Approvata la legge elettorale alla Camera, ora deve essere profondamente modificata ed emendata al Senato. Deve essere modificata non per un capriccio di qualcuno o di qualche forza politica ma perché è indispensabile per rispettare sino in fondo i principi democratici.
Sono almeno tre i versanti attorno ai quali è necessario intervenire.
Innanzitutto la scelta dei futuri parlamentari. Ma come può essere tollerata una legge elettorale che ripropone, per l’ennesima volta, le liste bloccate? Ma cosa significa che se le liste bloccate sono “corte” vanno bene mentre quelle “lunghe” danno il potere della scelta esclusivamente alle segreterie di partito? Ma c’è ancora qualcuno in Italia che pensa che le primarie, oltretutto non disciplinate per legge ma affidate alla discrezionalità dei partiti, risolvono un problema che, al contrario, deve essere affrontato e sciolto solo dai cittadini elettori? Saranno mica le primarie farlocche del PD a sciogliere il nodo delle liste bloccate, corte o lunghe che siano. Insomma, la correzione deve essere netta. Se, al contrario, il Senato dovesse confermare il risultato della Camera, dovremmo chiamare per nome la futura legge elettorale: continuando ad usare l’appellativo di “porcellum”.
In secondo luogo le cosiddette “soglie di sbarramento”. Ma come è pensabile che un sistema elettorale penalizzi un partito che decide di non aderire a nessuna coalizione esistente e che non raggiunge l’8 per cento dei consensi per un soffio? Significa sostenere la singolare tesi che un partito che raccoglie il 7,9 per cento dei consensi tra gli italiani – cioè qualche milione di voti – è tagliato fuori dal Parlamento. È democrazia questa? E, ancora, come si può sostenere la tesi altrettanto singolare che un partito che non raccoglie il 4,5 per cento dei consensi e fa parte di una coalizione non ha diritto ad un solo seggio ma contribuisce al premio di maggioranza della suddetta coalizione? È democrazia questa? Insomma, l’accordo di ferro tra Renzi e Berlusconi sarà pure importante ma i principi basilari della democrazia rappresentativa vanno pur sempre rispettati. Soprattutto quando si parla di voto degli elettori.
In ultimo sulla parità di genere. È un tema certamente delicato che non va banalizzato. Ma è un tema che non può essere affrontato a colpi di “quote” e di “corsie preferenziali”. Se il tutto si riduce alla quota, dobbiamo prendere atto che il merito, il radicamento, la competenza ecc. sono elementi che diventano progressivamente irrilevanti nella selezione delle candidature. Evitiamo che questa battaglia diventi solo una semplice schermaglia per beghe interne di partito – in particolare nel PD – o per consolidare la tesi, sempre più diffusa, che anche nel genere femminile prevale ormai un istinto al consolidamento della logica della “casta”.
Insomma, la legge elettorale va certamente fatta. Ma non una legge purchessia: che sappia coniugare realmente governabilità, rappresentatività e rispetto dei cittadini elettori. |