Oreste M. calliano - 2014-03-10 Mi pare che il dibattito tra i cattolici "reduci" da esperienze insoddisfacenti sia sul piano culturale che politico (DS, asinello, ulivo, PD) in quanto figlie del bipolarismo "forzato" imposto dagli innamorati del bipartitismo americano, evidenzi che tale scelta non solo non ha prodotto una cultura dello sviluppo responsabile in Italia, ma ha "forzato" alleanze rivelatesi poi foriere di contrapposizioni falsamente virulente e di coalizioni rivelatesi poi assai litigiose dopo le risicate vittorie.
A mio parere il bipolarismo, figlio dell'esperienza inglese (chi sta a destra dello speaker, tories, e chi sta a sinistra, whigs) era funzionale ad una società in cui le risorse affluenti vengono ripartite o investendole in industrializzazione foriera di sviluppo (conservatori) o redistribuendole con particolare attenzione ai ceti meno abbienti (progressisti).
In una fase in cui le risorse sono scarse le scelte politiche sono "tragiche" tese cioè a far accettare sacrifici equamente distribuiti oppure imposti in particolare ai ceti abbienti. Se è al potere la "destra" e fa scelte difficili, perde i consensi e le elezioni e viene sostituita dalla "sinistra" che dovrà fare scelte analoghe, anche se linguisticamente cammuffate e retoricamente dichiarate innovative. Entrambe le coalizioni tendono quindi ad ottenere i consensi del centro proclamandosi però alternative e quindi polarizzando l'elettorato. Ciò suscita reazioni di non piena rappresentanza, di sfiducia o peggio di protesta violenta. Invece un sistema almeno tripolare, in cui formazioni intermedie di volta in volta si alleano con le "ali", tende a creare politiche di mediazione, di relativo consenso alle scelte necessarie, ma socilmente impopolari, trasformando questa democrazia "muscolare" o "competitiva" (si scopiazza purtroppo il linguaggio US parlando di mercato elettorale e di lotta darwiniana per sopraffare ad ogni costo il "nemico" politico) in una dialettica che tende alla sintesi tra posizioni inizialmente divergenti, ma costrette a convergere.
In Germania è così (SPD, UDC, PLD, Linke), al Parlamento europeo è così (Partito socialista europeo, Alleanza liberal-democratica europea, Partito popolare europeo, altri) e le due realtà evidenziano che panorami più ampi possono consentire scelte anche difficili. Il PPE probabilmente ne avrà nei prossimi anni alcune, tra cui quella di svolgere un ruolo trainante, spesso contrastante con quello delle classi dirigenti nazionali, nel processo di ridefinizione della solidarietà economica e della piena integrazione politica europea.
Credo che occorra, come ha evidenziato il sociologo De Masi nel suo recente "Mappa mundi. Modelli di vita per una società senza orientamento", ripartire da un serio lavoro culturale che ridefinisca i paradigmi e attualizzi i valori storicamente fondanti della nostra società occidentale, in particolare europea. Partendo dal linguaggio: esistono conservatori (mantenere lo status quo) e progressisti (avanzare comunque anche a costo di schiacciare valori e risorse ambientali tradizionali) sia a destra che a sinistra. Mancano forse gli innovatori responsabili. I cattolici conciliari possono svolgere un ruolo significativo, uniti ad altre componenti culturalmente responsabili.
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Carlo Baviera - 2014-03-08 Condivido qunto sottolinea il Prof. Ciravegna, e aggiungo che resta comunque la questione che il cosiddetto cristianesimo popolare o cattolicesimo democratico non può scomparire in un soggetto che, anche nelle parole di Renzi, non sarebbe altro che un contenitore delle storie della sola esclusiva storia delle sinistre (seppur democratiche e che hanno avuto fior di personalità cattoliche). Se il PD è il 4° tempo del PCI è un conto, se è la continuazione dell'Ulivo è un altro. E in questo ultimo caso deve, anche in Europa trovare soluzioni per una formazione nuova, che tenga conto anche della traduzione politica della Dottrina Sociale, e non semplicemente qualcosa di liberal democratico. Le sfide nuove, economiche, ambientali, della pace, richiedono una presenza fortemente innovativa | ||
Daniele Ciravegna - 2014-03-07 Piuttosto che dire che "non è chiusa la prospettiva di un pensiero politico dei cattolici democratici che tragga sicuramente ispirazione dall'insegnamento sociale della Chiesa", bisognerebbe dire che questa prospettiva è ancora largamente da aprire, così come è ancora largamente da aprire, da parte della Chiesa stessa, la messa in opera pastorale dei principi del medesimo insegnamento. A parte la grancassa che viene puntualmente suonata in occasione dell'uscita delle lettere encicliche e degli altri documenti papali in tema di dottrina sociale, l'applicazione pastorale della stessa non è sempre poi così efficace, quasi che la Dottrina sociale della Chiesa non sia così parte integrante della concezione cristiana della vita; il cui insegnamento e la cui diffusione non siano così parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, tale da rendere evidente che senza una pastorale basata integralmente e profondamentre sulla Dottrina sociale della Ciesa – si può dire – avremmo meno Chiesa.
Quanto all'osservazione che Papa Francesco "dica apertamente di considerare incomprensibile la stessa espressione 'valori non negoziabili'", la mia convinzione è che, così dicendo, si forzi non poco la mano al Papa. La supposta perplessità nei riguardi della solidità dei "valori non negoziabili" non riguarderà certamente i quattro capisaldi della Dottrina sociale della Chiesa: dignità della persona, bene comune, solidarietà e sussidiarietà.
Da questi principi teologici discendono i principi etici di un partito che voglia essere cristiano, composto da persone che hanno un approccio etico alla politica in quanto hanno principi etici, visioni e valori condivisi, essenziali per esprimere una chiara linea politica; senza i quali rischia di diventare, un mero centro di potere.
In effetti, il motivo di fondo dell’attuale crisi della politica nel nostro Paese è che, per lo meno da un trentennio, i partiti hanno cessato di essere laboratori culturali per lo sviluppo di obiettivi eticamente corretti, per creare idee, nonché di essere poli di formazione in questa direzione, e si sono trasformati in centri di potere scarsi per tensione etica.
Ovviamente il partito non può fermarsi allo stadio di luogo di discussione sugli obiettivi che deve prefigurarsi, di produzione di idee. Deve anche saperli realizzare. Non è un centro culturale solamente; dev’essere anche un centro di programmazione che trasforma obiettivi e idee in programmi e che trasforma i programmi in azioni di governo.
Se non ha la maggioranza all’interno della comunità e delle istituzioni dovrà anche saper mediare con le posizioni degli altri partiti con i quali si decide o si è costretti a cooperare (e non deve comunque essere una mediazione che porti alla negazione integrale dei propri obiettivi di fondo).
Si dice che la politica è l’arte della mediazione. Questo sì al livello di operatività; non già a livello di elaborazione di principi e obiettivi!
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