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Un “combinato disposto” plebiscitario
 
di Mario Chiavario
 

Un passo dopo l’altro, la riforma costituzionale va avanti; tra qualche giorno toccherà all’Italicum. E presso il grosso pubblico si dà l’impressione che tutto debba risolversi nelle ennesime scaramucce tra gruppi organizzati, con divisioni e ricomposizioni interne, vecchie e nuove alleanze, dichiarazioni di facciata e… capriole di vario genere. La più strabiliante, more solito, l’ha offerta Berlusconi, denunciando come autoritari i progetti in cui ha messo le mani fino a ieri e dimenticando sia le sue vecchie rampogne contro il fatto che il potere legislativo spettasse soprattutto al Parlamento e non al Governo, sia le sue teorizzazioni della preferibilità di nomine dall’alto. I “casi di coscienza” sembrano poi concentrarsi su problemi non trascurabili ma secondari, come quello di qualche punto in più o in meno nella proporzione tra “nominati” ed eletti con il voto di preferenza nella futura Camera dei deputati.
È passata sullo sfondo la questione delle scelte fondamentali di questo “combinato disposto” di riforme, cioè quella del fortissimo sbilanciamento che le due riforme, messe insieme, vengono a creare nel rapporto tra le esigenze (vere o supposte) della governabilità e quelle (autentiche) della rappresentanza. Il risultato potrà infatti essere, a ogni tornata elettorale, la consegna di poteri esorbitanti a una sola parte, ancorché minoritaria, del Paese: cospicuo premio di maggioranza a chi superi una certa soglia di voti (quale che sia il tasso di astensione) e – cosa ancor più grave – il ballottaggio ridotto a due soli contendenti se nessuno superasse quella soglia.
Ne verrà, per l’“asso pigliatutto” del momento, un quasi-monopolio legislativo. Mancherà infatti un reale contrappeso – anche per le decisioni da prendere congiuntamente – in quel “Senato delle autonomie” verosimilmente destinato a riprodurre (anzi, a moltiplicare) la compressione del peso delle opposizioni, sino a falsare la stessa logica di garanzia che dovrebbe presiedere alla necessità, in certi casi, di maggioranze qualificate (2/3, 3/5 …). Rischiando di toccare anche il delicatissimo terreno delle leggi costituzionali, dove massima dovrebbe essere la preoccupazione di postulare un consenso vastissimo.
Purtroppo, i sostenitori della riforma hanno buon gioco nell’addebitare a larga parte di coloro che l’avversano la responsabilità di aver mantenuto in vita (e anzi, via via peggiorato) un sistema largamente inefficiente, non avendo il coraggio – o la reale volontà – di fare ciò su cui tutti o quasi, a parole, erano da tempo d’accordo.
Da quanto tempo si sarebbe potuto abolire il bicameralismo paritario, stancamente vivacchiante con due Assemblee chiamate a fare le identiche cose, con oggettivo intralcio a una fattiva attività di governo? Da quanto tempo cioè si sarebbe potuto conferire a una sola Camera – eletta con un sistema volta a favorire maggioranze stabili ma senza gli obbrobri del Porcellum che rischiano di essere peggiorati dall’Italicum – il ruolo di depositaria della fiducia all’Esecutivo e con poteri esclusivi in campi come quelli della politica estera e della politica economica, a vantaggio dell’unitarietà di indirizzo politico per tutta la durata di una legislatura? Se lo si fosse fatto a suo tempo, probabilmente non dovremmo ora subire lo svuotamento sostanziale del Senato: in un simile contesto, lo si sarebbe potuto e dovuto (e si dovrebbe) rafforzare in un ruolo di garanzia. Risultato ottenibile con un meccanismo elettorale rigidamente proporzionale (salva una quota integrativa di nomina delle Regioni per le questioni di rapporto tra queste e lo Stato) e assegnandogli competenza prioritaria per tutte le leggi destinate ad incidere sui diritti e le libertà delle persone, oltreché voce determinante nella nomina degli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, giudici della Corte costituzionale di nomina parlamentare, membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura).
Miopie di vario genere hanno condotto all’inconcludenza, regalando facili argomenti ai fautori di un decisionismo nei cui confronti impallidisce il ricordo di quello craxiano. Si sono così alimentate le suggestioni di quella “democrazia plebiscitaria”, dove l’aggettivo rischia sempre di oscurare il sostantivo. E tra questi argomenti non dimentichiamo quello, di grande presa, della riduzione del numero dei parlamentari, non a caso sbandierato a sostegno dell’attuale riforma, seppur altrettanto facilmente neutralizzabile: bastava che si avesse il coraggio di dimezzare tempestivamente il numero dei deputati rispetto a quello esorbitante di 630 (che ci fanno tanti componenti in una Camera eletta con la logica “maggioritaria”?) lasciando inalterato (315) quello dei membri di un Senato direttamente eletto dal voto popolare: i conti totali sarebbero tornati esattamente uguali.
Di fatto ha probabilmente ragione il premier Renzi quando dice che il tempo della discussione all’interno delle forze politiche è scaduto; ormai contano soltanto le avvilenti alchimie della disciplina, delle ribellioni, delle defezioni e dei cambi di casacca di pochi o molti senatori, con uno spettacolo che in ogni caso non farà bene alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
In una società ideale, su queste cose si dovrebbe discutere e decidere a prescindere da quali schieramenti si prevede che siano in campo in future tornate elettorali. Sappiamo che ciò è utopistico. Forse mai come ora si è però assistito a confronti dove visibilmente conta solo o quasi l’interesse (reale o sperato) di parte. Se e quando la parola dovesse passare ai cittadini (se non altro per un referendum sulla riforma costituzionale) si vorrebbe sperare che si possa tornare a un impegno perché si arrivi a “regole del gioco” che possano favorire, o sfavorire, egualmente tutti e nessuno.


Giuseppe Ladetto - 2015-03-14
Giustamente Mario Chiavario denuncia che, dal combinato di riforme, emerge il fortissimo sbilanciamento tra le esigenze (vere o supposte) della governabilità e quelle (autentiche) della rappresentanza. In una democrazia rappresentativa, la rappresentatività delle assemblee elette è l’elemento centrale al cui livello di importanza non può essere posta la governabilità (sapere al termine dello scrutinio delle schede chi ha vinto e chi governerà). Quest’ultima va ricercata salvaguardando la prima. Guardando al panorama occidentale, c’è il modello elettorale tedesco che garantisce la governabilità nel rispetto della rappresentanza. Non è casuale che in Germania si rechi alle urne più del 70% degli aventi diritto al voto. In Italia, a destra come a sinistra, si preferisce cercare ispirazione in modelli di paesi dove la partecipazione al voto dei cittadini difetta alquanto, anche per le modalità elettorali in vigore.
Anonimo - 2015-03-12
Mario Chiavario, nel merito ha tutte le ragioni del mondo. Chi non vede come ogni soggetto istituzionale debba avere un bilanciamento? Qui invece è nella fretta di concludere le riforme che quei "particolari" non si considerano. Allora, che bel dilemma, lo lo fa capire anche Chiavario, abbiamo spazio per scegliere come comportarci? Siamo nella condizione di non potere rifiutare l'amara malattia del medico Renzi, ma di questa situazione cosa dice il malato (si fa per dire) Bersani e tutti i suoi tanti pari grado che hanno gestito gli ultimi anni della storia del Paese raccontandoci frottole; la parabola del Porcellum è stata appunto una gran frottola. Allora si da il caso che, si voglia o no, non esiste sul tappeto uno spazio di credibilità per trattare qualche modifica all'Italicum (e anche al nuovo Senato) con una classe che quella credibilità se l'è consumata sempre fingendo e mai realizzando. Possiamo dire che Renzi è un esagerato? Diciamolo. Ma chi ci garantisce che aprendo un tavolo coi Bersani, i D'Alema, le Bindi, come sfogliare un carciofo, non si sarebbe arrivati alla situazione ex ante?
giuseppecicoria - 2015-03-12
La deriva autoritaria è quasi compiuta e non c'è speranza alcuna di fermarla. I cosiddetti uomini di sinistra si sono dileguati ma alcuni di essi, però, "piangono e fot....no" come dicono a Napoli. Piangono ma intanto votano questa schifezza perchè sono d'accordo, anzi felici. D'altronde il filosofo Bobbio diceva che i "rossi e i neri sono la faccia della stessa medaglia". Il referendum andrà male perchè la macchina della menzogna si impadronirà dei mass-media anche essi impauriti ed appecoronati al nuovo uomo al comando. Sono triste e non potrò mai rassegnarmi di aver vissuto nel bene e nel male in un Paese democratico che, però, non vuole esse più tale perchè ciò serve per governare questo popolo strano che è quello italiano. Ci dicono anche un'altra fandonia colossale: l'Europa lo vuole. Forse hanno dimenticato cosa ha esportato in passato il fascismo? Mi sa proprio di no!