Guido Bodrato, presidente emerito dei Popolari piemontesi, ha sempre goduto di una sincera considerazione nel mondo politico e culturale italiano, anche dopo il ritiro dalla politica attiva. Ma anche lui ha subito gli effetti dell’accantonamento del pensiero cattolico democratico in questi ultimi anni di Seconda Repubblica: una brava persona dagli alti valori, non tuttavia adeguata ai tempi così vorticosi e assetati di nuovo. Un “pensionato” che dalla nicchia dell’Associazione Popolari fa ogni tanto sentire una voce destinata a dissolversi perché non amplificata dal sistema dell’informazione.
Poi l’elezione a sorpresa di Sergio Mattarella, un amico vero con cui ha condiviso un coerente percorso politico, lo ha prepotentemente proposto all’attenzione dei media. Anche questo, insieme alla notorietà degli altri relatori, è stato un ingrediente del successo del convegno su “Meno democrazia?” da noi organizzato con “Libertà e Giustizia”. A seguito dell’iniziativa, Bodrato è stato intervistato da Jacopo Iacoboni de “La Stampa”, e ha detto quello che pensa, da “libero e forte”.
«Quando c’è una tentazione di cesarismo, bisogna ricordare ai cesaristi che tutti i Cesari hanno sempre dietro di sé, prima o poi, l’ombra di Bruto. Se crei una condizione di sistema in cui l’unico modo per batterti è ucciderti (contro l’idea di Popper, che pensava che l’avversario potesse sempre rivincere la volta successiva, e non dovesse esser mai annientato), produrrai prima o poi una congiura e un pugnale». Guido Bodrato, ex ministro, un uomo formato con i Moro e gli Zaccagnini, fondatore dell’area Zac, vero amico di Mattarella e Martinazzoli, insomma, testimone della migliore DC, sta vivendo una seconda giovinezza. Fuori da tutto chissà perché, è infine riscoperto come una delle voci più libere e colte per com’è l’Italia oggi. Sabato era a Torino con Gustavo Zagrebelsky, a un dibattito su democrazia e Costituzione.
Cosa sta accadendo con questa riforma della Costituzione? Per Zagrebelsky siamo «quasi al grado zero della democrazia», lei è d’accordo?
«Zagrebelsky è condivisibile. Siamo di fronte a un declino della democrazia. Dinanzi a situazioni così gli esiti di solito sono due: o questo declino diverrà inarrestabile, o le tentazioni cesariste spingeranno prima o poi - magari non oggi, non domani, non dopodomani - a una congiura. Julien Benda, con la Wehrmacht che entrava a Parigi, scrisse un saggio bellissimo sulla crisi delle democrazie che si concludeva così: “La democrazia si nutre di passione, noi avremo ancora la passione per difendere la democrazia?”».
Renzi le pare un Cesare, anche nello stile di leadership?
«Io non conosco Renzi. Proviene in linea di massima dalla mia storia, ma la sinistra DC è una storia molto vasta. Renzi assomiglia più a un Fanfani che a un Moro, uno che già ai suoi tempi avvertiva sull’Italia come “democrazia difficile”. C’è in Renzi un elemento di volontarismo troppo evidente, preoccupante. Il rischio di questo personaggio, diciamola in breve, è la tentazione pericolosa del cesarismo».
Nel 2006 ci fu una rivolta, contro la riforma di Berlusconi e il modo in cui voleva plebiscitarla col referendum del 25 giugno. A Renzi si perdona di tutto, non trova?
«Vero. Anche se bisogna ricordare che la campagna al no alla riforma berlusconiana venne più da sindacati e associazionismo (penso alle parrocchie, quel che restava dell’Italia dossettiana) che dal centrosinistra politico. Che traccheggiò a lungo, era per un “ni” alla riforma; divenne un no quando si capì che Berlusconi usava il referendum come strumento per una rivincita contro Prodi, che lo aveva appena battuto».
Prodi e Ciampi però ricordarono una cosa che un tempo era ovvia: le riforme «si fanno a larghissima maggioranza». Prodi in una lettera all’Unità, e Ciampi in una famosa intervista a Giannini su Repubblica.
«Erano entrambi molto diversi dal centrosinistra attuale. Pensi a quello che ha detto Prodi oggi sui rischi del “combattiamo” in Libia...».
Che dice del referendum confermativo? Un argomento di Renzi e dei suoi amici è sempre: tanto ci sarà un referendum alla fine.
«Vede, il referendum è uno strumento per dare un’ultima possibilità di espressione alla volontà popolare, non è lo strumento per cercare un’unzione plebiscitaria. E ciò mi pare accadere, anche nella situazione mediatica italiana».
Il PD però potrebbe fare, oltre che dire, qualcosa, non trova? C’è un’area ampia del partito che queste cose che lei dice le pensa eccome.
«Quello che impressiona non è tanto Renzi – un personaggio così nella politica ci può stare – ma il fatto che nel suo partito si inginocchiano a ogni sua intenzione».
Bodrato, lei di Mattarella è amico davvero. Anche chi è di sinistra vede in lui un solido garante. Sarà così anche su questa materia?
«Credo, se posso prevedere, che il mio amico Sergio sarà una figura più rigorosa, e meno disponibile al compromesso, su una cosa come la Costituzione».
(da "La Stampa" del 16/02/2015) |