Sembra che oltre 2,3 milioni di spettatori abbiano assistito il 19 ottobre scorso alla performance del Presidente del Consiglio Matteo Renzi ospite di Barbara D’Urso su Canale 5 nella trasmissione Domenica Live. Chi ha visto il programma racconta di un tono informale e molto colloquiale al limite della confidenzialità.
È un evento che suscita due ordini di considerazioni.
Premetto che, nonostante il profondo modificarsi del linguaggio della politica, non sono abituato a queste forme di comunicazione. Può darsi che le nuove generazioni siano più sensibili a cogliere i segni dei tempi e che in definitiva la costruzione della leadership si leghi anche a una esposizione mediatica più assidua.
Certo negli ultimi anni abbiamo assistito a un cambiamento nell’idea stessa del potere. Nel passato il potere politico veniva trattato con delicatezza, con una certa formalità e addirittura ritualità. C’era la consapevolezza forse delle insidie che vi si nascondono e della tentazione sempre presente ad abusarne. Il linguaggio della politica tendeva – talvolta forse in modo ipocrita – a limitare quel potere, perché in definitiva dal limite posto al potere politico traeva forza la libertà della persona umana.
D’altra parte la stessa complessità delle società moderne, la conflittualità degli interessi in gioco, le tensioni generate dal cambiamento sociale richiedevano un sforzo costante di confronto e mediazione per la costruzione del consenso. La politica, quindi, cercava e costruiva luoghi in cui la mediazione fosse possibile e si dava strumenti – come anche sono state le ideologie – che agevolassero il compito.
Si è anche detto a un certo punto “tutto è politica”. Forse un po’ troppo! Ma certamente in molti all’idea della politica si associava l’idea del destino, individuale e collettivo. In questa idea vi era forse anche qualcosa che potremmo definire come “il sacro della politica”. Qualcosa che non c’è più e che lascia la politica e il potere per così dire secolarizzati o desacralizzati.
Ciò che rimane, soprattutto nei confini degli Stati nazionali, accanto alla sensazione dell’impotenza della politica nel governare la crisi, è un’idea del potere per così dire funzionale a uno scopo immediato e concreto, a un interesse individuale e immanente. La politica si è svincolata dall’idea di società, ormai trasformata nella somma di tante individualità (ahimè precarie). Il linguaggio della politica è diventato per un verso molto tecnocratico, legato a numeri e sillogismi. Per un altro verso è diventato molto intuitivo, al limite della volgarità e spesso anche oltre. In un caso e nell’altro lo scopo è più la persuasione – talvolta la manipolazione – che la convinzione e a tal fine si parla a tutti e non più a ciascuno. Certamente con qualche pericolo per la democrazia.
Con tutto ciò rimane il fatto – a mio parere - che i temi proposti da Renzi nel corso della trasmissione e rilanciati dalla stampa siano estremamente importanti, nonostante possano apparire quasi in controtendenza.
Sembra quasi che il Presidente del Consiglio abbia scelto un canale molto “popolare” per suggerire obiettivi “impopolari”.
In effetti è molto apprezzata e diffusa l’idea (egoistica) che la crescita zero sia utile a risolvere i problemi di convivenza e di distribuzione delle risorse. Ma così non è. Il calo demografico semmai crea nuovi problemi di convivenza non facilmente risolvibili. Viceversa vi è una stretta relazione fra sviluppo economico e crescita demografica. Semmai dovremmo interrogarci su quale sviluppo economico sia oggi compatibile con le risorse della terra e su quali politiche redistributive possano aiutare a sconfiggere le povertà del pianeta.
In tal senso la promozione della maternità/paternità e la maggiore apertura sui temi dell’immigrazione vanno nella stessa direzione, che è quella dell’inversione del pericoloso trend demografico del nostro Paese.
Sappiamo che annunciare un progetto non vuol dire averlo realizzato. Sappiamo anche che modesti sostegni economici non necessariamente spostano orientamenti fortemente radicati. E tuttavia provocare il grande pubblico su temi delicati che investono il futuro delle nostre società e delle nostre economie mi pare già un buon risultato nel clima sonnacchioso e depresso che ci circonda.
Ma una particolare evidenza va dato al tema del riconoscimento della nazionalità italiana.
Come è noto, vige da noi il principio dello ius sanguinis (salvo una moderata recente apertura in taluni casi) e cioè il riconoscimento della nazionalità italiana solo ai figli di genitori italiani. Altrove, vige il cosiddetto ius soli, e cioè il riconoscimento della nazionalità a coloro che sono nati in un determinato territorio anche se da genitori di altre nazionalità. Senza l’affermazione di tale diritto, lo ius soli appunto, non esisterebbero oggi Paesi come gli Stati Uniti o il Canada e la modernità non sarebbe mai decollata. Ma lo ius soli si ritrova anche in Europa in quei Paesi, come il Regno Unito e la Francia, da cui traggono origine i principi di libertà e di democrazia che ci sono così cari.
In attesa di una vera riforma dell’attuale antiquato impianto normativo, sono particolarmente utili le dichiarazioni del Presidente del Consiglio che si affiancano all’iniziativa di molti Comuni di conferire la la cittadinanza onoraria a bambini e ragazzi nati in Italia e figli di immigrati.
Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha mostrato apprezzamento nel passato per il tema, ricordando come le seconde generazioni degli immigrati sono parte integrante della nostra società e va raccolto il disagio di tutti quei giovani che, nati o cresciuti nel nostro Paese, rimangono troppo a lungo legalmente “stranieri”, nonostante siano, e si sentano, italiani nella loro vita quotidiana.
Ritengo la soluzione del problema delle seconde generazioni uno spartiacque storico e morale. L’affermazione dello ius soli è una condizione per abbattere le barriere mentali e sociali che rendono la nostra società ancora strutturalmente feudale, irrigidita dal prevalere di logiche familistiche e corporative.
La presenza di Renzi al programma della D’Urso è stata in effetti una via breve per avvicinare a questi temi l’opinione pubblica e dare con ciò contenuti alla politica. E forse, proseguendo sulla strada dei contenuti e dei progetti, anche le forme e il linguaggio della politica potranno nel tempo recuperare una misura più adeguata. |