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PD partito della Nazione? Meglio la DC
 
di Aldo Novellini
 

Quasi ogni giorno il Presidente del Consiglio, di riffa o di raffa, finisce per gloriarsi del 40 per cento raggiunto dal PD alle europee e alle amministrative della primavera scorsa. Intendiamoci, si tratta di un gran bel risultato, che gli va ascritto (anche se non ne è certo l'unico artefice). Però in politica, come sempre nella vita, bisogna saper vincere, senza che il successo dia troppo alla testa.
Il nostro premier dovrebbe prendere esempio da De Gasperi che, dopo il 18 aprile 1948, con la DC forte della maggioranza assoluta, preferì puntare su una coalizione con le forze laiche e centriste, nel segno di un'ampia collaborazione democratica, evitando qualsiasi contrapposizione tra guelfi e ghibellini. Adesso invece ogni occasione è buona per creare polemiche, per attaccare a destra e a manca, non disdegnando addirittura di creare scompiglio nel proprio partito.
Eppure dovrebbe essere ben chiaro che, complice la crisi economica e il malaffare di larga parte della classe dirigente, sta crescendo nel Paese una disaffezione verso la politica mai vista prima d'ora, come ha mostrato il pauroso, e inedito, astensionismo nelle regionali emiliane. Un crollo della partecipazione al voto che rappresenta un serio problema di vitalità democratica, già messa a dura prova dal Porcellum e dalle liste bloccate che piacciono tanto alla nostra nomenklatura. Si continua a far finta di nulla, persino nel PD, unico partito degno di questo nome rimasto in piedi in Italia.
Forse sarà anche per questo, risultando la sola formazione ragionevolmente strutturata sul territorio nello spaventoso deserto della nostra politica, che da un po' di tempo nelle fila democratiche è invalso iniziare a parlare di “partito della Nazione”. Una suggestione che, in un sistema pluralista e multipartitico, ha però ben poco significato poiché la nazione è il tutto, ossia l'intera comunità nazionale, mentre il partito, per definizione è soltanto, e inevitabilmente, una parte dell'insieme.
Confondere una parte con il tutto è dunque fuorviante. Il rischio, oltretutto, è quello di imboccare una deriva nella quale per il soggetto che si ritiene “nazionale” gli altri, ovviamente quelli che dissentono o che si oppongono, diventano automaticamente gli “antinazionali” con una valenza negativa, da additare magari come ostacoli da abbattere a ogni costo. Qualcosa di totalmente incompatibile con la normale dialettica democratica. Vale peraltro la pena di ricordare che, nella storia italiana, un partito della nazione è già esistito, ha guidato il Paese per un ventennio e si chiamava PNF. Un esempio non certo da seguire.
Meglio invece rammentare che la DC, neppure nei suoi momenti di massimo fulgore (e il 40 per cento dei voti li mantenne per un almeno un quindicennio...) si incamminò lungo questo crinale.
Già che ci siamo, andrebbe anche ricordato che pur essendo una forza di ispirazione cristiana, la DC non parlava di sé come partito “dei cattolici” ma “di cattolici”. E tra queste due accezioni, che a prima vista paiono dire la stessa cosa, c'è, a ben vedere, una diversa concezione del partito politico e della stessa vita democratica. Da un lato, in quel “dei”, si scorge infatti la tentazione integralista di chi si crede unico interprete del cattolicesimo in politica, nel segno di un'appartenenza chiusa ad altre idee e a differenti culture. Dall'altra emerge invece una prospettiva di apertura nella quale il cattolicesimo è inteso come un'ispirazione collocata in uno spazio politico a cui anche altre culture possono accedere, apportandovi il proprio contributo.
Ecco, pur in un contesto molto diverso, il PD renziano pare muoversi all'opposto della logica inclusiva che fu della Democrazia cristiana. Troppe polemiche con il sindacato, troppi gli attacchi ai corpi intermedi, eccessiva l'idea che si possa decidere in solitudine senza curarsi delle diverse sensibilità esistenti nel partito.
Se davvero vuole avere l'ambizione di essere un grande partito, non solo alla luce di una pur notevole tornata elettorale, ma basandosi su un reale, saldo e duraturo consenso, il PD deve puntare su un'organizzazione plurale, capace di assorbire diverse matrici culturali. Partito non quindi della Nazione, ossimoro privo di senso, ma forza politica a chiara vocazione popolare, in grado di dialogare con tutti i segmenti della società, avendo poi come decisivo baricentro il mondo del lavoro. Perché, non va mai dimenticato, proprio lì nasce la storia del riformismo italiano.


Giuseppe Ladetto - 2015-01-14
Discorso ampiamente condivisibile anche se trovo un po’troppo crudele il confronto tra Renzi e De Gasperi, da cui il nostro baldo capo del governo esce polverizzato. Esiti analoghi darebbe il confronto fra quel mondo politico affermatosi nei primi anni del dopoguerra e quello attuale. L’abisso che li separa dipende tuttavia da molti fattori. Ieri, le elezioni davano vita ad un Parlamento rappresentativo (grazie al proporzionale) delle varie componenti politiche, sociali e culturali del paese. Le persone elette portavano in Parlamento le istanze di chi li aveva votati e nel Parlamento si costruivano dialetticamente, anche in duri confronti, le linee guida del paese. Oggi (con i vari sistemi elettorali escogitati), alle elezioni ci si presenta per vincere, per avere un voto in più degli avversari ed impadronirsi delle istituzioni, e non sembra interessare a nessuno il fatto che la gente non vada più a votare. Se ci guardiamo attorno, vediamo più o meno le stesse cose in casa altrui. In tutto l’Occidente, l’astensionismo elettorale è in crescita (ricordo sempre che alle elezioni per il sindaco di New York ha partecipato il 24% degli aventi diritto al voto); ovunque trionfa il leaderismo, mentre il confronto elettorale fra personaggi costruiti da spin doctors sembra una campagna pubblicitaria per marche di detersivi. Ovviamente Renzi si allinea: bisogna essere in sintonia con il tempo in cui viviamo. Pare essere sempre stato così. Infatti, Giacomo Leopardi annotava nello Zibaldone in data 23 Dicembre 1820: “In ciascun luogo e in ciascun tempo bisogna spendere la moneta corrente. Chi non è provveduto di questa, è povero, per molto ch’egli sia ricco d’altra moneta”.
maurizio perinetti - 2015-01-14
Sì, mi sembra una fotografia corretta di cosa sta diventando oggi il PD. La preoccupazione più grossa è che, almeno a livello locale, i così detti "renziani" sono di gran lunga peggiori del leader Renzi. Soprattutto nel voler "occupare" il partito e di conseguenza anche tutte le poltrone possibili nelle istituzioni. Resta però il fatto che oggi il PD è l'unico vero partito presente nel nostro Paese. E quindi con questa realtà dobbiamo fare i conti: bisogna essere presenti dentro e cercare di contrastare la brutta deriva che correttamente Novellini ha rappresentato.
Andrea Griseri - 2015-01-13
In questo momento io vorrei tornare a impegnarmi direttamente in politica ma il PD mi appare inospitale, vagamente ipocrita e minaccioso .Meglio il lavoro culturale o il coinvolgimento attivo nei corpi intermedi. Triste che molti siano costretti a provare tali sentimenti quasi di repulsione e paura verso la militanza attiva: in un momento in cui vi sarebbe un enorme bisogno di politica. Un'osservazione: cominciamo a ridare senso alle parole. La parola riformismo allude all'allargamento dei diritti sociali alla partecipazione alla costruzione di una società più giusta; non lo si usi in riferimento alla "riforma" delle pensioni o del lavoro.
Luchino Antonella - 2015-01-13
Purtroppo l'attuale Premier non ha la capacita' e l'umilta' di De Gasperi; in compenso ha un alto tasso di arroganza e di autoincenso. Quello che mi stupisce e' che anche il PD continui a fare finta di nulla. Domanda: stiamo andando lentamente verso una deriva dittatoriale/fascista? Qualcuno puo' rispondere? Grazie.
giorgio merlo - 2015-01-12
Un'ottima riflessione. Politica e cutlurale. A volte c'è bisogno di ricordare i postulati essenziali e decisivi che devono e possono caratterizzare ancora la presenza politica dei cattolici democratici nel nostro paese.