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Emergenza migranti, una prova per l’Europa
 
di Monica Canalis
 

Chiamiamo le cose con il loro nome: le continue morti di migranti nel Canale di Sicilia sono una vera e propria STRAGE.
Che dovrebbe scuotere le nostre coscienze quanto le vittime dei terremoti o degli tsunami, degli attacchi terroristici o delle guerre.
Un’ondata umana si sta spostando dal sud del mondo (un sud fisico o metaforico) verso l’Europa, fuggendo da carestie, persecuzioni e guerre. Sono Siriani, Irakeni, Sudanesi, Nigeriani, Eritrei … Molti aspirano ad ottenere lo status di rifugiato.
L’opinione pubblica italiana, tradizionalmente accogliente e aperta alla solidarietà, è schiacciata tra la compassione per questi esseri umani che sono disponibili a rischiare la vita per costruirsi un futuro e la crescente preoccupazione per le dimensioni del fenomeno. È del tutto comprensibile visti i numeri esorbitanti, degli arrivi come dei morti in mare, i quali sono stati più di 3.000 nel 2014 e almeno 1.500 nel 2015.
Le risposte demagogiche come sempre non offrono vere soluzioni. Prima di tutto perché gli sbarchi dei migranti non sono una “invasione”: in totale, gli extracomunitari residenti nei Paesi europei sono 20 milioni, ovvero il 4% della popolazione. In Italia sono il 9%. Negli Stati Uniti il 13%, molti di più.
Sarebbe più opportuno un approccio razionale al problema, senza buonismo ma anche senza la barbarie verbale e concettuale di Salvini & co. Invece di solleticare gli istinti razzisti e la caccia allo straniero come capro espiatorio dei nostri mali, bisognerebbe affrontare l’emergenza con maggiore coraggio politico.
L’Italia da sola non ce la può fare a gestire tutti gli arrivi del confine mediterraneo dell’Europa. È il momento di capire se l’Europa vuole essere solo un guardiano dei conti pubblici o se ha le carte in regola per dare risposte politiche unitarie a questioni cruciali come l’esodo di interi popoli che si sta riversando sulle nostre coste. Non basta un potenziamento di Triton. Occorre un piano articolato, una sorta di Piano Marshall, che intervenga in Libia e negli altri Paesi africani, fermi i trafficanti, selezioni i richiedenti asilo prima che si mettano per mare, distribuisca proporzionalmente i rifugiati nei vari territori. Questo non lo può fare l’Italia da sola. E l’Italia deve chiedere con più forza agli altri Paesi dell’Unione che rendano vivi i principi enunciati nei Trattati e non considerino la questione sbarchi come una mera questione nazionale.
L’ex ministro Moavero Milanesi ci ricordava sul “Corriere” che per farsi valere in Europa non basta la capacità di comunicazione, servono abilità negoziale, alleanze forti, credibilità politica consolidata nel tempo. E anche qualche tecnicismo che, magari, dico io, era più comune in alcune figure politiche rottamate negli ultimi anni, che potrebbero essere ripescate in questa occasione.
Se Renzi e l’Italia non smuovono l’Europa, il rischio è che l’indifferenza di Bruxelles per quanto sta accadendo possa decretare la morte del sogno europeo, del nostro orgoglio per la tradizione di soft power e per l’esperienza di avanguardia nella difesa dei diritti umani.
Una guerra si sta combattendo nel nostro mare, un mare europeo, e i governanti stanno chiudendo gli occhi.


Giuseppe Ladetto - 2015-05-01
Joseph Roth, uno scrittore da me molto amato, in un bel libricino (Ebrei erranti) del 1927, narra degli ebrei dell’Europa orientale che emigravano nell’Europa occidentale per fuggire dalla miseria e soprattutto dalle discriminazioni presenti nell’est europeo. Roth si sofferma sulla reazione che tale fenomeno provocava nella gente dei paesi di approdo, in particolare negli ebrei occidentali, ai quali era richiesto di dare accoglienza a questi loro correligionari. A fronte di un fenomeno immigratorio che, per quanto coinvolgesse un numero di persone non eccessivo, pareva comunque non aver termine, Roth osserva: “Quando scoppia una catastrofe, i vicini, sconvolti, si dimostrano soccorrevoli. Tale è l’effetto di gravi catastrofi. Sembra che gli uomini sappiano che le catastrofi non durano a lungo. Le catastrofi croniche, invece, sono così mal sopportate che a poco a poco, sia di esse che delle loro vittime, non importa più niente a nessuno, quando addirittura non sono vissute come qualcosa di molesto. A tal punto è radicato negli uomini il senso dell’ordine, della regola e della legge che alle eccezioni senza legge, al caos e alla follia è concesso soltanto un brevissimo tempo. Se però la follia dura a lungo, le braccia soccorrevoli si paralizzano e si spegne il fuoco della misericordia”. Oggi, di fronte a flussi migratori ben più consistenti e in crescita, dei quali non si intravede un termine temporale, è ovvio che l’opinione pubblica sia disorientata e, se pure ancora manifesta compassione per le molte vittime, è sempre più preoccupata per la dimensione del fenomeno, anche perché non vede, né in campo, né in cantiere, alcuna misura atta a dare una vera soluzione al problema. Ha scritto Benedetto XVI che la strategia principale per affrontare il fenomeno consiste nel migliorare la situazione e le condizioni di vita delle persone nel loro paese di origine affinché non siano costrette ad emigrare. Ma nella società globalizzata, il cosiddetto turbocapitalismo indirizza gli investimenti di capitali ove il rendimento è massimo, e tutto il resto deve essere a ciò subordinato: si accentuano in tal modo gli squilibri tra territori nella distribuzione della ricchezza, nell’occupazione e nei tassi di sviluppo; di conseguenza, gli esseri umani sono spinti a spostarsi dove possano intravedere qualche maggiore opportunità. E quando il fenomeno assume grandi dimensioni, ne risultano distrutti modi di vita, culture e relazioni sociali, sia nei paesi di origine che in quelli di approdo dei migranti. Oggi, a fronte di queste migrazioni, c’è chi innalza steccati che vorrebbe impenetrabili, e chi invoca come sola misura l’accoglienza; ma, se è giusto l’invito a considerare l’immigrato innanzitutto come una persona bisognosa di aiuto, non è possibile, in argomento, proporre una politica che ignori la difficoltà di ricevere numeri crescenti di immigrati, e che presupporrebbe una società abitata da santi. Roth coglie un aspetto importante del problema, e ci richiama al senso della realtà.
Giuseppe cicoria - 2015-04-30
C'è un problema serio di cui si parla poco ma che, però, è vivo nella mente della gente e che travalica ogni sano sentimento. In questo momento è in atto una vera e propria guerra di religione scatenata da pazzi sanguinari che interpretano il loro credo islamico in maniera davvero terrorizzante!. Questi sanguinari, approfittando delle norma democratiche in vigore nei paesi occidentali hanno espressamente dichiarato che intendono occupare(gradualmente si intende!) i nostri territori. Non possono integrarsi perchè il loro credo glielo impedisce e, quando, diverranno massa critica imporranno (prima gradualmente, s'intende, poi, con la forza terroristica, se necessario!) le loro leggi del corano anche a noi. Questo credo sia l'unico motivo perchè alcuni paesi previggenti, come la Francia, si oppongono all'ingresso della Turchia nell'Europa. In Italia nessuno si lamenta più di tanto di immigrati di altre religioni rispettosi delle nostre leggi ma abbiamo paura dei musulmani. D'altra parte come si fa a respingere solo i musulmani? Si tratterebbe di ufficializzare questa guerra in atto, e ciò non si deve fare per ovvi motivi. I cosiddetti governi di questo popolo finora si sono dimostrati acquiescienti o ambigui. Non hanno mai dichiarato e agito in modo deciso e compatto per scongiurare questo cataclisma che sta montando. Bisognerebbe parlarne di più con concretezza e serietà soprattutto con costoro. Per il resto salviamo tutti ma mandiamo a casa quelli che non avrebbero alcun motivo o diritto.