Ho seguito un documentario di Rai Storia sul libro “Cuore” di Edmondo De Amicis, in cui si raccontava come il popolo e la nazione italiana siano cresciuti nell’800 risorgimentale intorno a questo libro, al Pinocchio di Carlo Collodi e a figure come Mazzini e Garibaldi. Concetti come “nazione”, “patria”, “popolo”, che di lì a pochi decenni sarebbero stati il detonatore per i
nazionalismi e i due conflitti mondiali che contrapposero le nazioni e fecero pagare all’umanità un grave tributo di sangue, nell’800 permisero a Paesi come l’Italia di unificarsi e costruire un progetto collettivo basato sulla solidarietà – di popolo, appunto – e sul progresso.
Pochi anni fa il Presidente Carlo Azeglio Ciampi ha richiamato gli Italiani ai valori risorgimentali,
destando inizialmente qualche sorrisetto malizioso da parte di chi ritiene quell’epoca troppo intrisa di retorica e buoni sentimenti romantici, ma convincendo nel corso del suo mandato della bontà di questa proposta.
Riconoscersi come nazione, accomunata da valori, lingua e storia, permette di rafforzare i legami interni alla comunità nazionale, senza escludere una cultura di fratellanza universale e di dialogo con gli altri popoli. Giuseppe Mazzini in questo fu un maestro e un riferimento anche per l’oggi. Egli infatti considerava la costruzione della “Patria” un primo obiettivo a cui seguiva il secondo obiettivo dell’“Umanità” intera. La patria era nel suo pensiero lo strumento necessario al popolo per potersi realizzare. L'Umanità si sarebbe realizzata successivamente, nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea, non ispirata a una gara di nazionalismi ma a una libera collaborazione tra i popoli.
Coltivare l’amore per la propria nazione e la propria identità non equivale a favorire le tristi derive nazionalistiche che si stanno invece ripresentando in numerosi Paesi europei, e non solo. Pensiamo al Front National francese, all’UKIP britannico, al Fidesz di Viktor Orban in Ungheria, al partito dell’estrema destra svedese, ad Alba Dorata in Grecia e per certi versi alla nuova Lega Nord di Matteo Salvini. Sono tutti movimenti e partiti politici che stravolgono il concetto di nazione e di popolo per interpretarlo in contrapposizione con gli altri popoli. La solidarietà nazionale, i legami più sacri della comunità, sono distorti in modo negativo, esasperando gli istinti egoistici e localistici, l’avversione per il diverso e lo straniero, che sono percepiti come usurpatori di una posizione storicamente legittima.
Il fiorire di questo fenomeno in ogni angolo d’Europa, è forse dovuto solo alle difficoltà economiche del tempo presente che rendono tutti più attenti a salvaguardare il proprio piccolo giardino, acuendo la paura verso l’altro?
O c’è anche una responsabilità politica dell’Europa che ha tradito il progetto originario di associare i popoli europei, costruendo un’identità comune, che andasse ben oltre l’Euro, l’Erasmus, i Fondi Strutturali, la PAC e i controlli di bilancio?
Personalmente propendo per l’interpretazione più politica. Non è un caso che la percezione del cittadino medio verso l’Europa sia molto fredda e sentimentalmente arida. Non c’è stato negli ultimi dieci anni il tanto richiesto potenziamento dei processi democratici, per sanare il famoso “deficit democratico europeo”, e oggi ne paghiamo le conseguenze. I partiti nazional‐populisti ed euro‐scettici fanno il pieno di voti, anche con messaggi esplicitamente xenofobi. Aiutati poi tantissimo da tragedie come la strage di Parigi.
Come scrive Alberto Martinelli per ISPI, “la prolungata crisi economica, l’entità del debito pubblico, la disoccupazione elevata e le ridotte aspettative di sviluppo dell’intera Unione sono la causa prima della crescita dell’estremismo euroscettico, alimentano un clima di insicurezza e paura, offrono un terreno favorevole alla demagogia e all’estremismo che promettono protezione
all’interno di anacronistiche frontiere nazionali. Ma l’antieuropeismo è anche il sintomo del carattere squilibrato della democrazia sovranazionale europea, in cui il metodo intergovernativo prevale nettamente rispetto al metodo comunitario, il potere del Consiglio europeo e delle élites tecnocratiche è sproporzionato rispetto a quelli del Parlamento e della Commissione.”
L’Europa dovrebbe fare memoria della propria storia: proprio 100 anni fa i nazionalismi ci portarono ai regimi autoritari e al primo conflitto mondiale.
Per evitare di ripetere gli stessi errori, la risposta non può che essere politica, di una politica forte, capace di chiedere anche dei sacrifici ai propri cittadini, ma solo in nome della propria credibilità e coerenza.
In questi primi giorni del nuovo anno chiediamoci tutti, se siamo personalmente disponibili a fare famiglia con il resto dell’umanità, a far diventare nostro il problema dell’altro. A trovare soluzioni per la disumanità dei flussi migratori fuori controllo, per i popoli affamati da una globalizzazione in cui vince il più spregiudicato, per i popoli caduti nelle maglie del fondamentalismo, in Medio Oriente come nell’Africa sub sahariana. Solo se come Italiani ci interesseremo anche di questi problemi, potremo considerare civile la nostra nazione.
Può aiutarci riprendere le parole di Helder Camara:
“Qualunque sia la tua situazione di vita (…) non lasciarti imprigionare dall’angusta cerchia della tua piccola famiglia. Una volta per tutte adotta la famiglia umana.
Bada a non sentirti estraneo in nessuna parte del mondo.
Sii un uomo in mezzo agli altri.
Nessun problema, di qualsiasi popolo, ti sia indifferente.
Vibra con le gioie e le speranze di ogni gruppo umano.
Fa’ tue le sofferenze e le umiliazioni dei tuoi fratelli nell’umanità.” |