Da alcune parti si ritiene che, esaurita la stagione dell'unità politica dei cattolici, vi sia la necessità di organizzare nel PD, l’unico partito ancora degno di questo nome, un’area cattolico democratica o popolare. Un tema indubbiamente suggestivo – almeno per chi proviene da quel filone ideale – ma che richiede, comunque sia, un po’ di chiarezza per evitare di cadere in grossolani equivoci.
Innanzitutto il PD si sta progressivamente trasformando in un “partito personale”: PdR, cioè Partito di Renzi, viene ormai comunemente definito da quasi tutti gli osservatori e gli opinionisti politici. Un processo auspicato e perseguito dal suo leader ma che trova anche molti intoppi sulla sua strada. Soprattutto a livello periferico, dove vecchie appartenenze, collaudati pacchi di tessere, notabilati clientelari non scompaiono così facilmente.
Poi, al di là delle intenzioni del suo leader maximo, è ovvio che in un grande partito popolare, di massa e profondamente interclassista – anche se si sta trasformando sempre più in un grande contenitore elettorale, il cosiddetto “partito della Nazione” – azzerare il pluralismo culturale interno non sarà un’operazione né facile né indolore. Perché le grandi correnti culturali continueranno a scorrere come un fiume carsico sotto la crosta del “partito personale”, destinate a riemergere appena possibile. E anche la tradizione cattolico democratica rientra a pieno titolo in questa avventura. Però anche su questo versante occorre essere chiari per non disegnare scenari virtuali o del tutto fuori luogo.
Se è tramontata la stagione dei cosiddetti “partiti identitari”, diventa oggettivamente singolare dar vita a “correnti” semiconfessionali, o comunque sia, identitarie all'interno del PD. E questo per una semplice ragione: se così fosse non avrebbe avuto alcun senso dar vita nel 2007 a un soggetto politico che aveva come suo presupposto essenziale la confluenza di diverse tradizioni culturali in un solo grande partito. Semmai, per essere ancor più realisti e non ipocriti – cioè quelli che riscoprono la tradizione cattolico democratica e popolare solo per espedienti legati ai posizionamenti tattici interni al partito – la gloriosa e incancellabile tradizione del cattolicesimo politico italiano può essere di grande aiuto nel saper fecondare il dibattito interno al partito sulle singole scelte senza immaginare di dar vita a “cartelli culturali” o a “correnti organizzative” che si richiamano grossolanamente a quella tradizione.
Sarebbe curioso, per dirla in termini più comprensibili, se nascesse una corrente “popolare” nel PD che sostiene acriticamente il profilo di un “partito personale”, che rinnega alla base ogni forma di cultura delle alleanze, che polemizza quotidianamente con il sindacato, che ridicolizza i corpi intermedi e che sostiene un ridimensionamento del meccanismo della rappresentanza a vantaggio di un potere sempre più concentrato nelle mani dell’esecutivo.
Al contrario, sarebbe molto più efficace – almeno a mio parere – mantenere vivo e saldo quel patrimonio o attraverso una seria azione nel prepolitico e nell'ambito culturale, oppure sostenendo laicamente quel patrimonio ideale all'interno del partito di riferimento. In questo caso nel PD. Ma senza pretendere di rappresentare in modo esclusivo quella gloriosa tradizione facendola coincidere con la propria militanza.
Mi pare sia questo un modo più laico e corretto di cercare di interpretare l’universo popolare e cattolico democratico in una stagione politica italiana sempre più confusa, frammentata e disorientata.
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