umano. Eppure il DEF riduce il rapporto sul PIL della spesa per il sapere dal 3,7% nel 2015 al 3,5% nel 2020.
A queste premesse aggiungo il mio punto di vista: creare lavoro è la priorità, perché la disoccupazione determina anche la crisi “sociale” di appartenenza a una comunità. Ci vuole lavoro di qualità, cioè tutelato, consapevoli che il reddito non sostituisce il lavoro. Certo, per tamponare la disoccupazione occorre un sistema di ammortizzatori universale, con strumenti mirati di contrasto alla povertà.

Cosa serve per creare lavoro? Parto da cosa non serve, o serve poco, o fa danno.
Il Jobs Act: non è cambiando le regole (e le tipologie contrattuali) che si crea lavoro (lo dimostrano gli anni che abbiamo alle spalle); soprattutto la decontribuzione – droga mercato – non incentiva aziende ad innovarsi, competono su riduzione costo del lavoro; se diritto del lavoro è costruito solo su esigenza dell’impresa – non c’è parità – una delle due intelligenze (il sapere del lavoro) non viene utilizzata
Poco utili si sono rivelati anche i 10 miliardi per dare 80 euro in più in busta paga: infatti la domanda non è cresciuta, l’economia nemmeno, nessun posto di lavoro in più.
Allora cosa si può fare? Rispondo in 5 temi: visione/risorse/riforme/fare rete/qualche proposta (grande o piccola) per intervenire subito.
VISIONE. È la capacità di progettare a partire dalle ricchezze del nostro Paese e da ciò che abbiamo già: la manifattura per il Piemonte e Torino è importante, unita alla capacità di innovare: in epoca in cui ci sono filiere lunghe anche su più Paesi, bisogna investire sull’anello del ciclo produttivo nel quale si concentra il valore, per essere in grado di adeguarsi in fretta quando mutano le richieste degli altri attori della filiera. È un modo per applicare le politiche industriali proposte dal professor Berta con le cosiddette piattaforme produttive locali, che coinvolgono aziende e istituzioni anche nella ricerca di finanziamenti.
Progettare oggi vuol dire avere il coraggio di scegliere i settori su cui investire. La ricerca dell’IRES presentata il 10 aprile scorso fotografa la potenzialità dei territori piemontesi, dove la multiutility IREN potrebbe diventare un soggetto che crea sviluppo, innovazione e industria nel settore energetico e ambientale . In Piemonte e in tutto il Paese vale il tema del made in Italy, come ben spiga la ricerca Unipol/Sai presentata il 20 aprile scorso.
Per individuare dove investire è utile ragionare su cosa non si può de localizzare. Per primo metto il welfare, ricordando che la spesa sociale e per investimenti nel nostro Paese è sotto la media U. Poi gli immobili, la loro ristrutturazione e recupero: solo per le manutenzioni di edilizia scolastica l’ANCE ha stimato necessario 1 miliardo di investimenti con 17.000 posti di lavoro. Poi il territorio, il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza attraverso tante piccole opere necessarie. E la valorizzazione dell’ambiente e dei beni culturali: il nostro inimitabile patrimonio artistico-storico-culturale non ha ancora espresso un’industria turistica di qualità, può indurre innovazione tecnologica dei sistemi conservativi e dare la necessaria linfa al settore dell’enogastronomia. La visione, cioè le idee, i progetti, sono il primo requisito. Ma non bastano da soli senza risorse.
RISORSE. Le proposte CGIL sono state ancora ribadite nel confronto con il governo sul DEF: lotta all’evasione, tassazione straordinaria dei redditi superiori a 350.000 euro (sono il 5%) da cui si possono ricavare 10 miliardi; utilizzo dei fondi pensione e della Cassa Depositi e Prestiti; erogazione dei fondi europei non più a pioggia e no agli sprechi, come ad esempio il miliardo e mezzo di “garanzia giovani”; meccanismi di “duplicazione” delle risorse, come caso tipico è il welfare: se faccio un trasferimento monetario uso le risorse una volta, ma se le uso per “comprare” un servizio, pago anche chi quel servizio lo offre.
RIFORME. Cito solo quelle strettamente legate alla legalità nella pubblica amministrazione, come la revisione del codice degli appalti, viste le nuove modalità di corruzione: non più la mazzetta, ma consulenze per parenti o partecipazioni in aziende che poi vengono rivalutate e rivendute.
FARE RETE E SISTEMA. Intendo prima di tutto il valore della cooperazione rispetto alla competizione. Va riaffermato il ruolo delle banche e delle fondazioni bancarie come indispensabili sostegni agli investimenti produttivi. Una base condivisa può essere il Piano strategico Torino 2025 con una progettualità di sviluppo per distretti.
PROPOSTE PER L’IMMEDIATO. Sblocco del patto stabilità per le piccole opere pubbliche di comuni e Province e Città Metropolitane, ripristinando i trasferimenti alle autonomie locali. Finanziamento ed estensione dei contratti di solidarietà, invece di detassare gli straordinari: è il modo più diretto per “distribuire” il lavoro che c’è, insieme all’utilizzo del part-time contrattato. Uso di ammortizzatori universali , per garantire un reddito di continuità tra un lavoro e l’altro, e strumenti di lotta alla povertà con politiche di inclusione. Revisione della legge Fornero per ripristinare la flessibilità delle pensioni e permettere l’ingresso ai giovani. Per loro sarebbe anche molto utile ripristinare il servizio civile, una risposta al problema dei cosiddetti neet. Risultati nel breve periodo potrebbero dare un miglior raccordo formazione-lavoro, con la valorizzazione dell’apprendistato nell’artigianato dove si sta sempre più perdendo il saper fare, e incentivi alle start-up giovanili opportunamente seguite. Per aiutare chi è più in difficoltà, non sarebbe male estendere il progetto “1 euro per abitante” attivo da anni nella Zona Ovest, e riprendere i “lavori di pubblica utilità” finanziati dal fondo sociale europeo.

Per concludere sottolineo che in un periodo di grave crisi non basta l’austerità ma occorre investire. E il pubblico deve creare lavoro anche direttamente. Certo, il lavoro lo creano le imprese, e bisogna favorire le condizioni per cui le imprese possano investire, radicarsi, funzionare. Il ruolo del pubblico è di regolatore, per reperire risorse e promuovere reti: ma per risalire la china serve anche come datore diretto di lavoro. Lavoro che è una potente forma di redistribuzione, ma è soprattutto mezzo di inclusione sociale e di tenuta democratica.