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Una corrente cattolica nel PD?
 
di Franco Monaco
 

La notizia di una possibile nuova articolazione correntizia nel PR renziano è di qualche settimana fa, e qui ne ha parlato Giorgio Merlo (PD: correnti insostituibili) dandole per scontate in una formazione politica democratica e non aprioristicamente schierata dietro il proprio leader. La riflessione di Franco Monaco, pubblicata sul sito www.c3dem.it, dove si è già innescato un vivo dibattito, si colloca su un piano diverso e sostanziale: nel PD di Renzi, come si potrebbero collocare coloro che si richiamano alla tradizione del cattolicesimo democratico? Cioè a figure come Moro, De Gasperi, Dossetti, Gorrieri, La Pira? Prevale la distanza o la consonanza?

Secondo le notizie di stampa si starebbe costituendo una componente (guai a chiamarla corrente!) catto-renziana nel PD. Come da copione, i promotori hanno smentito che si tratti di corrente e che la sua denominazione sia appropriata. Renzi ha osservato che auspica la produzione di idee e non di correnti. Chi ha qualche esperienza politica sa bene quanto sia sottile e incerto il confine tra correnti intese quale fisiologica espressione di posizioni politico-culturali e mero gioco di posizionamento, finalizzato a negoziare posti e candidature. Non solo. Il pensiero corre, per esempio, alle primarie-plebiscito del 2007 che investirono Veltroni, il quale, per “differenziare il prodotto”, si inventò cinque diverse liste a suo sostegno. Una palese finzione, a copertura di primarie non competitive. Ad autorizzare il sospetto del carattere artificioso e strumentale o quantomeno posticcio di tali operazioni stanno tre circostanze: la leadership forte di Renzi e la non plausibilità che tali iniziative possano fiorire senza il suo avallo; il processo di accelerato riposizionamento dentro i gruppi parlamentari del PD; l’attiva … impresa traslochi verso il PD da formazioni politiche posizionate alla sua destra e alla sua sinistra, traslochi palesemente incoraggiati dai vertici del partito allo scopo di avvalorare la teoria (controversa) del PD quale “partito della nazione” interclassista e inclusivo.
Nonostante questo, mi piace prendere sul serio la cosa e trarne spunto per una riflessione. Cioè interpretarla positivamente come un virtuale luogo/strumento di elaborazione e proposta politica e di declinare in positivo anche la denominazione giornalistica: non già una corrente cattolica entro il PD (in un partito laico, unitario e pluralistico, l’identità confessionale sarebbe il massimo della regressione), ma una componente che non disdegna di ispirarsi alla cultura/tradizione cattolico-democratica e cristiano-sociale. Di sicuro tra le culture costitutive del PD. Per alludere a tale ispirazione la stampa ha evocato alcuni padri nobili di quella tradizione: Moro, Dossetti, La Pira, Gorrieri, persino il nuovo capo dello Stato Mattarella, che certo a quella famiglia politica può essere ascritto.
Ripeto: non per spirito polemico o per pregiudiziale chiusura, ma, al contrario, per prendere sul serio l’iniziativa, merita interrogarsi sul rapporto tra il corso renziano e la lezione incorporata in quelle figure. Perché, per davvero, si avverte grande bisogno di dare al PD profondità, visione, ancoraggi ideali intestabili a un soggetto collettivo.
Dico subito che, a prima vista, l’impressione complessiva è quella di una distanza piuttosto che una consonanza tra quelle figure e la politica del PD renziano. O quantomeno al suo stile e ai suoi paradigmi. Distanza non solo ascrivibile alla radicale differenza di contesto e di profili soggettivi. Si pensi a Moro e alla sua maieutica, alla paziente ricerca del consenso e delle intese, dentro e fuori del suo partito (la cui unità fu valore e strumento essenziale al suo disegno), atte a fare evolvere la democrazia italiana senza produrre strappi. Oppure alla sua cura di auscultare la società e le sue rappresentanze. Si pensi a Dossetti, alla sua fedeltà creativa alla Costituzione, al suo culto per la democrazia parlamentare, alla sua diffidenza verso le derive leaderiste, alla sua polemica con lo stesso De Gasperi che investì sul primato del governo a discapito del protagonismo del partito. Si pensi al La Pira delle “attese della povera gente”, al fastidio sino all’irrisione nei suoi confronti da parte del “quarto partito”, la Confindustria capeggiata da Costa, nonché ai suoi aspri contrasti con la politica economica di stampo liberista di Einaudi e di Pella. Si pensi a Gorrieri, alla cui scuola mi dicono sia cresciuto il giovane Matteo Richetti, promotore dell’iniziativa catto-renziana. Come dimenticare le battaglie egualitarie di Ermanno sulle politiche sociali e familiari, spesso più audaci di quelle praticate dalla sinistra di matrice comunista? Infine, Mattarella. Egli non si ergerà a contropotere del premier e del governo (chi ci fa conto se lo scordi) ma di sicuro vigilerà sul rispetto della Costituzione e sulla divisione dei poteri. Sui delicati equilibri di cui si nutre il moderno costituzionalismo liberale e democratico. Senza trascinarlo nella contesa tra le parti, tuttavia è innegabile che la sua storia politica ne fa un convinto parlamentarista. Un conservatore, lo bollerebbero coloro che, impropriamente, applicano la polarità conservatori-innovatori alla materia costituzionale. Come se conservare ispirazione, principi e impianto della Carta fosse sentimento e proposito retrò.
Non voglio essere frainteso: forse si può argomentare la coerenza del corso renziano con quell’alto patrimonio. Non lo escludo. Solo mi sento di sostenere che, chi legittimamente e persino utilmente si candida a riprendere creativamente quella ispirazione, debba misurarsi con l’interrogativo di una comparazione per nulla pacifica e pacificante. Misurandosi davvero a fondo con quello scarto, vero o apparente che sia. Questo sì sarebbe un servizio reso al PD, a Renzi, alla qualità della politica. La quale, spero se ne convenga, un po’ difetta di coerenza e profondità. Vogliamo discuterne, fuori da anguste logiche di posizionamento?


Giuseppe Davicino - 2015-04-07
L'invito che Monaco rivolge in modo sommesso e benevolo a quanti si richiamano all'eredità del cattolicesimo democratico e sociale dentro il Pd - e fuori dalla minoranza interna - di misurarsi con la sostanza di quel riferimento, rischia di cadere nel vuoto in un'operazione che appare di mero posizionamento. Ma questo vale anche per chi guarda ormai oltre il Pd: le grandi ispirazioni ideali sono feconde non se si trasformano in etichette, ma se ci dischiudono idee nuove per i problemi del presente. In entrambi i casi si fatica a trovare dei testimoni.