Giuseppe Ladetto - 2015-04-10 Ritengo utile fare qualche considerazione relativamente ad alcuni commenti.
Rifkin non vuol far intendere che si arrivi inevitabilmente a un traguardo apocalittico. Nel libro presenta alcune possibili soluzioni del problema: fra queste in primo luogo “lavorare tutti, lavorando meno”. Infatti la aumentata produttività del lavoro ad opera delle sempre nuove tecnologie non deve solamente tradursi in maggiori utili per chi ha investito in esse, ma deve andare a vantaggio, oltre che dei lavoratori direttamente coinvolti, dell’intera società. Il quesito è se nel contesto economico attuale sia possibile seguire questa strada.
L’uomo aspira al “più” e non al “meno”. Se parliamo di qualità, il discorso può reggere; se si tratta di quantità, si scontra con i limiti di un mondo finito (e ciò vale anche per la crescita demografica). Ogni sviluppo (che non significa la sola crescita materiale) è possibile se si rispetta l’equilibrio del bilancio tra le risorse del pianeta annualmente generate e quelle prelevate e di quello tra rifiuti prodotti e capacità di metabolizzarli (ciò che oggi non accade).
Nessuno demonizza le tecnologie. Tuttavia, a fronte degli interrogativi che pone lo sviluppo tecnologico, in particolare pensando alle manipolazioni dei viventi ed agli interventi sull’ambiente, è lecito chiedersi dove si stia andando e se sia possibile governare l’innovazione guidandola verso una meta. Quanti operano nel mondo tecnologico dicono che è impossibile governare l’innovazione tecnologica perché ciò implicherebbe la capacità di prevedere il futuro e perché l’innovazione è il risultato aleatorio e sovente non previsto dell’attività di ricerca che le imprese conducono. Troppo comodo rivendicare la propria irresponsabilità riguardo ai guasti prodotti. In materia rileva Luciano Gallino che la tecnologia non nasce fuori della società e che guidare la tecnologia comporta guidare dall’interno un sistema sociotecnico verso i fini che liberamente si dà. Il discorso pertanto riguarda i fini che possono e debbono essere definiti. Ed ancora in argomento, Anthony Giddens scrive che, se si vogliono evitare i pericoli seri ed i danni irreversibili dello sviluppo tecnologico, occorre riesaminare la logica stessa di uno sviluppo scientifico e tecnologico inarrestabile: l’umanizzazione della tecnologia implica la crescente introduzione di problematiche morali nel rapporto ormai ampiamente strumentale tra esseri umani e creato. In questo senso, è condivisibile l’aspettativa che la strada di fronte a noi sia quella di continuare a far progredire cultura, conoscenza scientifica e tecnologia in modo da sfruttare pienamente e responsabilmente le opportunità del progresso. Ciò che bisogna chiedersi è se la strada che attualmente la modernità sta percorrendo vada in tale direzione. A me pare di no.
| ||
giuseppe cicoria - 2015-04-03 Il processo descritto fa intendere che si arrivi inevitabilmente ad un traguardo apocalittico. L'uomo, con la sua intelligenza ha, anche se in maniera disordinata, rallentato il processo di riequilibrio cosmico come è avvenuto per millenni nel campo animale e vegetale.
Il sistema di sostanziale libero mercato, ha accellerato il livellamento degli squilibri prima esistenti tra i popoli e le loro economie, danneggiando quelli cosiddetti ricchi a favore di quelli poveri.
L'abbandono dei vecchi strumenti monetari, prima collegata ai beni, ha causato l'esplosione di una quantità monetaria virtuale, che eccede e di molto il valore dei beni prodotti ed esistenti.
Ciò ha incentivato i consumi e la produzione di beni non necessari che sta esaurendo velocemente le risorse ambientali di tutto l'ecosistema.
I consumi dei popoli in maniera superiore ai beni prodotti ha provocato debiti nazionali abnormi che ora necessitano, paradossalmente,di vedere aumentare ulteriormente i consumi, per abbattere il famoso debito/PIL.
Tutto ciò premesso credo sia indispensabile:
- che i governi, coalizzati in macroregioni,limitino il processo perverso messo in atto
dal libero mercato, in modo da gestire i livellamenti sociali, in un lasso maggiore di
tempo;
- che tutti i governi adottino misure drastiche di limitazione delle nascite onde evitare
che il "naturale livellamento" avvenga, come in passato, con guerre devastanti o con
quelle striscianti ma ugualmente deleterie.
Si avrà, così anche una minore disoccupazione perchè si avrà una stessa quantità di beni
con minore mano d'opera, stante il progresso tecnologico.
In un modo o in un altro l'ecosistema ritroverà il suo riequilibrio. Es: se non si smette di ammorbare l'atmosfera, arriverà un giorno in cui moriranno milioni di persone, fatto che alleggerirà in un colpo solo l'impatto ambientale, ricreando, così, l'equilibrio sconvolto. | ||
Efisio Bova - 2015-04-03 Il problema posto da Rifkin è sensato: in prospettiva la tecnologia sembra avere le potenzialità per sostituire in larga parte il lavoro umano. Tuttavia ci sono alcune ragioni per le quali ritengo difficile fare delle previsioni realistiche sul futuro:
a) nelle nostre analisi ci basiamo sulle condizioni culturali e sociali a noi note, ovvero quelle del presente. Tuttavia l'interazione con la tecnologia non modifica solo il tasso di disoccupazione, ma influenza profondamente anche la cultura, i valori e i modelli di vita.
(ad esempio senza l'orologio non avremmo avuto il Taylorismo). Non sappiamo dire ancora nulla sul tipo di società che vedrà l'eventuale scomparsa del lavoro umano.
b) non sappiamo quali tecnologie saranno davvero disponibili a breve. A seconda delle tecnologie disponibili e delle loro interazioni nasceranno scenari profondamente diversi.
Avremo finalmente a disposizione una fonte di energia infinita? Sarà possibile prolungare la vita umana? L'intelligenza artificiale supererà davvero l'uomo? Le nanotecnologie ci renderanno degli ibridi uomo-macchina? Nel lunghissimo periodo la risposta a tutte queste domande è sicuramente SI. Ma nel breve è azzardato fare previsioni. Senza contare che ogni 50 o 100 anni una scoperta scientifica si affaccia sulla storia e la sconvolge in modi inaspettati.
c) La riflessione di Rifkin è molto vera per il manufacturing (ma nemmeno tutto) Ma per i servizi alla persona? Non credo. Già ora stiamo assistendo alla rinascita di lavori che si basano sulla qualità e unicità dell'esperienza (dall'arte alla gastronomia) piuttosto che sull'efficienza del processo produttivo. L'economia lentamente si sta riconfigurando diminuendo il peso del "manufacturing" tradizionale.
Un'ultima riflessione: non sappiamo quali saranno davvero i problemi che il futuro porterà, e nemmeno le opportunità. Ma sono certo che la strada sarà quella di continuare a far progredire cultura, conoscenza scientifica e tecnologia in modo da sfruttare pienamente le opportunità del progresso e risolverne le contraddizioni.
Qualunque ricetta basata sul "meno", sul "diminuire" (che sia "comunista" o "popolare" poco importa) non può che fallire per un semplice motivo: è innaturale, artificiale e del tutto contronatura. Solo le ricette basate sul "più" e "meglio" sono coerenti con la natura profonda dell'uomo e con il suo destino: "per aspera ad astra"
| ||
marco verga - 2015-04-03 Articolo assolutamente condivisibile. La definizione di capitalismo tecnologico indica come anche con una ripresa economica l'occupazione non riprende. In questi anni di crisi si è anche "colta" l'occasione per ridurre certi lavori ormai inutili e per automatizzare processi anche impiegatizi a basso valore aggiunto. In questo contesto di globalizzazione i lavoratori, soprattutto quelli non specializzati e con basso livello culturale, rischiano di avere pochissime opportunità. Occorre quindi un ridisegno complessivo del sistema, ma siamo pronti per affrontalo? | ||
franco maletti - 2015-04-02 I problemi evidenziati da Giuseppe Ladetto e le possibili soluzioni li condivido tutti. Qui la questione non è se essere più o meno "comunisti", ma quali iniziative intraprendere. Creare un coordinamento per uniformare i contratti di lavoro sul piano economico e normativo, un identico sistema fiscale sui redditi di lavoro (almeno quello dipendente), non mi sembra che a livello europeo abbiano trovato le strutture di "ispirazione comunista" in prima linea. Anzi, ogni organizzazione sindacale si è preoccupate di coltivare il proprio orticello nazionale difendendo i privilegi dei propri lavoratori anche quando questi ultimi erano a discapito di altri lavoratori di nazionalità diversa. Per cui, se a livello europeo siamo ancora a questo punto, sono abbastanza scettico nell'immaginare un futuro con una sensibilità sui problemi esposti che sia di livello planetario. Probabilmente la Terra, in questa corsa contro il tempo, riuscirà a scrollarsi di dosso ( e per sempre) la presenza dell'uomo proprio grazie alla stupidità dell'uomo stesso. | ||
Dino Ambrosio - 2015-04-02 Mi compiaccio con l' ampiezza di vedute e la profondità delle analisi critiche contenute in questo articolo. Mi sembra che l'analisi effettuata dal prof. Ladetto sia scientifica e assolutamente priva di contenuti ideologici precostituiti. Credo che il contenuto sia da apprezzare maggiormente proprio per questo motivo. Volerla strumentalizzare per dimostrare le proprie antiche concezioni ideologiche credo voglia dire non averne capito bene il senso. | ||
Giuseppe Davicino - 2015-04-01 Mi pare che quest'articolo evidenzi molto bene la necessità di più politica. I processi economici lasciati a se stessi generano forti squilibri: le misure che invoca Ladetto sono i presupposti che rendono possibile il mercato, perché in un contesto di alta esclusione dal lavoro e di forte disuguaglianza la dimensione del mercato si restringe. Serve un nuovo compromesso tra capitalismo e democrazia. | ||
Falcetta Riccardo Associazione Prospettive Comuni - 2015-04-01 Da quando i popolari mi diventano comunisti? bene! fa piacere vedere che l'evidenza dei fatti sta convincendo sempre più persone a "cambiare registro". Adelante! |