Dopo il voto di domenica scorsa molti commentatori hanno iniziato a porsi una domanda: il PD di oggi è destinato a diventare la nuova DC di ieri?
Certo, i distinguo sono tantissimi ed è sostanzialmente inutile paragonare le esperienza politiche del passato con quelle di oggi. Eppure, qualche elemento di coincidenza persiste.
Ci sono almeno tre elementi che stimolano la riflessione. Seppur con la necessaria premessa che resta curioso il solo fatto di paragonare il PD – che resta nella vulgata popolare il prolungamento dell’esperienza e della storia della sinistra italiana – con la storia e il ruolo della Democrazia Cristiana. Ma tant’è.
In primo luogo la dimensione del consenso. Quando un partito, in Italia, supera il 40 per cento dei consensi il riferimento corre subito alla DC di De Gasperi. Certo, tutti i sondaggisti – ancora una volta, ma questa volta in modo macroscopico – sono stati clamorosamente sbugiardati. Quando un partito, seppur con un calo dei partecipanti al voto, raggiunge quei risultati, significa che rappresenta un elemento di forte “stabilità” politica per l’intero Paese. Ci possono essere molti elementi endogeni – paura dell’avanzata di Grillo, perdita di credibilità di Berlusconi, carenza di offerta al centro dello schieramento – ma è indubbio che un partito del 40 per cento merita una riflessione a parte. E proprio quel risultato non può essere facilmente spiegabile come un “successo momentaneo” ma può diventare, piaccia o non piaccia, un elemento strutturale della politica italiana.
In secondo luogo il “profilo” di questo partito. È indubbio che il PD, oggi, assomiglia sempre più a quel partito popolare, interclassista e moderno capace di rappresentare larga parte dell’elettorato italiano. Certo, persiste una differenza di fondo. La DC rappresentava pezzi di società autentica ma distribuiti quasi sull’intero arco costituzionale. Come è apparso evidente nel momento in cui quel partito è deflagrato nel 1994. Tutti ricordano bene che i cosiddetti “democristiani” si sono accasati in molte formazioni politiche che sono nate all’indomani del decollo della cosiddetta Seconda Repubblica. Il PD, al contrario, resta comunque saldamente nell’alveo della democrazia dell’alternanza e ha una rappresentanza sociale e politica che si caratterizza molto sul fronte del centrosinistra. Anche se, come ci dimostreranno probabilmente i flussi della recente consultazione elettorale, il PD ha ottenuto consensi anche da molti delusi riconducibili all’area di centrodestra. Ma il PD – e qui sta la differenza di fondo – continua a sostenere la tesi che la sua area di riferimento sono la sinistra e il centrosinistra e non il “centro che guarda a sinistra” di degasperiana memoria.
Infine la politica del Partito Democratico. È inutile aggirare l’ostacolo. È su questo fronte che il confronto tra il PD e la DC regge o naufraga. Io resto dell’opinione che è estremamente difficile, nonché singolare, tracciare parallelismi tra stagioni storiche profondamente diverse tra di loro. E la controprova è nel fatto che quando si rappresenta un elettorato vasto, articolato e “nazionale”, le stesse politiche sono destinate a essere profondamente diverse da quando un partito vanta di essere il cardine di una democrazia dell’alternanza. E su questo versante la differenza politica c’è ed è profonda. È inutile tergiversare. La DC non è più replicabile e il PD non può assurgere a un ruolo che politicamente e culturalmente non gli compete. Un conto è definirsi partito “nazionale”. E questo sicuramente accomuna la DC di ieri e il PD di oggi. Altra cosa, invece, è declinare politiche e fare scelte programmatiche che accontentano tutti in virtù di un più facile raggiungimento del consenso.
Ecco perché, al di là di tante analisi e sofismi intellettuali, saranno solo le scelte politiche concrete a dirci quale sarà il futuro stesso di un grande partito nazionale, popolare e interclassista com’è il PD. I confronti con il passato si possono sempre fare solo attraverso le lenti della politica. I numeri sono importanti ma da soli non bastano mai. |