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Bisogna riscoprire la coesione sociale
 
di Giorgio Merlo
 

Il recente voto in Emilia Romagna e in Calabria ha confermato un dato che era ampiamente previsto alla vigilia: un massiccio astensionismo ha condizionato pesantemente l’esito del voto in quelle due Regioni. Un astensionismo che oggettivamente indebolisce la “qualità” della democrazia e riduce la partecipazione popolare a un fatto secondario della stessa battaglia politica.
Un dato su cui riflettere, che non può essere considerato normale, limitandosi ad analizzare la sola “vittoria” di qualcuno o la sola “sconfitta” di qualcun altro.
Al di là di questo fatto, peraltro grave e che rischia di avere conseguenze nel nostro già fragile sistema politico, c’è un obiettivo che adesso richiede di essere perseguito sino in fondo. Tutti conosciamo i dati che quotidianamente ci vengono sfornati e la condizione di estrema fragilità di moltissimi settori sociali. È perciò indispensabile garantire e perseguire la cosiddetta “coesione sociale” nel nostro Paese. Una coesione che si rende necessaria a fronte di una situazione sempre più disastrata e critica della nostra economia. Lo stesso Presidente del Consiglio lo ripete, seppur con parole diverse, da qualche tempo. E le stesse organizzazioni sindacali – a prescindere dalle varie sigle – sono pienamente convinte che senza una rinnovata “coesione sociale” è lo stesso tessuto democratico del Paese a correre gravi rischi.
Certo, questo è un obiettivo che richiede rispetto reciproco tra la politica – e chi governa – e le parti sociali. Un obiettivo che non si traduce in un consociativismo generico ma che, tuttavia, non può tollerare un conflitto permanente e fortemente divisivo. Le immagini che tutti i giorni vediamo nelle varie piazze italiane non possono diventare la regola nel nostro Paese. Soprattutto in una fase recessiva come questa. Nessuno, credo, pensa di eliminare il conflitto e di ridurre il tutto ad un generico “volemose bene”, dando vita ad un consociativismo del tutto anacronistico. Ma è pur vero che adesso va messa in campo una strategia che riduca lo strappo e che ricrei le condizioni per un confronto civile e costruttivo tra le parti sociali e la politica nelle sue varie articolazioni. E questo non solo per le condizioni legate al mondo del lavoro e produttivo ma anche, e soprattutto, per evitare che le ragioni del conflitto sociale si saldino con una pericolosa e inquietante indifferenza al voto, alle istituzioni e alla democrazia nel suo complesso.
Probabilmente si apre una nuova fase nella vita politica italiana. Ma è giunto anche il momento di riscoprire sino in fondo il valore della “coesione sociale”, elemento capace di ridare fiducia alle istituzioni e credibilità alla stessa democrazia.