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PD nel PSE, tra le ironie di Renzi
 
di Guido Bodrato
 

Alla vigilia del congresso del Partito socialista europeo, convocato a Roma per definire la strategia delle prossime elezioni europee, la direzione del PD ha deciso l'adesione al PSE. “Una svolta storica” anticipata da Matteo Renzi pochi giorni dopo la elezione a segretario del PD, e votata da 121 membri della direzione, con due astensioni e un voto contrario. Per Renzi “l'adesione al PSE è un punto d'arrivo....ma anche un punto di partenza”: l'ingresso nel partito dei progressisti europei favorirà il rilancio dell'ideale federalista e dell'Europa sociale, e comporterà un esplicito riferimento – anche nel simbolo – alla presenza dei democratici.
Per Beppe Fioroni, che è stato l'unico a votare “no”, questo passaggio è stato affrontato con troppa superficialità e “comporterà una ferita in un partito nato con altre aspettative”. D'Alema ha ironizzato su queste paure, e ha ricordato che alla storia della socialdemocrazia europea hanno contribuito personalità del mondo cattolico come Mounier e Delors. In conclusione Renzi ha ironizzato sull'importanza del seminario tra popolari e socialisti, proposto da D'Alema: “Comprerò i pop-corn per assistere a questo epico scontro”.
Un altro segno della irrilevanza politica dei cattolici italiani?

I quotidiani hanno dato poco rilievo a questa vicenda e l'hanno subito archiviata, ma hanno notato che la direzione nazionale del PD conta più di duecento membri; l'uscita – prima del voto – di Marini e di numerosi altri democratici, esprime un disagio diffuso tra quanti “non vogliono morire socialisti”. Alcuni membri della direzione hanno evitato di apparire contrari al segretario in una fase ormai prossima alle elezioni europee, ma la ferita non è stata rimarginata. Marini ha in seguito ridimensionato il significato della sua assenza dal voto, ma Parisi, vicinissimo a Prodi, non ha nascosto le sue perplessità per una decisione che mette in dubbio la strategia dell'Ulivo.
Pier Luigi Castagnetti, presidente nazionale dell'Associazione dei Popolari, ha ricordato di aver ribadito in molte circostanze la sua contrarietà a una decisione che è “un errore politico”, una rinuncia all'originalità del Partito Democratico, una scelta che potrebbe indebolire elettoralmente il PD; ma - ha detto- “ sono rimasto inascoltato”. E anche Paolo Gentiloni, che ha rappresentato la componente “liberal” della Margherita, ha scritto di non condividere una decisione che respinge verso il '900, cioè verso il passato, un partito che avrebbe dovuto rappresentare, anche nell'Unione europea, una novità politica. Perché abbandonare questo progetto?

In realtà questo “errore” ha radici nelle elezioni europee del 2004. I Popolari italiani erano usciti dal PPE, in polemica con una maggioranza che stava spostando a destra il baricentro di un partito che aveva ereditato il progetto federalista dei democristiani europei, per dare vita – con altri esponenti del “gruppo Schuman” (francesi, catalani, belgi) a un Partito democratico europeo affidato alla guida di Prodi, Bayrou e Rutelli. Questo partito aveva l'obiettivo di rilanciare il “sogno dell'Europa politica”, ma la Margherita – pensando soprattutto alle elezioni italiane – scelse di presentarsi alle elezioni europee insieme alla Quercia. È così naufragato il progetto di un “partito democratico” europeo capace di andare oltre il PPE ed il PSE, rinnovando profondamente l'orizzonte dell'Unione europea.

Commentando la decisione di cui – dieci anni dopo – stiamo discutendo, il direttore di “Europa”, quotidiano democratico, ha scritto: “L'adesione al PSE era diventata inevitabile”, ma si è trattato di una finzione, poiché la famiglia socialista è politicamente inconsistente, e le scelte dell'UE sono ancora determinate dai governi nazionali più che dalle istituzioni comunitarie. Comunque – continua il “quotidiano democratico” – in Europa non funziona il bipolarismo ma la consociazione tra popolari e socialisti, scelta obbligata per contrastare il riflusso nazionalista e la deriva populista.
Matteo Renzi ha portato il saluto dei democratici italiani al Congresso del PSE, tra gli applausi dei socialisti europei, con molta disinvoltura. Come se (ha commentato Castagnetti) fosse possibile “inserire il PD nella storia della sinistra italiana, e parlare del PD come evoluzione del PCI”.
Si deve riconoscere che molti nodi restano da sciogliere.


Giorgio merlo - 2014-03-09
Oggi nel pd, piaccia o non piaccia,, le scelte politiche sono fatte in nome e in virtu' dei sondaggi che vengono commissionati e del gradimento del pubblico. E' un approccio organicamente e strutturalmente berlusconiano. La scelta di aderire al gruppo del Pse e' stato visto come un semplice diversivo. Nulla di piu' e nulla di meno.
Stefano Godizzi - 2014-03-08
Finalmente riflessioni e non le sciocchezze che si sono lette sui giornali. La questione dell'adesone al PSE ha molte implicazioni, non è una questione di "marketing" o di qualche altra diavoleria. Di frivolezza in frivolezza anche il PD sembra aver smarrito la propria identità. Dobbiamo tornare alla concretezza delle questioni e non al cangiante luccichio degli studi televisivi. Il PD si colloca forse nella storia della sinistra italiana ed europea? Senza nessun elemento di originalità? Senza nessuna ambizione circa le culture politiche (popolarismo compreso)? Ed allora tanto valeva che rimanesse il PDS e non si inerpicasse su un sentiero tortuoso ed impervio. Oppure era tutto dettato dall'esigenza di apparire in sintonia con i ventilatori della moda? Ci siamo resi conto di quante sigle, suggestioni e progetti abbia macinato il centrosinistra in questi anni? L'Ulivo, L'unione, la fed, il PDS, la Margherita....e mi fermo qui. I "padri" che dettero vita all'asinello, antenato del PD attuale adesso dove sono? Rutelli, Di Pietro, Bordon, Orlando, Cacciari .... mi pare che siano fuori dal progetto del PD e pure del centrosinistra. Ma torniamo con i piedi per terra e corriamo il rischio dell'antidconformismo!
giuseppe cicoria - 2014-03-08
In questa materia sono sinceramente ignorante. L'unica cosa che mi permetto di far notare che "per non morire socialisti" bisognava evitare di "sposarsi" con i discendenti del PCI. Il signor Fioroni si è svegliato troppo tardi e si è dimenticato con quanta spocchia si è presentato a Torino per "imporre" alla Margherita di confluire nei DS. Io lo contestai e mi sono preso i fischi della platea. I signori popolari europei, dopo, hanno fatto la frittata di accettare nelle loro fila il sig. B che, all'epoca si spacciava per il nuovo De Gasperi. Se Renzi andava con i popolari si trovava, quindi, con il sig. B. Forse ha pensato che l'avrebbe fatta proprio "grossa"...!
Paolo Parato - 2014-03-08
Matteo Renzi ha una visione tutta particolare della vita democratica di un partito. DOPO la sua vittoria al Congresso sono avvenuti due fatti significativi che non erano presenti nel dibattito precongressuale. Prima il radicale cambiamento dell'accordo di governo: si è passati da un governo delle larghe intese con il centrodestra motivato da uno stato di necessità (un governo del Presidente della Repubblica) che (merito di Letta) ha visto la frattura nel PDL ad un governo POLITICO con il centro destra. Secondo l'ingresso nel PSE. Quanti avrebbero dato il voto a Renzi se queste posizioni fossero chiare nel dibattito congressuale? Lasciamo stare il modo con il quale è stato buttato fuori dal governo Letta. Spesso la forma è anche sostanza. Se questa è la visione del partito in questo nostro tempo: solo una lotta tra leader a prescindere da programmi, slogan che durano lo spazio di un mattino e poi sono sostituiti da altri messaggi non c'è molto da sperare per il nostro Paese.
Pier Luigi Tolardo - 2014-03-07
Mi pare che sulla scelta di Renzi di dichiarare che il Pd avrebbe aderito al PSE abbia pesato moltissimo, più che una convinzione, un'esigenza tattica durante la campagna delle Primarie di sottrarsi alle forti accuse di voler portare fuori il Pd dall'ambito della sinistra europea, di volerne fare una sorta di DC di cui è alla lontana figlio. Una volta vinte le Primarie Renzi che si è contraddetto in pieno sulla questione del governo, della non volontà di andare a Palazzo Chigi senza una legittimazione elettorale, non poteva essere non coerente anche su questo punto dell'identità. Ha ritenuto poi che un leader nuovo e giovane, poco conosciuto nell'ambito europeo come lui, a differenza dell'"europeissimo" Letta aveva bisogno di sponde forti che lo legittimassero al tavolo della UE. In Renzi prevale sempre e comunque la "ragion pragmatica". Con lui si passa davvero dal "tutto delle ideologie" al "niente delle ideologie": eppure la crisi politica ed economica del vecchio continente è la crisi anche del paradigma liberista che ha conquistato la sinistra, e se il suo approdo è Blair, Renzi sarebbe un Blair anacronistico e superato abbondantemente... Il PSE avrebbe bisogno di un apporto italiano a rileggere la sinistra nella società liquida, ma Renzi - figlio e prodotto della liquidità - potrà darlo?