Ricordo che, sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso, nel periodo di massima espansione della società industriale in Italia, uno dei problemi che si ponevano gli esperti era quello di come riuscire a conciliare l’impetuoso progresso tecnico con una struttura dell’occupazione che fosse in grado di reggere il confronto. Si notava come, durante l’evoluzione tecnologica, il tempo intercorso tra la scoperta ed il suo sfruttamento commerciale tendesse a ridursi drasticamente: fino a sfiorare lo zero. Infatti, mentre per la fotografia erano occorsi 112 anni, per il telefono “soltanto” 56, per la radio 35, per il radar 15, per la TV 12, per l’energia atomica 6, per il transistor 5.
Tutto questo poneva già allora dei seri problemi di adeguamento tra domanda e offerta di lavoro: mentre dalla parte della domanda erano richiesti al lavoratore un livello culturale e una preparazione progressivamente superiori, dalla parte dell’offerta i tempi di preparazione, di formazione e di adeguamento dei lavoratori diventavano quasi zero. Per sopperire a questo problema si riteneva che, nell’offerta di lavoro, potessero trarre vantaggio soltanto quei lavoratori in possesso di una notevole cultura di base a livello generale. Tale da comportare maggiori possibilità di adeguamento a lavori anche differenti. Sempre maggiore importanza assumevano la scuola in generale e la formazione professionale di tipo specialistico: che avrebbero dovuto acquistare un maggior dinamismo e uno spettro di studi più ampio e diversificato, per consentire al lavoratore anche il reinserimento nel ciclo produttivo attraverso la riqualificazione. “Quale studio per quale lavoro” non diventava più la domanda che ogni studente doveva porsi per completare il suo ciclo di studi, ma la scelta degli studi doveva basarsi sulla previsione dell’evoluzione del mondo del lavoro ottenibile soltanto attraverso uno stretto collegamento tra scuola e impresa.
Collegamento che è stato e rimane molto carente ancora oggi.
Le principali ragioni di queste carenze derivano dalla eccessiva burocratizzazione, da irrigidimenti ideologici, ma, soprattutto dalla difesa di privilegi di casta da parte delle baronie (universitarie e non) refrattarie a qualunque cambiamento nel mondo della Scuola.
Il problema quindi è insoluto ancora oggi: come ottenere in tempo reale una preparazione rispondente alle nuove figure professionali richieste dal mercato del lavoro? Come dare una preparazione, anche di ordine morale, che consenta di affrontare nel corso della vita l’alternanza tra periodi di lavoro e periodi di non lavoro (durante i quali occorre studiare per riqualificarsi)?
(3. Continua) |