Rilanciamo l’intervento che il professor Chiavario ha pubblicato su “Il Nostro Tempo”, proponendo un Senato non più titolare della fiducia al governo ma che rappresenta il corpo elettorale grazie all’elezione dei suoi membri con il sistema proporzionale, e che riassume tutti i compiti di garanzia e controllo, compresa l’elezione del Presidente della Repubblica. Una proposta di grande interesse, che anticipa di poco un analogo disegno di legge presentato da Vannino Chiti e altri senatori PD.
Nel progetto Renzi che va sotto il nome di “abolizione del Senato” convincono pienamente due dei “paletti” indicati dal premier. Mi riferisco alla proposta di attribuire alla sola Camera dei deputati il potere di dare o negare la fiducia al Governo, e a quella di riservare ad essa il voto sulla legge di bilancio. Più in generale: una sola Assemblea parlamentare è più che sufficiente per instaurare per cinque anni una sana dialettica con l’Esecutivo per tutto quanto concerne la guida politica del Paese secondo il programma di chi ha vinto le elezioni, anche nei suoi eventuali sviluppi creati dalle contingenze. Né si dovrebbe gridare allo scandalo se un’assemblea dotata di competenze del genere venisse eletta con un sistema (uninominale a doppio turno oppure proporzionale con un non eccessivo premio di maggioranza) che miri a favorire certezza e stabilità governativa pur senza annullare opposizioni e pluralismo.
Meno sicuro è che quel progetto, così come risulta formulato, sia la via migliore o addirittura la strada obbligata per raggiungere altri due obiettivi, cui il cittadino comune tiene molto: quello del risparmio di spesa per un personale politico oggi indiscutibilmente sovrabbondante, e quello della riduzione di inutili lungaggini nel procedimento di formazione delle leggi. Lo si può fare in altri modi, senza ridurre il Senato (o come lo si voglia chiamare) a poco più di una cassa di risonanza del potere locale.
Proprio il ruolo che si vuole attribuire alla Camera dei deputati e il peso che perciò nella sua composizione avrebbe la “correzione” maggioritaria della rappresentanza dovrebbero infatti farne la sede in cui incidere più drasticamente, e senza problemi, sul numero dei componenti: 200 o 250 membri parrebbero più che sufficienti per assicurare un corretto rapporto tra area governativa e aree di opposizione. E così si sfoltirebbe anche il numero dei semplici “yes-men”. Il risparmio di indennità su cui tanto si insiste sarebbe di per sé assicurato e non ci sarebbe bisogno di cercarlo abolendo o snaturando il Senato. Questa seconda Camera potrebbe e dovrebbe dunque mantenere un ruolo di rappresentatività effettiva di tutta la popolazione, attraverso un’elezione diretta (magari, per rimanere nella logica del risparmio, in contemporanea con quella per il rinnovo dei Consigli regionali) e su base rigorosamente proporzionale. Anch’essa, certo, potrebbe veder ridotti congruamente i suoi membri permanenti (non più di 200?), aggiungendosi, ma soltanto per le sedute dedicate a questioni coinvolgenti le relazioni tra lo Stato e le realtà territoriali, una quota di esponenti delle Regioni e delle Città metropolitane, più o meno nel numero previsto da Renzi.
Un Senato pienamente rappresentativo di tutte le visioni culturali e politiche sarebbe allora l’organo cui riservare compiti effettivi di garanzia e di controllo: solo ad esso dovrebbe spettare la nomina del Presidente della Repubblica, nonché dei giudici della Corte costituzionale (e dei componenti del Consiglio superiore della magistratura) di nomina parlamentare. A questo Senato si potrebbe tranquillamente togliere la partecipazione all’attività legislativa di routine (per la quale, certo, occorre eliminare gli estenuanti ping-pong del “bicameralismo paritario” che oggi impone il doppio voto persino sulle leggi di regolamentazione della cattura dei molluschi …) ma esso dovrebbe invece avere la parola decisiva, oltre che sulle modifiche alla Costituzione, su tutte le leggi che incidano su beni e valori non contingenti (vita, libertà personale e altri diritti fondamentali). Ciò, per evitare che il sacrificio di rappresentatività, accettabile per l’altra Camera a tutela della governabilità, si trasformi in fonte di pericolose prevaricazioni del vincitore del momento e snaturi persino quelle regole costituzionali che, per determinate votazioni, impongono delle maggioranze qualificate (due terzi dell’Assemblea o altro).
Insomma, la governabilità, e il bipolarismo che si vuole funzionale ad essa, non devono diventare feticci onnivori. Il mantenimento, per l’elezione di una delle due Camere, di un principio di rigorosa proporzionalità, e l’attribuzione ad essa di competenze di alto profilo, è essenziale se si vuole mantenere un giusto equilibrio al sistema istituzionale complessivo e in definitiva a una reale democrazia. |