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Anticorruzione e prescrizione
 
di Mario Chiavario
 

Ormai il numero delle inchieste giudiziarie per gravi fatti di corruzione non si conta più: ultima, quella resa pubblica nei giorni scorsi dalla Procura di Firenze. Come spesso accade, l’attenzione da parte di molti fra i commentatori si è al riguardo concentrata su aspetti non direttamente attinenti al problema di fondo, anche se non meno importanti e delicati. Così, il veder riprodotti sui giornali ampi brani di conversazioni intercettate – in parte prive di rilevanza penale – ha riacceso il dibattito sui limiti entro cui può ammettersi che siano diffuse e pubblicate le relative registrazioni e, più in generale, sul momento a partire dal quale è giusto che vengano date anticipazioni su quanto è oggetto di un’indagine non ancora sottoposta, nella sua interezza, al contraddittorio difensivo davanti a un giudice. Inoltre, il coinvolgimento – sia pur non come indagato – di un ministro, conseguentemente dimessosi, ha ancor di più indotto a congetturare e discutere sui contraccolpi che queste vicende hanno o possono avere sugli equilibri parlamentari e di governo.
Rimasta spesso in secondo piano sui giornali e nei talk-show televisivi, resta tuttavia cruciale la questione dei rimedi, preventivi e repressivi, per cercare di arginare, meglio di quanto non si sia sin qui fatto, i più gravi crimini che si commettono da parte di chi ha maneggio di denaro e di risorse della collettività, in particolare nel campo dell’affidamento, della gestione e del controllo di opere o servizi pubblici. In proposito, sappiamo che, dopo lunghi periodi di stallo, si è sbloccato a Palazzo Madama il cammino del disegno di legge conosciuto con il nome del presidente del Senato Grasso, specificamente volto a disciplinare in modo innovativo “delitti contro la pubblica amministrazione, associazioni di tipo mafioso e falso in bilancio”. E la notizia parrebbe di per sé positiva.
Non mancano però i dubbi sull’effettiva efficacia delle norme configurate nel testo in discussione. Il Governo punta parecchio su un effetto d’immagine, grazie agli aumenti di pena previsti per varie ipotesi delittuose. Ma da sempre si sa che, come reale deterrente, la gravità delle sanzioni comminate conta poco o nulla se poi non si riesce a sciogliere tempestivamente, con una sentenza definitiva, il dilemma tra l’innocenza e la colpevolezza delle persone. E la minaccia di pene che possano suonare sproporzionate, oltre che oggettivamente ingiuste, diventa addirittura un boomerang quando finisce per stimolare l’occultamento delle notizie di reato da parte dei tanti “pesci piccoli” (piccoli imprenditori o funzionari di rango secondario) altrimenti indotti a collaborare con la giustizia agevolando la scoperta delle maggiori responsabilità.
Piuttosto sarà importante regolare al meglio le nomine dei massimi e medi dirigenti amministrativi (così da evitare lunghe permanenze in centri di potere) nonché le procedure relative agli appalti, disboscando la selva di appesantimenti burocratici (in cui gli onesti si perdono e i furbi sguazzano) per concentrarsi su poche norme che non allontanino chi vuol lavorare in modo pulito ma favoriscano la trasparenza e i controlli rigorosi.
Certo, nessuno ha in tasca la chiave magica che faccia sparire di colpo un malcostume diffuso e quasi dato per scontato. Né si possono dimenticare le connessioni con quegli altri fenomeni gravissimi – dallo sfruttamento del lavoro al grande commercio di droga e alle reti mafiose – che non a caso il Papa riporta a un ampio concetto di corruzione, il quale va ben oltre quello in senso tecnico del codice penale, facendone oggetto delle più implacabili e meno usuali parole di condanna pronunciate da un Pastore che pure fa dell’insistenza sulla misericordia un tratto essenziale del suo pontificato.
Sul piano strettamente penale, non va semmai trascurata l’importanza di un’altra iniziativa legislativa che dal canto suo sta procedendo, sia pur faticosamente, alla Camera dei deputati. È quella sui ritocchi al meccanismo dei termini di prescrizione, la cui scadenza rende non punibile il reato. In effetti c’è più che mai bisogno che questo istituto – pur avente una sua giustificazione perché non siano gli imputati a pagare le inerzie o le lungaggini degli apparati della giustizia – non finisca col trasformarsi, come oggi accade sovente, in un comodo lasciapassare per ottenere scandalose impunità. Opportuno, dunque, il sospendere almeno per un certo tempo il corso della prescrizione in pendenza di appelli e ricorsi per cassazione, così come prevede il testo attualmente in discussione.
Più discutibili le operazioni, diciamo così, da puro pallottoliere, che incidono cioè unicamente sulla misura dei termini di prescrizione. Deplorevolmente ridotti, in via generale, da una delle tante leggi ad personam (o quasi) del recente passato – la “ex-Cirielli” –, se ne prospetta ora un reinnalzamento, specificamente mirato ai reati di corruzione: il che, tuttavia, potrà far sorgere il dubbio di incostituzionalità per il confronto con quanto diversamente previsto in via generale e perciò anche con riferimento ad altri delitti analogamente puniti.
Meglio sarebbe percorrere una strada diversa, tra l’altro parzialmente suggerita proprio da ciò che lo stesso disegno di legge viene a prevedere per le violenze sessuali o i maltrattamenti commessi in danno di minorenni, riguardo ai quali il termine di prescrizione è fatto decorrere dal compimento del 14° anno di età della vittima oppure, se il procedimento penale sia iniziato prima, dall’acquisizione della notitia criminis da parte degli organi dello Stato.
Ecco. Anche più in generale, la soluzione dovrebbe essere proprio quest’ultima, giacché pure nel caso di tanti altri reati – in particolare per quelli attinenti al mondo degli affari e della pubblica amministrazione – la scoperta può avvenire (e normalmente avviene) a lunga distanza dalla loro commissione, specialmente a causa dell’omertà che si stabilisce tra l’autore principale e i partecipi, compresa l’eventuale vittima-complice. E allora se, come accade oggi, la prescrizione si fa sempre decorrere da quando il delitto è stato commesso, può restare davvero poco tempo per giungere a una sentenza definitiva dopo un processo equo.
Perché, dunque, non spostare, pure in casi come questi, l’inizio del corso della prescrizione alla data in cui la polizia o il pubblico ministero vengono a conoscenza dell’illecito?
In Francia ci sono arrivati mediante un paziente lavoro interpretativo della giurisprudenza; da noi, sarebbe meglio fissare con chiarezza una regola del genere nel codice penale.

(Questo articolo è stato pubblicato su “Il nostro tempo” del 29 marzo scorso)


Roberto Giardino - 2015-04-08
In pratica, occorrerebbe stoppare la prescrizione nel momento in cui si va a giudizio. Di colpo trucchi e trucchetti per prolungare i dibattuti cesserebbero e la durata media dei processi si ridurrebbe magicamente!
Giv visconti - 2015-04-07
L'Inghilterra non varerà mai leggi contro i paradisi fiscali o limiterà l'anonimato dei conti correnti, perchè è una voce preponderante della sua economia, Londra rimane il più importante mercato finanziario. In egual modo in Italia il parlamento non varerà leggi efficaci contro la corruzione, perchè direttamente o indirettamente sindacati, fondazioni, società pubbliche, ASL, etc. sono direttamente o indirettamente colpevoli di corruzione. Sarebbero sufficienti due provvedimenti: 1- dopola prima condanna cessa la prescrizione, 2- blocco di tutti i beni Dell indagato e dei parenti di primo grado. Mi duole dirlo ma solo il M5S è favorevole-a tali provvedimenti.