L'attuale guida del PD e del governo, come ha confermato il voto alla Camera sulle riforme costituzionali, intende procedere senza sentir ragioni, neanche quelle avanzate dall'interno del suo stesso partito. Ora che il patto del Nazareno non esiste più è evidente che è proprio alla segreteria del PD che piace la riduzione della democrazia: Senato non più elettivo, forzoso bipartitismo e avventuroso superamento dell'equilibrio fra i poteri legislativo ed esecutivo.
Ogni giorno che passa la posizione della minoranza PD rischia di esser politicamente sterile e ininfluente, nonostante la fondatezza delle ragioni di critica all'impianto del progetto di riforme e della legge elettorale. Le elezioni regionali si avvicinano e, soprattutto, cresce l'esigenza di dare una risposta, da un punto di vista delle culture riformatrici, allo spazio che si è prodotto nell'elettorato dalla brusca svolta neoconservatrice del PD con l'avvento di Renzi.
Occorre rompere gli indugi e pensare in grande e in concreto.
Di tutto c'è bisogno fuorché di un ennesimo partitino, nostalgico dei partiti della sinistra del Novecento. C'è bisogno invece di iniziare a costruire, dalla scissione del PD, ormai scontata, inevitabile e persino salutare per la democrazia italiana, un grande schieramento che a partire dalle migliori culture politiche riformatrici, laiche, cattoliche, progressiste, sia in grado di intercettare il disagio crescente prodotto dalla crisi e di dare risposte concrete e spendibili nell'attuale contesto economico e sociale. Risposte figlie di culture solidaristiche, ma comprensibili al grosso dell'elettorato. Questo è un dettaglio irrinunciabile se si vuole puntare al governo del Paese e se si vuole fare da argine al dilagare delle offerte politiche della destra più dura e radicale, tra le fasce sociali che maggiormente soffrono gli effetti della crisi.
Per un simile progetto servono idee nuove e coraggiose.
Le democrazie occidentali non potranno avere ancora molto futuro se in esse a comandare continueranno ad essere gli interessi dei grandi poteri finanziari internazionali. La riforma più importante da fare è quella di ridare alla politica la scelta delle priorità e non limitarsi, come avviene sempre più, a realizzare un'agenda dettata dalle grandi centrali della speculazione finanziaria e dalle nuove massonerie internazionali dedite al culto del dio denaro.
Tradotto in concreto ciò significa tornare a formulare delle domande sulla scelta dei grandi obiettivi in economia, sul versante istituzionale e della qualità della democrazia, dal punto di vista delle alleanze e delle strategie internazionali. Una di queste domande potrebbe essere chiedersi quanto potrà essere ancora sopportabile una economia fondata sul debito privato anziché sul lavoro: dei 150 miliardi che Draghi inietterà nelle banche italiane, quanti arriveranno all'economia reale? Perché lo Stato non esige che almeno una minima parte di questa valanga di liquidità vada direttamente all'economia reale? In assenza di ciò il quantitative easing sarà solo un palliativo utile a prolungare l'agonia di un sistema finanziario che sporge sul baratro di una leva finanziaria sui derivati superiore di una dozzina di volte il PIL mondiale.
C'è bisogno in questa fase di un grande schieramento riformatore che sappia dire a viso aperto che l'Occidente deve smetterla di destabilizzare gli Stati in Medio Oriente, flirtando con l'ISIS, e nell'Est europeo. Dobbiamo fermare quelle forze che, al di fuori dell'Europa continentale, lavorano freneticamente per innescare un nuovo immenso conflitto come risposta alla grande crisi economica e finanziaria. La risposta alla crisi è la giustizia sociale. Essere veramente riformatori oggi significa mettere la politica al servizio dei grandi ideali di giustizia, fraternità e pace; e sottrarla, per usare una espressione di papa Francesco, all'idolatria del denaro.
L'impegno per la costruzione di un schieramento riformatore, alternativo al renzismo, con cultura di governo e attrezzato a confrontarsi con la complessità, ma capace di alcuni messaggi chiari sui problemi del presente, in grado di arrivare al cuore dei cittadini, in particolare dei ceti medi e popolari che si stanno impoverendo, risulta preferibile al protrarsi di beghe interne al PD, che difficilmente potranno ancora suscitare grandi passioni civili. |