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Banche popolari, un passo indietro
 
di Rodolfo Buat
 

Il Consiglio dei Ministri dello scorso 20 gennaio ha adottato un decreto legge che impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni.
Il Governo sottolinea che l’obiettivo dell’intervento di riforma delle banche popolari è quello “di rafforzare il settore bancario e adeguarlo allo scenario europeo, innovato dall’unione bancaria. Con la distinzione in due fasce si preserva il ruolo delle banche con vocazione territoriale e al tempo stesso si adegua alle prassi ordinarie la governance degli istituti di credito popolari di maggiori dimensioni, che nella maggioranza sono anche società quotate in borsa. La finalità ultima dell’intervento è di garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti”.
Obiettivi importanti certamente, ma tali da richiedere questa pesante interferenza nell’autonoma determinazione dei patti sociali di soggetti privati?
Il provvedimento sostanzialmente implica la rimozione per le banche popolari più grandi (sembra che inizialmente fosse per tutte) del cosiddetto “voto capitario”, che prevede che ogni socio sia titolare di un singolo voto, indipendentemente dal numero di azioni possedute o rappresentate. Si tratta di una caratteristica tipica delle società cooperative e delle banche popolari, là dove nelle società per azioni i voti sono attribuiti in proporzione al numero di azioni possedute da ogni socio.
È un modello che si può discutere, ma non si può impedire che sia liberamente adottato. È ampiamente diffuso non solo in Italia e riflette intenti di cooperazione paritaria e di solidarismo.
Molto dura è stata la reazione contraria al provvedimento di Assopopolari, l’associazione che raggruppa le banche popolari: considera il provvedimento “ingiustificato” e “ingiustificabile” e annuncia iniziative affinché “l’ordinamento giuridico continui a consentire a tutte le banche popolari di mantenere la propria identità”.
“Avvenire” del 21 gennaio corso è intervenuto con un editoriale durissimo di Leonardo Becchetti sul tema. L’articolo inizia con un’affermazione inequivocabile: “Non è un bel giorno per la democrazia economica del nostro Paese”. E poi, evidenziata la forma inappropriata del decreto legge (non esiste alcuna necessità ed urgenza), spiega: “Una comunità raccoglie il proprio risparmio dandosi la regola di usarlo per servire soci, clienti e imprese del proprio territorio, utilizzando come modello di rappresentanza alle assemblee quella di una-persona-un-voto (e non di un voto in proporzione del capitale versato). La banca cresce e ha successo e, beninteso, compete sul territorio con banche organizzate come società per azioni, dove vige invece la regola del voto proporzionale alla quota di capitale”.
I cittadini hanno potuto scegliere fra un modello o l’altro in modo libero: “Adesso però è arrivato un arbitro (lo Stato) che ha deciso di togliere un giocatore dal campo di gioco”.
Sempre sul tema, molto ironico e amaro il commento sul quotidiano on-line “Huffington Post” di Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale Responsabilità Etica, della rete di Banca Etica. Scrive l’autore: “Separare le banche commerciali dalle banche di investimento? Le banche too big to fail, troppo grandi per fallire, che ricattano i governi e mettono a rischi i risparmi dei clienti? Non ci interessa. La tassa sulle transazioni finanziarie per frenare la speculazione e generare decine di miliardi di euro l'anno? Non è una priorità. Il sistema bancario ombra che si muove al di fuori di qualsiasi regola e controllo? Macché. Il problema è finalmente chiaro: è il voto capitario nelle banche popolari con attivi superiori agli 8 miliardi. Come avevamo fatto a non arrivarci prima?”.
Con riferimento alle ragioni dei sostenitori del provvedimento prosegue l’autore: “Non sembra che le banche Spa eroghino più credito, abbiano meno sofferenze o si comportino meglio di quelle popolari. Anzi, ci sembra che l'idea del voto capitario permetta di radicarsi in un territorio e di favorire la partecipazione, mentre la trasformazione forzosa in Spa potrebbe portare alcune banche ad avere una proprietà molto lontana, sia geograficamente sia per interessi. Magari capitali esteri interessati a raccogliere capitale e risparmio sul territorio per utilizzarlo altrove, anche in operazioni speculative, e in una ‘redistribuzione al contrario’ della ricchezza. Così come sembra che diversi studi mostrerebbero che le banche di maggiori dimensioni prestano la metà rispetto a quelle che promuovono un modello etico e alternativo”.
Le istituzioni dell’economia hanno le loro logiche e naturalmente non si vuole qui sposare un modello e soprattutto negare il ruolo delle società per azioni nello sviluppo del nostro modello economico e sociale. Per carità, non riscriviamo la storia.
Ma non sottovalutiamo l’invito di “Avvenire” a non recidere il rapporto virtuoso con i territori: “L’economia civile è forte, e alla lunga noi crediamo comunque vincerà, perché è il futuro e porta con sé desideri e ideali dei cittadini”.
Mi pare ci sia motivo di riflessione.
Intanto rileggiamo anche la Costituzione.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2). Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale (art. 18). L'iniziativa economica privata è libera (art. 41) e in particolare la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata (art. 45). La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla (e sembrerebbe non imporre) l'esercizio del credito (art. 47).
In taluni atti di Governo non stiamo facendo qualche passo indietro?


Angelo Meroni - 2015-02-12
Non conosco tutti i contenuti del provvedimento ma a grandi linee, lo ritengo giusto ed indispensabile, in particolare riguardo le popolari quotate. Per queste, il problema avrebbe dovuto essere affrontato al momento della quotazione. In pratica: o rinunciarvi o abolire il voto capitario. Ciò premesso faccio altri brevi considerazioni: - le banche in questione hanno da tempo perso quasi totalmente la caratteristica di "locali" e con le previste aggregazioni a perderla del tutto. - vorrei mi si spiegasse in concreto in cosa consiste significa il concetto "mutualità" riguardante queste banche. -conosco solo due tipologie di partecipazione dei soci: a) inquadramento attraverso sigle sindacali (nulla di non democratico, ma...), b) ristretta oligarchia locale (nulla di non-democratico, ma..) che esprime: Presidenza, Consiglio, ecc.. Il tutto attraverso un ben oliato sistema di raccolta presenze in assemblea + 1 o più deleghe, con l'aiuto di qualche organizzazione imprenditoriale locale e soprattutto attraverso la "fedele collaborazione" dei dipendente di livello medio/alto che in genere raggiungono il budget all'uopo loro assegnato. Per non parlare infine dei pullman che percorrono le valli per portare i devoti soci all'assemblea e successivo pranzo!! - colpa della crisi e di errori gestionali anche le popolari hanno urgentemente bisogno di capitalizzarsi ma ben difficilmente i piccoli soci sono ancora disponibili. Anche per questo il voto capitario non può reggere. Grazie della attenzione, Angelo Meroni - socio della Ass. Popolari della Prov. di Lecco.
marco verga - 2015-01-29
Condivido tutto l'articolo. Si tratta di un provvedimento inutile e dannoso. Ma nessun si è interrogato sulle vere motivazioni?
gian franco franchetto - 2015-01-28
E' una legge becera che rasenta il "ladrocinio" di un govern acchiappasoldi inciuciato con evasori fiscali e altri tipi di reati UNA COSA VERGOGNOSA che solo in Italia può esistere in una Nazione "SERIA" non esisterebbe Mi spiace molto